- Sono solo degli innesti. In realtà tu non possiedi un passato, e se è per questo non hai nemmeno un futuro. Non capisci che sono solo dei cliché? Ho creato qualcosa che potesse dare un senso al tuo personaggio: i genitori ammazzati, l'odio mai represso, una discreta passione per la bottiglia e una anche più accesa per le donne, un cupo senso dell'umorismo, i modi di fare decisi e la pistola facile... era il giusto mix per piacere sia al pubblico maschile che a quello femminile. Ma ora pare che i gusti siano cambiati. C'è una specie di bucolico ritorno al passato, o qualcosa del genere. Sembra che stiano tornando di moda i vecchi valori, anche se a dare un'occhiata al mondo là fuori mi pare proprio che di vecchio ci sia soltanto il lerciume. E' per questo che il tuo personaggio non funziona più. Sei superato. Ti sostituirò per qualche puntata con Michael Taggart, e se le cose andranno bene faremo una serie incentrata sul suo personaggio..

- Michael Taggart? - domandai. Taggart faceva l'investigatore, proprio come me, ma qui si fermavano le cose che avevamo in comune, sebbene non lo conoscessi da molto. Era un tipo troppo perbene, per il lavoro che faceva. Non usava mai la pistola, e preferiva la razionalità e il dialogo. Era sposato - sua moglie era un'altra cosa che avrei voluto condividere con lui - e aveva due marmocchi. Per chiudere la triste lista, era pure astemio. - Quell'untuoso figlio di puttana non sarebbe capace di trovare nemmeno il suo buco del culo con una torcia in mano! - sibilai.

- Però piace alle famiglie. E' garbato, intelligente, pulito, ha una vita equilibrata e non dice sconcezze..

- Non è colpa mia se mi hai fatto così, - lo apostrofai, sfidandolo.

- Hai ragione. Non è colpa tua. Ma ognuno è figlio del suo tempo, e il tuo tempo è esaurito..

- No... - sussurrai. Mi voltai e, appoggiandomi all'intelaiatura della finestra, contemplai la città che si stendeva di fronte a me. Improvvisamente i grattacieli, le case, le automobili e le persone, tutto quel mondo mi sembrava più alieno di un paesaggio marziano, come se mi fossi svegliato da un sonno profondo soltanto per scoprire che il mio incubo peggiore si era realizzato davvero.

Donaldson fece due passi verso di me. - Stasera lascerai l'ufficio alle nove, come da copione, e andrai alla Black Tavern per un cheeseburger e una birra. Ti concedo un ultimo pasto, - disse con il tetro divertimento di un boia. - Quando uscirai, imboccherai il viottolo laterale per dirigerti verso casa tua. Lì qualcuno ti starà aspettando; ti sparerà a bruciapelo e tanti saluti al caro estinto. Così tornerai ad essere George Snow, l'attore. Se fai il bravo, ti prometto una parte nella prossima serie...

- Chi mi ammazzerà? - volli sapere. Mi sembrava una domanda pertinente, come direbbe Perry Mason.

- Questo non ha importanza. E' una comparsa. Nessuno vedrà il suo volto..

In quell'istante mi venne da pensare quanto sia strana la vita, al di qua e al di là del vetro, quella reale e quella fittizia, sempre che esita la differenza. Trascorriamo l'esistenza arrabattandoci come possiamo, tentando di rimanere a galla e cercando disperatamente di trovare un senso e uno scopo che ci diano la giusta dignità e ci facciano guadagnare il rispetto del prossimo, spesso stupidamente convinti di poter vivere in eterno. Poi, in un giorno qualunque, una persona qualsiasi, una comparsa, decide che la tua vita è giunta al termine. Un ubriaco che sbanda a tutta velocità e finisce contro la tua auto. Un pazzo che entra con un mitragliatore Uzi in un McDonald's sparando sulla folla mentre sei in coda alla cassa. Un'infermiera distratta che ti somministra il farmaco sbagliato. Così cala il sipario e gli spettatori se ne vanno. Ma io non volevo morire. Né in senso fisico, né in senso figurato.