Ricordate Straint Street, la strada meno raccomandabile di New Venusport, squallido avamposto coloniale dimenticato da qualche parte a ridosso della Spiaggia dalla Appalti Militari Terrestri e presto caduto, come ogni avamposto coloniale che si rispetti, nella mano della più spietata e inesorabile criminalità? M. John Harrison, veterano inglese della New Wave, vi aveva già ambientato le scorribande notturne di Ed Chianese e di Tig Vesicle, singolare e ingenuo Uomo Nuovo. Le loro avventure si intrecciavano con altre due linee narrative in Light, il romanzo che lo scorso febbraio – dalle pagine di Urania – ha rivelato al pubblico italiano questo importante autore dopo diversi anni di assenza dal nostro panorama editoriale. Luce dell’universo, nell’evocativa traduzione di Vittorio Curtoni, uscì in quell’occasione a quattro anni di distanza dalla sua apparizione in Inghilterra, forte di un palmares di tutto rispetto: il James Tiptree Award 2003 suggellava l’entusiasmo generale con cui la critica specialistica e non aveva accolto il romanzo. E la platea dei lettori si divise, tra accaniti sostenitori invasati dall’allure della scrittura di Harrison e schiere di critici detrattori disgustati dalla scabrosità di certi temi affrontati o infastiditi dalla smodata ambizione che serpeggiava fra le sue righe. Reazione giustificata in entrambi i sensi, come spesso accade davanti alle opere veramente innovative, quelle che non mancano mai di suscitare accesi dibattiti, mettendo a nudo – e attizzando – le divisioni tra prospettive e concezioni diverse di un intero genere.

Ebbene, le pur nutrite schiere degli oppositori di Harrison si mettano pure l’anima in pace: il 2 novembre di quest’anno uscirà sul mercato inglese Nova Swing, il primo romanzo dell’autore dopo Light. 80mila parole che nell’edizione commerciale peseranno – come rileva simpaticamente M. John Harrison dalle pagine del suo blog – 10.6 once (vale a dire 300 grammi esatti). Dato alle stampe da Gollancz nella sua collana dedicata alla fantascienza (che già aveva ospitato il precedente Light), il romanzo ci riporterà nell’atmosfera decadente che pervade i mondi alle propaggini del Fascio Kefahuchi, l’anomalia galattica che reca il segno di una immensa civiltà aliena ormai estinta da eoni e che nella fantasia di Harrison si accende di una luminosità sovrannaturale: “… un vapore stazionario di fisica incerta”, “il Fascio Kefahuchi si stendeva attraverso la notte remissiva del cielo come il principio generatore di qualche antica cosmologia”. Ma come precisa lo stesso autore dalle pagine del suo sito, Nova Swing più che un seguito di Light è un romanzo indipendente ambientato nello stesso universo.

Nuovi personaggi intrecceranno le loro storie nell’alone surreale dell’influsso del Fascio, come è possibile intuire dall’estratto pubblicato nella sezione dedicata del sito, che vede l’intraprendente Vic Serotonin (un personaggio che pare uscito dal più classico hard-boiled) alle prese con la classica dark lady (Elizabeth Kielar, donna dal passato fumoso e dall’ancor più nebuloso futuro), in un confronto serrato che tende a scivolare sul terreno della trascendenza.

M. John Harrison, che ha esordito nel 1966 ed è stato poi curatore della narrativa per la bibbia della New Wave, New Worlds ai tempi della conduzione di Michael Moorcock, attualmente è recensore per la narrativa di prestigiose testate come il Guardian, il Daily Telegraph e il Times Literary Supplement. Esteta della parola e ricercatore instancabile, con Light ha ormai intrapreso un’opera di rinnovamento dei topos classici della fantascienza (la space opera, la saga spaziale dalla prospettiva spaziotemporale vertiginosa) che riprende gli insegnamenti di quello che forse è stato il più scapigliato e geniale maestro del genere, quel Samuel R. Delany che tra gli anni Sessanta e Settanta ha portato l’immaginario fantascientifico all’estremo della riflessione critica con opere del calibro di Nova e La Ballata di Beta-2 (ma lunga sarebbe la lista: Babel 17, Stella Imperiale, Una favolosa tenebra informe, Triton) per poi cedere il testimone alle nuove generazioni, tra cui si è distinto un altro suo discepolo dichiarato come William Gibson. Al suo sperimentalismo instancabile e al suo approccio critico al genere, capace di metterne in discussione gli elementi consolidati in un processo incessante di ridefinizione dei confini, si ispira ora M. John Harrison. E per questo, che piaccia o meno il suo stile levigato e barocco, che si apprezzi o si odi il suo slancio trasfigurativo volto all’ibridazione dei generi, ogni suo nuovo libro non può passare inosservato.