Dormivo nella branda sotto la sua, e per questo me lo ricordo così bene. Ma i nostri rapporti erano pressoché inesistenti, come se invece di un metro ci avesse separato un anno luce. Giuseppe, a dire il vero, era gentilissimo; non aveva mai fatto valere lo scaglione, neanche quando ero appena arrivato da Orvieto, all'inizio dell'estate, completamente ignaro delle ferree regole che vigevano nelle camerate del "M.O. Butera". Non s'era mai unito alle pattuglie di vice-nonni del 2° che scorrazzavano nottetempo, tra l'indifferenza di sottufficiali e ufficiali, a caccia dei rospi del 5° che avevano marcato male durante il giorno. Una volta mi aveva anche prestato dei soldi. Insomma, non era uno scoppiato come il mio vicino di branda, il carrista Ribicchini, un ascolano ignorante e arrogante tutt'altro che ben disposto nei miei confronti, uno che passava le sue giornate imboscato nello spaccio o a farsi cazziare dal Capitano, e le sue nottate a tirare a lucido o a merda qualche rospo poco rispettoso dello scaglione.

No, Giuseppe Crisolora era un tipo tranquillo, forse fin troppo tranquillo, che tutto sommato veniva ignorato da tutti tranne che da me. Per me era una presenza inquietante, mi metteva a disagio, forse sotto sotto mi metteva paura ben più degli scoppiati come Ribicchini, più dei sottufficiali sbirreschi come il Sergente Cautero, addetto al contante della compagnia e terrore delle guardie e dei piantoni, più degli ufficiali di complemento precocemente arteriosclerotici come il Sottotenente Sgueglia, Vice-comandante della Compagnia, più degli ufficiali di carriera insensibili, inamovibili ed infami come il nostro Comandante, il Capitano Antonini, meglio noto come Bokassa perché i carristi se li mangiava a colazione, inzuppati nel cappuccino. Il silenzioso, riservato caporale Giuseppe Crisolora mi metteva a disagio più di chiunque altro in tutta quella maledetta caserma, e non riuscivo a capire perché.

Forse dovrei dire che non riuscivo a capire lui, non capivo cosa passava per la testa ad uno che alle 6 del pomeriggio, invece di fuggire in libera uscita, se ne stava sulla branda in camerata a leggere libri in inglese (ci sono due titoli che non riesco a dimenticare, uno era Time Out of Joint, l'altro The Face of Battle, ora mi piacerebbe sapere chi erano gli autori, ma la mia memoria non arriva a tanto); c'era poi quella sua espressione assorta, come fosse perennemente intento in cose molto più importanti di quelle che occupavano noialtri. Quali cose, mi chiedevo, quali pensieri? Ero curioso, volevo sapere, volevo scoprire il segreto di Giuseppe e oggi mi rendo conto che, alla fine, sarebbe stato per mia disgrazia e dannazione che avrei scoperto cosa nascondeva quel volto distratto e lontano.

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Sì, quell'espressione distante ce l'aveva anche quando arrivò la notizia che noi della 3^ squadra saremmo andati in perlustrazione il 9 novembre, insieme a quelli della 5^. Appena ci venne comunicata la notizia dal nostro caposquadra, il caporal maggiore Matullo, un VTO* baffuto che veniva da un paese sperduto della provincia di Isernia, gli abruzzesi si guardarono preoccupati. C'era aria di neve, loro la sentivano prima degli altri. Uno di loro chiese: "E se nevica?". Matullo si lisciò il baffo da carabiniere, scrollò le spalle e rispose: "Vi portate gli sci!", per ragliare poi una risata alla quale non si unì nessuno; bisogna riconoscere che nella nostra squadra c'erano due analfabeti, ma nessun imbecille come quello.