Noi che sulla fantascienza ci siamo fracassati le palle degli occhi, intrattenendoci con altri

L'androide Dick
L'androide Dick
appassionati come noi a dibattere sui meriti e i demeriti di Philip K. Dick, dovremmo ricompattarci almeno in occasioni come questa per rivendicarne l’appartenenza al genere e, soprattutto, per sottolineare insieme come la storia della fantascienza sia affollata di autori che hanno saputo esprimersi agli stessi livelli, se non addirittura meglio, di quanto sia riuscito a lui: da Alfred Bester a Samuel R. Delany, da Theodore Sturgeon a Kurt Vonnegut, da Fritz Leiber a Ursula K. Le Guin, da J.G. Ballard a William Gibson a Iain M. Banks, il numero degli autori degni di essere menzionati ogni volta che si sente Dick accostato al termine capolavoro oppure estraniato dalla SF è difficile da quantificare.Dick, insomma, non è affatto una mosca bianca nella giungla di un genere che nasconde ancora tanti tesori, scomparsi, sepolti, dimenticati. Per motivi che non costituiscono l’obiettivo di questa fugace panoramica, ma che forse andrebbero ricercati in qualche forma di risonanza con certe frequenze dell’immaginario divenute predominanti negli ultimi tre decenni (lo spazio virtuale, la tecnologia come strumento di controllo, l’esplorazione di nuovi meccanismi di dipendenza, etc.), la sua opera ha ormai saputo imporsi al di fuori del genere come una vera e propria icona della nostra epoca. Visioni di un futuro tormentato, oppressivo, disperato, decadente, soffocante, in cui niente è ciò che sembra e dietro ogni angolo di visuale forse si nasconde il preludio a una realtà “altra”, collocata su un piano di percezione parallelo o sfalsato rispetto alla nostra consuetudine.Ben prima che certi argomenti diventassero di rilevanza universale, la minaccia della simulazione, della finzione, dell'artificiale, del doppio e del “falso”, era stata sviscerata nel suo lavoro sotto tutte le prospettive possibili: mondi che non sono quello che sembrano (Ubik), dottrine spirituali ispirate da costrutti sintetici (La Trilogia di Valis), demiurghi nascosti sotto le mentite spoglie di viaggiatori spaziali (Le tre stimmate di Palmer Eldritch), falsi ricordi (il racconto Possiamo ricordare per te alla base del film Atto di forza), false realtà (L’uomo dei giochi a premio), realtà storiche che sono tutt'altro da quello che crediamo (il Terzo Reich che vince la Seconda Guerra Mondiale in una ucronia messa in discussione solo dall’esistenza di un libro di fantascienza dal titolo criptico, La cavallettà più non si alzerà, ne L'uomo nell'alto castello), replicanti in tutto e per tutto identici agli esseri umani (I simulacri, il racconto “Modello Due” che ha ispirato il film Screamers di Christian Duguay, il più celebre Cacciatore di androidi). Ma anche persone che non sono ciò che sembrano (Un oscuro scrutare, il racconto “Impostore”, anch’esso portato sugli schermi, da Gary Felder), realtà insidiate dal potere psichico di potentissime droghe (Illusione di potere, Scorrete lacrime, disse il poliziotto) o robot che si sostituiscono agli esseri umani, come nel racconto “Formica Elettrica” che racchiude, allo stato embrionale, lo spunto di Matrix.Dick è stato un lucido anticipatore del nostro mondo. Ma è difficile capire dove finisca la lucida sensibilità del singolo e cominci invece la complice distrazione della moltitudine.

Philip K. Dick Androide

E chiudiamo il giro tornando al punto di partenza. La paranoia dickiana è ormai diventata ossimorica. A svelare quanto radicate nella realtà fossero certe inquietudini, ci hanno pensato nel 2005 i ricercatori del FedEx Institute of Technology di Memphis, supportati dall'Hanson Robotics e dall'Automation and Robotics Research Institute (ARRI) dell'Università del Texas di Arlington. Il loro team congiunto ha messo a punto un robot in tutto e per tutto simile a un essere umano. E non deve essere stata una scelta casuale, se alla fine i ricercatori hanno dato alla loro creatura le fattezze di Philip K. Dick. Il robot è stato realizzato impiegando le più sofisticate tecnologie robotiche in termini di espressività e motori di intelligenza artificiale per il linguaggio, al fine di consentirgli di reggere una conversazione – per quanto semplice – con dei soggetti umani.