Terry Gilliam incontra Philip K. Dick. Il regista ha appena annunciato l'intenzione di portare sul grande schermo uno dei primi romanzi dell'autore americano, ovvero The World Jones Made, pubblicato per la prima volta nel 1956 (in Italia: E Jones creò il mondo, Fanucci). Prosegue così quella che si potrebbe definire una vera e propria corsa all'oro, dove la California è rappresentata in questo caso dai testi di Dick.

Salgono infatti a cinque i progetti in cantiere: oltre al remake di Total Recall (Original Film per Columbia Pictures), sono in lavorazione King of the Elves (Disney), Flow My Tears the Policeman Said (Halcyon Company) e Ubik (Celluloid Dreams). Di questo passo, presto non rimarranno opere a cui attingere (strano ma vero, nessuno si è ancora accorto che è rimasto fuori Una svastica sul sole...). Senza contare che sono già in tanti quelli che hanno bussato alla porta di Dick: Ridley Scott ha aperto con il botto di Blade Runner (1982), poi è arrivato Paul Verhoeven con Total Recall (1990), poi Screamers (1995), Impostor (2000), Minority Report (2002), Paycheck (2003), l'interessante esperimento di A Scanner Darkly (2006), Next (2007).

E ora si è fatto avanti Terry Gilliam, l'unico americano dei Monty Pithon, regista eclettico, spumeggiante, dotato di un'inventiva senza fine, barocco negli infiniti ghirigori di cui sono infarcite le sue storie, spericolato nel mescolare senza remore stili e registri molto diversi tra loro, profondamente postmoderno nella passione per la citazione. Ha firmato due classici della fantascienza come Brazil (1985) e L'esercito delle dodici scimmie (1995). La prima in particolare è un'opera che sprigiona ancora oggi tutta la forza visionaria di Gilliam. I temi di cui tratta sono per certi versi affini a quelli tanto cari allo stesso Dick: lo stato come macchina senza senso e opprimente, presenza di più piani di realtà, il singolo che si "risveglia" e si trova ai bordi della società, la psichedelia, simbolismi ossessivi incarnati in oggetti della modernità (lo spray di Ubik, i tubi nelle case di Brazil).

E Jones creò il mondo, sebbene non sia paragonabile ai grandi romanzi successivi di Dick, offre senza dubbio ulteriori spunti per l'avvicinamento fra i due: è la storia di Floyd Jones, un precog (un preveggente, sebbene in questo caso possa guardare avanti solo di un anno), che vive in una realtà distopica dove esiste un unico governo, il FedGov. La sua missione è quella di mantenere la pace. Come? Mettendo al bando tutte le ideologie e affermando una sorta di "relativismo di Stato", nell'ambito del quale nessuno è autorizzato a sostenere che sia vero ciò in cui crede. Le uniche verità professabili sono quelle fondate sui numeri. Grazie ai suoi straordinari poteri, Jones sarà presto in grado di rovesciare il potere e diventare un salvatore, oppure un tiranno, l'ambiguità non si risolverà mai. Si tratta in ogni caso di un futuro allucinato, in cui esperimenti genetici e gli effetti di una guerra nucleare hanno creato schiere di mutanti con le deformazioni più diverse, molti dei quali sbarcano il lunario come fenomeni da baraccone nell'industria dell'intrattenimento. 

C'è da scommettere che Gilliam si starà fregando le mani al pensiero di figure come queste, lui che ama riempire le pellicole dei personaggi più strani. Noi invece speriamo che una joint venture così solleticante non faccia la fine di The Man Who Killed Don Quixote, progetto ambizioso a cui Gilliam lavorò nel 2000 e che fu tormentato da una serie incredibile di sfortune in fase di produzione, non ultima qualche difficoltà derivante dalle turbolenze caratteriali dello stesso regista, tanto che alla fine fu abbandonato (anche se ora è stato ripreso e forse uscirà nel 2011). Il tutto è raccontato Lost in Mancha, documentario consigliato a chi volesse distrarsi in attesa di ulteriori notizie su come Gilliam creerà il mondo, prendendo spunto da Dick.