Delos 30: Memories of green Memories of green

di Vittorio Curtoni

i miei più

celebri editoriali (1/2)

Non sappiamo se Delos sia entrato nella storia della fantascienza italiana, ma sicuramente la storia della fantascienza italiana è entrata in Delos. Vittorio Curtoni, già direttore delle mitiche riviste Robot e Aliens - e comunque un bel po' mitico già di suo - ha accettato di portare sulle nostre pagine una collezione di gustosi aneddoti del fandom e dell'editoria italiana. Ah, per sua volontà, il sottotitolo di questa rubrica è "i farneticanti ricordi del vecchio Vic". Almeno sapete cosa aspettarvi...

Di editoriali, su varie riviste, in vita mia ne ho scritti parecchi. E' probabile che molti fossero del tutto insignificanti, anche perché se ogni mese devi scrivere quelle x cartelle non è detto che vengano sempre col buco. Anzi. Però ci sono almeno un paio di miei editoriali che nel loro piccolo, cioé nel piccolo del ghetto fantascientifico italiano, hanno fatto storia; e visto che più di una volta mi è stato chiesto di renderli disponibili a distanza di tanti anni, provvedo ora in forma elettronica.

Quello che segue è l'editoriale del numero 5 di Robot, agosto 1976: l'aspetto idilliaco della sf e, all'epoca, del mio mestiere. Il mese prossimo, tuoni fulmini & saette!

una notte altrove

Ferrara, Hotel de la Ville, 5 giugno 1976, una e trenta di notte.

Terminato il cocktail ufficiale, le premiazioni, il banchetto d'onore, il terzo Science Fiction Italian Roundabout si avvia, un po' malinconicamente, verso la conclusione. Per me che ho potuto partecipare solo all'ultima giornata, sono state ore intensissime, febbrili: incontri a catena, conversazioni più o meno ufficiose, volti di cari amici che non incontravo da anni, persino le chiacchiere con Theodore Sturgeon, simpaticissimo e contento come una pasqua per il "Ritratto" che Robot gli ha dedicato nel terzo numero. E poi le ore al bar a discorrere di fantascienza con i compagni di sempre: Pizzo, Lippi, Catani, Cersosimo, Pandolfi, Pagan, Ragone, alcune delle persone che da anni lavorano, a differenti livelli, per amore della sf. E' molto dolce, quasi estenuante; e sembra che tutto stia per finire. Così tardi, Ugo Malaguti che conversa in un angolo con Riccardo Valla, Sebastiano Fusco misteriosamente sparito, io su un divano con mia moglie, gli altri in giro, Gianfranco de Turris che mi dice ancora qualcosa.

Ma Eugenio Ragone (l'intrepido, incredibile appassionato barese che da due notti si corica alle sei del mattino) trama nell'ombra, perché una battaglia lo aspetta: col pugno fremebondo, urla che deve battere Karel Thole (il che significa dormire meno di lui e ingurgitare una maggiore dose di alcolici). Ed è per questo che molti bicchieri e alcune bottiglie di whisky scompaiono dal bar dell'hotel; è per questo che la camera del duo Catani/Ragone viene invasa da una folla di persone; è per questo che sono le due o giù di lì e spedisco a letto Lucia, le auguro la buonanotte, le dico che ci vediamo più tardi, non si preoccupi, facciamo solo due chiacchiere.

Ecco, per me è iniziata così questa stupenda notte su un altro pianeta, questa atmosfera incantata da fiaba col finale dolce, senza orchi, senza streghe; questa jam session di fantascienza; questo bellissimo stare con amici che dividono le stesse cose, gli stessi pensieri, le stesse emozioni.

E' stato un po' come fare l'amore per la prima volta; è stato un po' come tornare indietro di quindici e oltre anni, quando leggevo i miei primi Urania e sognavo le cose che quelle pagine mi offrivano; è stato, insomma, uno dei momenti più magici della mia vita, e non posso non darne testimonianza.

Questa camera, quindi: questo rifugio definitivamente chiuso al mondo. Il tempo passa, la notte scivola via, e noi siamo lì a bere il whisky (ma dolcemente, senza ubriacarci, perché sarebbe stupido), a stare insieme, a vivere una sosta di pace in un'esistenza che non è sempre divertente.

C'è gente che va, gente che viene. Compare Sturgeon, si accomoda su una sedia, accetta il nostro bicchiere e le nostre parole; e l'amico Ragone mi guarda in faccia, mi dice "ma ci pensi Vittorio, siamo qui in questa stanza con Theodore Sturgeon", e diavolo se ci penso, non potrei pensare ad altro.

C'è Gianfranco Viviani che a un certo punto si mette a discutere di fantascienza e politica, e tutti ci buttiamo a dire qualcosa, a esprimere le idee che coviamo dentro; c'è Gianni Montanari che a volte urla i programmi della sua rivista, a volte li sussurra; c'è Karel Thole che beve e scherza, instancabile, un vero mostro di resistenza; c'è Riccardo Valla in un altro angolo, con un maglione rosso, che probabilmente sta facendo uno dei suoi soliti discorsi così simpatici e così terribilmente incasinati; c'è Jan Finder col suo cappellone da cowboy e i suoi calzoni sgargianti; c'è Giuseppe Lippi un po' stanco, un po' giù di corda; c'è Gianfranco de Turris che si ferma un attimo e poi se ne va; e ci sono altri.

Insomma, cristo, quello che voglio dire è che ci siamo tutti, e siamo lì, e chi se ne frega se le ore gocciolano come acqua da un rubinetto lasciato aperto per sbaglio? Non so, non credo di poter esprimere a parole tutta questa dolcezza, tutta questa bellezza che c'era fra noi, l'aria nuova che dopo tanti anni ho respirato a Ferrara, la voglia di essere sinceri, aperti, leali, finalmente veri senza invidie, senza rancori, senza motivi d'interesse. Io credo, sono convinto che il terzo S.F.I.R. abbia segnato una tappa decisiva per il nostro "mondo"; e già oggi, a pochissimi giorni di distanza, le frasi al telefono sono più belle, più umane. Non esistono più telefonate di lavoro, perché ci siamo trovati, incontrati, messi a nudo.

La notte è una cosa stupenda, amici, vale diecimila volte il giorno. Almeno "questa" notte.

Poi, è inevitabile, qualcuno crolla, riprende la strada del letto; ma i più forti, i più tenaci, resistono. Sei superstiti, sei eroi: Karel Thole, Gianfranco Viviani, Riccardo Valla, Eugenio Ragone, Vittorio Catani e il sottoscritto. Anch'io vorrei andarmene, ho sonno, ma Viviani mi blocca, mi versa dell'altro whisky, mi dice "eh no, non te ne puoi mica andare, non è giusto", e ha ragione, e rimango. Gli occhi di Ragone sono diventati due biglie, Catani ha il viso ascetico e spiritato, Karel Thole è fresco come una rosa, Riccardo Valla parla sempre, io non so. E poi arriva il sole, scendiamo giù al bar a fianco, ci sbafiamo qualche toast; e se gli altri dichiarano forfait, Thole e io non abbandoniamo: si arriva a quattro birre a testa. Il maledetto guaio è che appena io vuoto il bicchiere, il demoniaco Karel me lo torna a riempire, non posso tirarmi indietro; e intanto lui parla di Wollheim, delle conventions americane, mentre Viviani ripete ridendo a crepapelle uno scherzo molto buffo che ha visto fare a cena, mentre Vittorio ed Eugenio, leggermente in tilt, tengono duro stringendo i denti, e mentre, infine, il caro vecchio Riccardo cerca sempre un senso ai suoi paurosi sproloqui.

E così... E così tutto finisce nella gloria del mattino, mia moglie un po' innervosita che piomba giù a cercarmi, Thole che ordina, credo, un'altra birra, io che fuggo in albergo con questo bellissimo fiore dentro, con queste ore quasi deliranti, quasi incredibili, che non riuscirò mai a dimenticare.

E a questo punto: Eugenio, scusami, ma ha vinto Thole. Era diecimila volte più in forma di te, a cose fatte. E poi si è bevuto con me tutte quelle birre. Mi spiace, magari sarà per l'anno prossimo.

Avrei voluto che ci foste tutti, tutti voi che seguite il nostro piccolo Robot ormai da cinque numeri. Volete fidarvi della mia parola? E poi no, vi offro una parola più nobile, che mi è venuta in mente subito dopo quelle ore.

Nel suo discorso a una delle ultime conventions mondiali, Frederik Pohl ha detto che noi appassionati, curatori, editori, scrittori e illustratori di fantascienza siamo una grande famiglia; che ovunque egli vada, può riconoscere quello che ci tiene uniti, la grande passione comune che serpeggia in noi tutti.

Ecco, in fondo il senso di questo mio lungo sproloquio (devo essere stato contagiato da Valla), il senso di una vastissima parte della mia vita, sta solo, unicamente, esattamente, in questo: dividere le cose in cui credo, le cose che la sf rappresenta per me, con le altre persone che ci credono; e sentire che ci crediamo assieme, che il mondo per noi è "leggermente diverso" da come appare ad altri.

Ciao da Vic