A un milione di chilometri dall'obiettivo il sistema iniziò la procedura di ripristino del supporto vitale.

Quando la pressione dell'aria raggiunse i 1013 millibar e la temperatura interna dell'abitacolo i 297 kelvin il sottosistema criogenico iniziò la procedura di rianimazione. La vasca venne riscaldata quasistaticamente fino a che il corpo non raggiunse i 283 kelvin, quindi cominciò la delicata procedura di sostituzione dello speciale liquido conservativo con il sangue, preventivamente riscaldato. Quando il corpo raggiunse i 309 kelvin la vasca di aprì e si accesero le luci.

A quattrocentocinquantamila chilometri dall'obiettivo una scossa elettrica riattivò il battito cardiaco. Quasi contemporaneamente le pompe si gonfiarono e venne forzata la riattivazione della respirazione.

L'uomo tossì e aspirò l'aria con violenza, come se stesse soffocando.

Nei primi istanti le pupille si agitarono disperatamente, come se non capisse dove si trovava. Il battito cardiaco, sebbene stabilizzato con l'aiuto di sostanza chimiche, era più rapido del normale, ma dopo un minuto arrivò a normalizzarsi.

Dopo qualche istante il respiro si stabilizzò e l'uomo si levò a sedere. Con calma, respirò ancora qualche minuto, senza muoversi. Si guardò attorno. L'abitacolo era poco più grande della vasca criogenica in cui si trovava, non più di tre metri cubici. Gli indicatori luminosi non segnalavano nessuna anomalia.

A duecentocinquantamila chilometri dall'obiettivo l'uomo rimosse i quattro aghi delle flebo da braccia e gambe e slacciò le cinghie che lo tenevano ancorato alla vasca. Provò a muoversi; si fermò un istante, poi provò di nuovo. Stava recuperando rapidamente la piena funzionalità fisica.

Ancorandosi a un sostegno sul soffitto su alzò in piedi e cominciò a fare qualche movimento per saggiare la risposta dei muscoli. Era nudo: da uno scomparto estrasse alcuni indumenti di cotone leggero e li indossò.

A cinquantamila chilometri dall'obiettivo, l'uomo si avvicinò alla postazione di controllo e si assicurò con una cinghia alla poltroncina. Con mani esperte azionò i sistemi di verifica e ne controllò i risultati. Tutto era perfettamente funzionante, la posizione nello spazio era esatta e l'obiettivo era dove doveva essere.

Per la prima volta da quando si era risvegliato, l'uomo finalmente alzò gli occhi agli schermi che mostravano lo spazio attorno all'astronave. Impiegò qualche istante per orientarsi, e finalmente riuscì a individuare il Sole. A centoventinove unità astronomiche di distanza non era più luminoso di una qualsiasi dei milioni di stelle che brillavano sullo schermo.

A diecimila chilometri dall'obiettivo, l'uomo si alzò e si avvicinò alla ingombrante tuta spaziale che era fissata alla paratia dietro di lui. Con gesti esperti ne verificò le condizioni. Con una lenta capriola, resa possibile dall'assenza di gravità, infilò le gambe nella tuta senza staccarla dalla paratia. Quindi passò a infilare le braccia nelle grosse maniche. Con più difficoltà, dovendo ora lavorare con le mani dentro i grossi guanti, chiuse accuratamente la tuta, quindi finalmente fece scattare le chiusure dei ganci che lo fissavano alla parete e fu libero di fluttuare. Da un comparto estrasse il casco e lo indossò, fissandolo alla tuta.

Per qualche minuto verificò che i dati relativi a pressione, temperatura e ossigeno fossero corretti e che tutti i sistemi della tuta fossero perfettamente operativi. Poi aprì la valvola per la depressurizzazione dell'abitacolo.

Quindi si fermò ad aspettare.