- Dovresti essere già morto da almeno due settimane, idiota! - disse ansimando la sagoma scura che si presentò sulla soglia del mio ufficio, dopo aver spalancato la porta con una tale violenza da farmi temere che si sarebbe staccata dai cardini. Aveva l'aria di uno che si era fatto a piedi tutti e dodici i piani che bisognava salire per giungere nello studio.

- Prego? - domandai con studiata indifferenza, mentre con la mano destra aprivo il cassetto della scrivania in cui custodivo il revolver.

L'uomo avanzò verso di me, spostandosi dall'ingresso infestato dalle ombre alla luce ambrata della lampada da tavolo. - Lascia stare la calibro 38 e stammi bene a sentire, - rispose accasciandosi sulla sedia proprio di fronte a me.

Mi domandai come diavolo potesse sapere quale fosse il tipo di pistola che avevo in dotazione, sebbene si tratti di un'arma abbastanza comune. Nondimeno, dato che negli ultimi tempi la mia vita era stata piuttosto movimentata, presi ugualmente il revolver e lo posai delicatamente sulla mia coscia destra, come un gatto addormentato.

- Temo di non aver compreso il suo nome, - dissi fissandolo direttamente negli occhi, come per sfidarlo, e studiando attentamente i lineamenti del suo volto.

Non lo conoscevo, ma aveva un'aria familiare. Di statura media, doveva essere più o meno sulla cinquantina, con i radi capelli bianchi che un tempo erano stati probabilmente neri e gli occhi scuri come il petrolio che luccicavano di spietata intelligenza. Era decisamente appesantito, e aveva una ciambella di adipe attorno alla vita tipica del birraiolo incallito.

- Il mio nome non ha alcuna importanza, - rispose mentre si detergeva il sudore dalla fronte con un fazzoletto malconcio. - Ciò che conta in questa fottuta faccenda è che tu mi stai rovinando tutti i piani, per cui ti conviene levarti di mezzo alla svelta.

- Levarmi di mezzo è un eufemismo per invitarmi a sparire, levare le tende, o cos'altro? - domandai con una finta punta di interesse nella voce. Cominciavo a pensare che quel tizio fosse appena fuggito da una suite statale con le pareti imbottite. Forse si trattava di qualcuno che avevo fatto arrestare anni prima; per questo il suo volto flaccido e paonazzo non mi era nuovo.

- Ti sto dicendo che il tuo contratto è scaduto, amico. La prossima volta che qualcuno ti si parerà davanti con una pistola in mano, lascia che ti faccia secco, e poi cambia aria, oppure...

Sollevai di scatto la mano destra e posai la calibro 38 sulla scrivania, proprio sotto il cono di luce della lampada, in modo che quel pazzo potesse comprendere che in quell'ufficio non lavorava un santo. Contratto? Morire? Cambiare aria? Che cazzo stava blaterando? Stavo cominciando a perdere la pazienza. - Ehi, amico, sei sicuro di non aver sbagliato indirizzo? Lo psichiatra è tre piani più sotto...

- Ascoltami attentamente, coglione, - sbraitò l'omone spruzzando saliva. Sobbalzò sulla sedia e si fece più sotto, per nulla intimorito dalla pistola sulla scrivania, che da gattino addormentato si era nel frattempo trasformata in un crotalo pronto a colpire. - Tu non esisti, non sei mai esistito. Sei soltanto il frutto della mia immaginazione, hai capito? Io sono il tuo Creatore!.

Quel tizio era uno spasso. Decisi che l'avrei ammazzato senza farlo soffrire. Intrecciai le dita sulla scrivania e assunsi un tono cospiratorio. - Ascoltami bene tu, straniero. Se hai letto con attenzione la targhetta di bronzo attaccata alla parete...

- Non ho bisogno di leggere nessuna fottuta targhetta, - inveì il decerebrato spalancando gli occhi a tal punto da farli apparire come due uova al tegamino. - L'ho inventata io!.

Ignorai garbatamente la sua rimostranza e proseguii. - Su quella targhetta c'è scritto: Jack Warden. Investigatore Privato. Questo, amico, significa che Lo Scemo Del Villaggio abita da un'altra parte. Per cui ti conviene levarti dalle palle, o sarò costretto ad aggiungere un po' di piombo in quella tua stramaledetta zucca vuota..