Cosa dovrà attendersi l’appassionato di fantascienza dai prossimi mesi? Triste a dirsi, ma non gli resterà forse molto altro da fare oltre ad accontentarsi. Il motivo è semplice: l’evento editoriale dell’anno, il mondo della fantascienza lo ha probabilmente già “sprecato” nei giorni scorsi. Accompagnato da uno strillo di copertina che una volta tanto sembra rispecchiare la sostanza, è infatti uscito per Urania, come supplemento al numero di febbraio, Luce dell’universo (Light), di M. John Harrison, pubblicato in Inghilterra nel 2002 e vincitore l’anno seguente del Premio James Tiptree, ex-aequo con Storie da uomini di John Kessel (pubblicato sempre da Urania, nel celebrativo n. 1500).

Il romanzo dipana tre storie parallele su diversi piani di narrazione, sviluppando premesse che non possono non affascinare il lettore. Alla vigilia del nuovo millennio, Michael Kearney è uno scienziato inglese alle prese con ricerche promettenti nel campo della computazione quantistica, ma è anche perseguitato da un'entità sfuggente e misteriosa. Nel 2400 il capitano K Seria Mau Genlicher solca gli spazi interplanetari a bordo del suo sofisticato vascello militare, quando s'imbatte in un incomprensibile manufatto che la proietta in un intrigo politico che rischia di scaraventare l'intera Galassia sull'orlo di una guerra senza precedenti. Ed Chianese ha smarrito da tempo il ricordo del proprio passato e adesso cerca di sopravvivere barcamenandosi nel sottobosco criminale di New Venusport, quando il passato gli si ripresenta per riscuotere il conto. Frattali, manipolazione genetica, effetti quantistici e anomalie scientifiche vengono affrontate con disinvoltura nelle densissime 340 pagine di questo romanzo. Ma Harrison trova il modo di non annoiare mai il lettore, circoscrivendo il dominio delle scienze applicate e della matematica a un ruolo di puro contorno, che comunque riesce a illuminare la scena con chiarezza folgorante. Luce dell’universo viene così a essere un viaggio caleidoscopico sospeso tra il passato recente e il futuro remoto dell’umanità, il cui punto di arrivo (e di partenza) è la scoperta del Fascio Kefahuchi e della tecnologia per raggiungere i suoi margini frastagliati comunemente noti come “la Spiaggia”, già frequentati nel passato da innumerevoli civiltà e per questo disseminati di (spesso) incomprensibili ma (comunque, sempre) preziosissimi manufatti alieni. Mistero, azione e avventura spaziale sono gli ingredienti estremi che Harrison mescola in questo cocktail esplosivo, confezionando un tour de force adrenalinico ai confini dell’immaginazione. Luce dell’universo travolge così il lettore in un turbine caleidoscopico che strizza l’occhio a modelli letterari del calibro di William S. Burroughs e Thomas Pynchon, omaggiati implicitamente nella frammentarietà dell’azione e nel registro espressivo modulato tra l’iperrealismo scientifico e i toni del vaudeville, ma anche a classici consolidati o di recente acquisizione come Ray Bradbury, William Gibson e Dan Simmons. La riuscita dell’operazione deve molto anche alla grande esperienza dell’autore, alla sua meticolosa attenzione stilistica, alla straordinaria capacità di gestire gli eventi, dosando l’azione e le rivelazioni in maniera da tenere sempre ben desto l’interesse del lettore, senza mai scadere nel facile gioco fine a se stesso o nello sterile esercizio di stile.

Michael John Harrison è nato nel 1945 a Warwickshire, in Inghilterra. Dopo aver pubblicato il suo primo racconto nel 1966, dal 1968 al 1975 è stato curatore per la narrativa della celeberrima rivista New Worlds. Con Michael Moorcock e James Graham Ballard è stato uno dei protagonisti della New Wave. Il suo primo romanzo, The Pastel City, pubblicato nel 1971 è stato tradotto nel n. 809 di Urania come La città del lontanissimo futuro. Nel 1982, con In Viriconium, che passando per A Storm of Wings conclude un’ideale trilogia, è stato finalista al Guardian Fiction Prize. L’intero ciclo di Viriconium, comprensivo anche dei racconti di Viriconium Nights (1984), è stato pubblicato nel 2000 in una omnibus edition. Sorte toccata anche ai due romanzi che hanno preceduto Luce dell’universo, ovvero The Course of the Heart (1992) e Signs of Life (1996), riuniti nel 2005 in un unico volume dal titolo Anima. Per sua stessa ammissione, il suo vero amore è la scrittura di racconti e nel 2002 le sue principali raccolte (The Ice Monkey, 1985, e Travel Arrangements, 2000) sono state fuse con altro materiale inedito in un’unica antologia: Things That Never Happen.

Le sue doti speculative hanno portato M. John Harrison a interpretare le tendenze più vive, sebbene sotterranee, della fantascienza, come quando ha anticipato il cyberpunk un decennio prima dello storico Neuromante di William Gibson, prefigurandone scenari, situazioni e moduli stilistici in The Centauri Device, romanzo del 1975. Harrison, che attualmente scrive critica per il Times Literary Supplement, è stato definito da un astro nascente della SF come Richard K. Morgan (Bay City, Angeli Spezzati) “il più grande stilista nella prosa che operi nella lingua inglese in ogni genere”. E questo giudizio rende merito dell’opera di traduzione svolta dal grande Vittorio Curtoni, capace di conservare il potere evocativo e la cura scientifica del testo originario.

Di Harrison, purtroppo, oltre ai due volumi citati non si è visto molto altro in Italia, se si esclude qualche occasionale racconto. Ma dalle note sull'autore curate da Giuseppe Lippi in chiusura di Luce dell'universo si evince la volontà di Urania di curare la riscoperta di un autore che nel nostro paese è stato finora penalizzato, in maniera del tutto incomprensibile, dalla scarsa visibilità. E per l'appassionato questa potrebbe essere l'occasione per capire (rubando le parole proprio a Curtoni) dove la fantascienza sta volando...