Giuseppe restò in silenzio, appoggiato al muro esterno della compagnia, ascoltando i commenti della squadra all'annuncio del caporal maggiore. Dopo un po' fece un cenno di saluto rivolto come al solito a tutti e a nessuno, poi se ne andò in mensa. Ben diverso fu l'atteggiamento del carrista Ribicchini, che scoppiò in una serie di feroci bestemmie e di sanguinosi insulti per il Capitano Bokassa che ce l'aveva con lui, e per il furiere, ruffiano di Sgueglia, infame e pugliese come lui.

- E tra un po' nevica pure, - concluse in tono profetico, - bella non sarà per noi!

Ma poco dopo successe qualcosa che mi fece dubitare dell'imperturbabilità di Crisolora. In mensa lo vidi fermo, in piedi, col vassoio pieno di roba in mano, immobile a fissare il vuoto tra lui e il bancone della distribuzione; aveva sul volto magro una tale espressione di genuina angoscia che non potei trattenermi dall'andare lì a chiedergli: "Problemi?". Non mi rispose subito, neanche mi guardò, dovetti scuoterlo perché si rendesse conto della mia presenza, e mi chiedesse: "Cosa c'è?".

- Niente, ti ho visto strano... - spiegai.

- Strano? Perché strano?... non è niente, niente. Problemi zero.

Detto ciò si allontanò verso un tavolo isolato, in un angolo, dove c'era un solo posto libero. Se ne andò come se scappasse da me.

* * *

Problemi zero. Quante volte l'avevo sentito dire, prima dai Sottotenenti a Orvieto e poi da tutti lì all'Aquila. Era una di quelle espressioni del gergo militare che alla fine, volente o nolente, ti entrava in testa, e non riuscivi a liberartene fino al congedo; certi la usavano pure dopo, al lavoro, in ufficio. Problemi zero, anche quando i problemi c'erano, soprattutto se c'erano. Era una formula augurale, serviva a convincersi che le cose dopotutto andavano bene, o meglio, andavano normalmente. In ogni caso, come molte altre espressioni del gergo di caserma serviva a riempire il vuoto certe volte troppo tangibile che ci separava gli uni dagli altri tenendoci al tempo stesso aggrappati gli uni agli altri.

Quella notte però accadde una cosa che mi convinse ancor di più che i problemi c'erano anche per il caporale Crisolora. Tutto successe perché ho sempre avuto il sonno leggero, e mi capitava di essere svegliato da quelli che nel sonno parlano. Solo dormendo nello stesso stanzone con una trentina di persone si può scoprire quanto sia frequente questo fenomeno. Me ne ero reso conto a mie spese, perché ogni volta, per poter riprendere sonno, ero costretto ad alzarmi, cercare l'oratore notturno, svegliarlo perché smettesse e poi tornarmene tra le coperte, rattrappito dal freddo che il riscaldamento difettoso della caserma non riusciva a vincere. Era dunque di vitale importanza, prima di avventurarsi fuori dalla branda, capire chi stava parlando, per non restare esposti troppo tempo all'aria gelida; se non si riusciva, era meglio aspettare che passasse il piantone notturno e chiedergli di provvedere.

Quella notte però non mi ci volle molto per capire di chi era quella voce che risuonava a tratti nella penombra: era così vicina, e veniva dall'alto. Era Giuseppe. Stavo per scostare le coperte e alzarmi, quando mi accorsi che non stava farfugliando parole slegate e prive di senso come la maggior parte di quelli che avevo sentito fino ad allora. Le frasi di Giuseppe erano sì incomplete, ma abbastanza lunghe da accedere a un livello iniziale, vago ma tutto sommato comprensibile, di significato. Ricordo che diceva qualcosa come "non potete ammazzarlo come un cane" e "anche lui è un essere umano".