Poi, però, c’erano stati i primi soggetti difettosi. Qualcosa andava storto subito dopo la prima connessione, lo avevano anche spiegato in tv; era come se i ricordi di alcuni di loro uscissero improvvisamente dai confini e si disperdessero nella Rete. Gli androidi ai quali era toccata questa disgrazia perdevano lentamente il proprio passato, acquisivano per errore memorie sparse di perfetti sconosciuti; man mano che il tempo passava, trattenevano sempre meno ricordi e finivano col diventare nient’altro che simulacri vuoti in balia del caos, bambole spaventate prive di ogni contatto con la realtà. Proprio come Brando. Quando l’uomo emerse dalla rada folla e le si parò davanti, confuso e stremato, Nina riconobbe subito quel suo modo insopportabile di camminare. Estrasse una sigaretta dalla borsa e l’accese in silenzio, la testa china, accompagnata dalla sensazione che il rumore delle cascate l’avrebbe inghiottita e trascinata via assieme alle ceneri dei pellegrini.

- Io... - iniziò Brando, grattandosi la nuca imbarazzato - Ciao.

- Sei in ritardo - replicò acidamente Nina - Perché hai quell’aria distrutta?

L’uomo scosse la testa. - C’è un... Un avvocato che mi perseguita. In questo momento è accanto a te.

Nina si guardò intorno.

- No, lascia perdere - concluse lui in un’alzata di spalle. - Senti, che ne dici di andare? Non è prudente restare in un posto così affollato.

La donna sospirò, abbassò lo sguardo e lasciò cadere la sigaretta sull’asfalto. - Che cosa hai combinato? - disse, dando il colpo di grazia al mozzicone con la punta della scarpa. Poi, si allontanò dalla ringhiera facendo cenno a Brando di seguirla.

- Non lo so - rispose lui. - Non me lo ricordo più.

* * *

Piccole campanelle appese a sottili nastri rossi. Pendevano dai battenti della finestra aperta e oscillavano al vento, tintinnando melodicamente.

Tin tin tin...

Brando era immobile e le osservava rapito. Il sole entrava dai vetri aperti così forte da accecare, e la luce sfumava i contorni delle campanelle rendendole simili alle immagini di un sogno. L’uomo allungò una mano verso i nastri rossi, fece per sfiorarli ma poi si fermò; quel suono dolce, perduto in un ricordo che non riusciva ad afferrare, gli parve la cosa più bella che avesse mai udito. Accanto a lui, l’olo-avvocato se ne stava finalmente zitto.

- Questo sarebbe Brando? - disse una voce femminile alle sue spalle.

Brando si volse. Nina era appena entrata nella stanza, accompagnata da una ragazza dai lineamenti asiatici apparentemente molto seccata. Era stata lei a parlare, un attimo prima.

- Ti ricordi di Mei-Xing? - gli chiese sua sorella, indicando la donna - E’ la co-proprietaria della pensione.

- Ciao - mormorò lui, imbarazzato - Mi ricordo di te... Più o meno.

Mei-Xing scosse la testa e si rivolse a Nina, ignorandolo. - Vado a pulire il cortile - disse. Si congedò con un cenno appena percettibile del capo e scomparve oltre la porta.

- Ti ricordi di questo posto? - domandò Nina, improvvisamente addolcita. Poggiata con la schiena alla parete, giocherellava con le lunghissime maniche del suo maglione.

- Qui siamo cresciuti, era l’albergo di nostra madre - rispose Brando dopo qualche istante. - Mi ricordo quelle campanelle. Non so perché.

La donna scosse la testa. - Questo non è possibile, le abbiamo messe alle finestre della pensione dopo che tu... Dopo che sei andato via.

Il vento fece tintinnare le campanelle un’altra volta.

- Il bello di questo posto è che il rumore del Niagara si sente anche da qui - mormorò Nina, chinando la testa all’indietro fino a toccare il muro. - Tu non hai gettato le tue ceneri nella cascata, vero?

- Non lo so. Non me lo ricordo, comunque non credo.

La sorella sorrise. - Ecco perché sei stato così sfortunato, allora.

I due rimasero in silenzio per qualche istante. In sottofondo, il tintinnìo delle campanelle e l’eco lontana del Niagara avevano preso il posto delle parole.

- E’ meglio se ti fai una doccia e riposi un po’ - disse Nina all’improvviso, tornando seria. - Il raduno è oltre il bosco, alle dieci e mezza di stasera. Il tipo che organizza la cosa è una persona fidata, ti accompagnerà all’aeroporto oltre l’ex confine. Useranno qualche vecchio cargo di quelli che portavano l’acqua alle colonie, e prima che tu te ne renda conto sarai su Marte, lontano da questa merda. Certo vivere da clandestino non sarà facile, ma sono sicura che ti arrangerai. E’ probabile che i primi tempi dovrai fare l’elemosina.

- Presto sparirò del tutto - rispose Brando, malinconico. - Prima che abbiano il tempo di espellermi dalla colonia, di me non sarà rimasto quasi nulla. Fare l’elemosina non mi spaventa.

Una forte folata di vento scosse i nastri delle campanelle, che emisero un suono sordo.

- Dimenticavo - disse l’uomo, mentre Nina si avviava in silenzio verso l’uscita. - Non ho bisogno di lavarmi e dormire, adesso.

* * *

Il sole era calato già da un pezzo. La jeep di Nina procedeva lungo i sentieri asfaltati che attraversavano il bosco; la radio diffondeva nell’abitacolo una canzone a basso volume, una voce femminile e squillante piuttosto orecchiabile.

Brando lanciò un’occhiata al retrovisore, che gli restituì l’immagine dell’olo-avvocato immobile sul sedile posteriore.

- Ciò che sta facendo va contro le possibilità che le offre la sua situazione - disse il software non appena i loro sguardi si incrociarono. - Se spera che io sparirò una volta superati i satelliti-server, devo comunicarle che è in errore.

Brando sospirò.

- Non appena oltrepasserà i satelliti, il mio software subirà un up-date e diverrà una versione più avanzata di me, in grado di seguirla anche al di fuori del pianeta.

- Perché non vai a farti fottere? - disse Brando.

Nina lo fulminò con lo sguardo. - Ma come ti permetti, brutto deficiente!

- Scusa scusa scusa - ripetè il fratello, agitando le mani. - Non parlavo con te, lo giuro!

- E con chi parlavi?

- Con l’olo-avvocato - rispose lui, indicando il sedile posteriore. - Te l’ho detto, me ne hanno messo uno alle calcagna.

Nessuno udì le sue ultime parole. Una sagoma nera guizzante e rapida comparve all’improvviso tra i coni luminosi dei fari anteriori; la jeep scartò lateralmente, accompagnata dallo stridere dei freni. Poi, inevitabile, un tonfo sordo sul cofano.

Brando si era aggrappato al sedile con tutte le sue forze; quando finalmente l’auto si fermò, i presenti tacquero. Nina ansimava spaventata. La radio, ancora accesa, continuava a diffondere la stessa voce squillante di prima.