Marino Sezzi crede di fare la spia. Lavora nei servizi segreti italiani. Sta seduto tutto il giorno in una biblioteca e legge tutti i giornali, li controlla, scorre i pezzi uno per uno. Da qualche tempo, il suo compito è quello di leggere gli articoli degli opinionisti di origine mediorientale: controlla che nel testo non si nascondano messaggi in codice, cifre segrete che potrebbero attivare qualche terrorista dormiente, un kamikaze che entra in funzione a distanza di anni, che sa quello che deve fare, morire cioè, ma non sa quando verrà il suo turno.Marino Sezzi si chiede come mai questi qui, questi orientalisti, non li ammazza nessuno. Come mai questi arabi travestiti da porta a porta non li sparano mai. Muoiono professori universitari - italiani - soldati - italiani - giornalisti - italiani - ma questi non muoiono mai. E sono tutti dei rinnegati, hanno abbandonato la loro sponda, quella di Maometto, per mangiare maiale sulle coste avversarie, per vendersi al nemico occidentale. Però non muoiono, a farli fuori non ci ha ancora pensato nessuno.

Forse fanno finta. Fingono di stare dalla nostra parte, ma in realtà sono degli infiltrati.

Marino Sezzi segna tutto quello che gli sembra strano, ogni incongruenza del linguaggio, ogni distorsione dei fatti realmente avvenuti - perché i servizi segreti lo sanno come sono avvenuti sul serio i fatti - e manda tutto al superiore.

E intanto, nel suo covo scavato da qualche parte in quella fogna che è l’Afghanistan, che puzza di morte lontano un chilometro, che anche ai militari americani gli veniva da vomitare solo a pensarci o magari in Arabia Saudita, coccolato da qualche reuccio, vezzeggiato da meravigliose odalische, Osama Bin Laden si masturba.

Udite udite, il principe del terrore, l’uomo più pericoloso del mondo si fa una sega. E come si deve anche. Si siede sul water e pensa. Non usa giornalini, non guarda film. Pensa alla sue - quante sono? - undici mogli, le pensa nude, spoglie di ogni pudore al suo cospetto. E muove la mano su e giù, senza interruzione, rallentando solo un po’ il ritmo verso la fine.

E pensare che c’era una volta una principessa che raccontava favole. Ne raccontava una ogni notte, ad un re malvagio che non voleva lasciarla libera, ma desiderava ucciderla dopo avere avuto dei rapporti sessuali con lei.

Forse però era una serva e allora tutto cambia. Tutto diventa più basso, più becero. Tutto si insaporisce di dita consunte, di mani che puzzano di cenere (perché il bucato allora si faceva con la cenere), mani che infastidiscono al contatto con la pelle della schiena. Il re si sarebbe sicuramente infuriato per questa indelicatezza e non le avrebbe risparmiato la vita. Ma deve aver visto, il grande sultano, le mani della giovane e deve avere pensato che forse era meglio farsi raccontare qualche storia.

Intanto, però, quando si ritirava nel bagno regale, anche lui si faceva una sega.

Anzi, è più probabile che qualcuno gliela facesse, perché le mani regali non sta bene si macchino di certi vizi.

C’è nell’angolo della parete un gigantesca cimice che osserva e sta zitta. Non si può osservare se non si sta zitti. Fare molta attenzione alle espressioni del volto, alle modificazioni d’inclinazione delle labbra. La cimice osserva e sta zitta. Ma annota tutto. Sa che prima o poi avverrà qualcosa e può darsi che sia qualcosa di brutto, qualcosa che la spappolerà al terreno, facendola in mille pezzi, anzi in mille spicchi sbavezzati e imbrattati di muco, mentre nell’aria si sparge un vomitevole tanfo cimicioso.

Per questo è importante prestare attenzione, essere sicura di non aver perso neppure un indizio durante la giornata. Eppure qualcosa sfugge sempre. La fine è inevitabile e vicina.

Siate accorti come cimici, vi dico.

Allo stesso modo, c’è Gregor Samsa che si sveglia una mattina nel suo letto, ma non è diventato uno scarafaggio. Si guarda, cerca di capire cosa sia successo. Però non è un insetto, è solo lui, un insignificante commesso viaggiatore. Non si da pace, si siede al tavolo, piange, prega il suo creatore di ridargli una natura che sia almeno aracnide, ma quello non ascolta. La vita prosegue costante, immutata, secondo una sottile linea di basso. Ecco, bella situazione kafkiana, eh, Samsa? Bel momento del cazzo, commesso viaggiatore di merda. Non ti è successo nulla, vai avanti per la tua strada altri venti, trent’anni. Poi crepi, senza che nessuno si sia accorto di te, senza che nessuno ricordi il tuo nome, senza che una donna ti abbia scopato mettendoci non dico amore - sarebbe troppo anche per un altro, non credi? - ma almeno interesse, un briciolo di erotismo.

Povero Gregor, distrutto.

Forse anche lui, adesso, entra nel bagno e si fa una sega, si masturba, lentamente, senza pensare chi sono cosa faccio nella vita dove vado e i soldi dove li prendo. Forse è così, ma non so, non lo vedo.