No. Loro ci consacrano, poi tornano nei loro spazi aerei sconfinati, brulicanti di sentieri invisibili, dove c’è l’immortalità che i primi padri e le prime madri hanno perso calpestando questo suolo alieno e respirando quest’aria venefica.

Fra lo stentare a crederci e il crederci anche troppo, è passato solo il frangersi di un’onda sugli scogli.

Quell’onda per cui e con cui dal tempio mi sono fatta rigettare.

Ho visto davvero tutti loro. Lì.

Aplu era magnifico. I boccoli miele si confondevano sulla pelle bronzea d’eterno ragazzo. Turan era la personificazione della bellezza stessa. Talmente radiosa da non poter essere descritta a parole. Tinia si stagliava imponente e severo al centro della schiera; poi ancora Fuflus, colui che diede il nome alla nostra stessa città, ebbro del vino rosso di queste terre, Maris furioso, Atremis la cacciatrice, e così via tutti gli altri, fino alla bugiarda e sporca Mnerva, che ci ha negato tutto quel che ha voluto negarci.

Pure gli occhi degli dèi sono nuvolosi, a Popluna.

Da parte mia, non sono riuscita a dire quel che avrei voluto dire a nessuno di loro.

Tranne a Uni.

Una madre sa sempre cosa pensa un figlio guardandolo negli occhi. Anche una Madre di Dio.

C’è stato come un fremito sulle sue ciglia; si è appoggiato quasi fosse libellula su uno stelo, poi la Dea ha voltato lo sguardo come per nascondere a me un pensiero di cui non sarei stata all’altezza, secondo la sua opinione divina.

Ma un figlio sa sempre cosa pensa un genitore di lui; soprattutto quando non se ne sente all’altezza. Allora ho capito che Uni sa.

Uni sa che tutto questo mi ha disgustata e che non mi sentirò mai né in grado né in dovere di rispettare le loro regole, finché loro non rispetteranno me... noi.

Tutti belli, tutti celestiali... e capisco che non ho voglia di ricordare, per la delusione che mi hanno dato.

Inspiro l’aria densa e salata e mi compiaccio nel sentire che il sole sta accarezzando la mia pelle e squarciando il velo di ferro sospeso nel cielo, proprio nel momento in cui ho preso coscienza di quello che sono e di quello che voglio: io vengo dalle stelle e non voglio che gente a mia immagine e somiglianza si prenda gioco di me.

Non ha senso dirsi loro figli se non ci vengono insegnati la loro arte e il loro sapere.

Niente ha senso, a questo punto.

Io voglio sapere dove finisce il mare; dove cadono gli intestini degli dèi nel cielo brillante e lattiginoso a metà della luna di herma. Voglio sapere se, raggiungendo il sole, sarò sulla buona strada per recarmi da loro.

Quando sarò arrivata, Uni me lo confermerà, no?

Mia madre, quella carnale, deve avermi vista rientrare da lontano ieri sera, perché è uscita dalla capanna e mi ha attesa con l’apprensione stampata sul volto bruciato dal sole.

Ho ringraziato Uni perché fosse sola, in quel momento.

– Che ci fai qui? – mi ha chiesto.