Dopo mesi di assenza pienamente giustificata dalle colonne elettroniche di Delos (sono stato in giro per mezza Italia del nord, da Milano a Bologna, da Trieste a Bolzano, da Novara a Rovigo, sempre a predicare il verbo fantascientifico al popolo; okay, ho anche mangiato e bevuto un pochino. Pignoli), torno infine a raccontarvi tutto ciò che avreste voluto sapere ma non avete mai osato chiedere su Astrotau. Be', intanto vi ho lasciato respirare, no?

Eravamo rimasti alle lacrimevoli morti dei miei due robot, quello a pile e quello a pompetta, quando ero fanciullo imberbe; e avevamo concluso che il robot a pompetta mi era arrivato per posta grazie alla raccolta dei punti di Astrotau. Il Comandante in capo degli Arditi dello Spazio. Per me, all'incirca l'equivalente di quel che è oggi l'amatissimo presidente del club dei Jurassians, i fantascientisti nati prima del 1950, cioè l'Ugo Malaguti nazionale; anche se sono certo che Astrotau possedesse una panza di dimensioni notevolmente inferiori, e non fumasse o bevesse alcolici nella stessa misura di Ugo, ma son codeste quisquilie che non incidono sulla stoffa morale e sull'autorevolezza dei personaggi. Anzi.

Astrotau fu una brillantissima invenzione pubblicitaria della Perugina-Buitoni, azienda benemerita nel campo della fantascienza. Può anche darsi che le strategie contemporanee di pubblicità siano tanto intelligenti e creative, però di idee così fertili nella loro incontaminata ingenuità io sento la mancanza. Sarò idiota, o retrogrado. Poco mi cale. In soldoni, accadde che trovai sul Corriere dei Piccoli, al quale ero abbonato e che leggevo con religioso fervore (da piccolo ero leggermente integralista, lo devo ammettere), un tagliando da ritagliare e inviare per iscriversi al club degli Arditi dello Spazio. Da bravo bimbino qual ero, chiesi a mio padre il permesso di farlo. Egli, uomo di provata fede fantascientifica, mi rispose con la lapidaria frase: "Basta che non ci sia da pagare." Non c'era da pagare. Ritagliai, compilai e spedii. Divenni un aspirante Ardito. Correva l'anno di grazia 1959. Io avevo dieci anni, e il mio destino era già segnato.

Mi arrivò per posta un bustone gonfio che ricordo ancora con la bava alla bocca. Conteneva un sacco di materiale cartaceo del quale non ho nemmeno vaghe memorie, ma rimembro benissimo due cose: il pieghevole plastificato con il codice per decifrare i messaggi segreti di Astrotau, e la tessera di iscrizione. Sulla tessera erano stampati, racchiusi da piccoli rettangoli, i gradi da acquisire per salire nella scala della gerarchia astrotauica: Aspirante, Allievo, Cadetto, Ardito, Capogruppo. Avendo a disposizione la truppa umana necessaria, si potevano anche fondare gli "Equipaggi Astrotau", all'interno dei quali esistevano suddivisioni tra Piloti, Ufficiali di rotta, Radaristi, eccetera. Volendo, c'erano pure le Hostess, in una limpida dimostrazione di non maschilismo e oserei dire di superamento delle barriere sessuali tanto forti nell'Italia bacchettona di quell'epoca. Che gente, che idee progressiste.

Organo ufficiale del club era la rivista Astrotau, che arrivava a casa tutti i mesi e che io attendevo con un'ansia semplicemente indicibile: una pubblicazione a colori, all'incirca formato tabloid (un po' più piccola), col suo bravo romanzo a puntate (Appello alla Terra!, del celebre J. Donald Ross), le imprese di Timoteo Smile (l'eroe delle fette biscottate spaziali), gli articoli di divulgazione scientifica, i "Rapporti segreti dell'ufficio X" con storie vere di UFO, alieni, eccetera (è ovvio che quelli degli X Files hanno fregato l'idea lì), le storie paleolitiche di Fulgenzio il Cavernicolo, la posta del Club Spaziale, e in ultima pagina le avventure di Toni & Gina (Buitoni & Perugina, se rendo l'idea), gli intrepidi astronauti nemici giurati del perfido H. Lappia. E, ovviamente, i messaggi cifrati del Comandante Astrotau che, una volta decifrati, invitavano a comperare i prodotti dello sponsor...