Come avesse seguito il flusso dei miei pensieri, la mia amica intervenne:

Ha i polmoni schiacciati dal peso della terraferma. Come una balena spiaggiata Morirà soffocato. - E, rivolgendosi a lui con voce gentile:

- Non so quanto potrai durare, così. Tra poco non riuscirai più a respirare. Non possiamo fare nulla per te?

Da più di un'ora eravamo accanto a lui. Eravamo andati a cercare un poco noto affioramento di ittioliti che compare a livello del mare dove le onde scalzano la roccia sotto la falesia. Piccole forme enigmatiche e ischeletrite immobili nella marna azzurra. Pesci fossili insomma, talvolta accompagnati da pallide larve di insetti palustri. Del Messiniano, dicono i geologi. Altri tempi, fantasmi concreti di qualche milione di anni fa...

Mentre camminavamo ci aveva incuriositi un'ombra enorme che lontano s'intravvedeva sulla spiaggia. Avvicinandoci la si vedeva muovere debolmente, ondulare sollevata dal respiro del mare. Subito la mia amica, Letizia, annunciò un delfino: una stenella o un tursiope spiaggiati. Ma era ancora più grande. Ma ora eravamo di fronte a questa creatura che aveva suscitato la nostra meraviglia, e così disteso sulla spiaggia sembrava proprio un cetaceo sfuggito alle spadare e venuto a morire sulla riva. Forse avremmo dovuto trovare i mezzi adatti per rimetterlo in acqua, perché era evidente che era una creatura marina. Ma il "pesce" mi aveva chiesto di non fare nulla.

Letizia lo osservava con occhi neri e intenti e le sue sopracciglia formavano una linea aggrondata di interesse e preoccupazione.

Sì, quella creatura era decisamente troppo grande per poterla trascinare in mare. Mentalmente cercai di misurarlo: a occhio e croce, non doveva misurare meno di sei-sette metri. Una sorta di corta pinna longitudinale, quasi una cresta grigio argento, correva dalle ascelle lungo i fianchi fino alle caviglie, orlandolo come una piega molle, ora che era più di metà fuori dall'acqua. Mani e piedi erano palmati, un po' più grandi della norma, come un tritone nei disegni di Froud per i libri delle creature marine, o i tritoni in una tavola di Ulisse Aldrovandi.

Da soli certamente non saremmo riusciti a smuoverlo, e lui non lo voleva fare. Letizia era una ragazza alta dai capelli neri, snella e forte ma certamente anche in due non saremmo stati in grado di spostare quella montagna di carne e non potevo non paragonarlo alle dimensioni di un'orca, ai delfini spiaggiati, alle balene morenti che, imbragati tra mille difficoltà, venivano trascinate un po' al largo dalla forza del motore di una barca. E spesso, testardamente, puntavano di nuovo a riva fino a lasciarsi arenare ancora.

Improvvisamente la voce profonda della creatura si alzò di nuovo, frusciante e potente a interrompere i nostri pensieri.

- Venivo su questa costa a parlare con le foche. Loro arrivavano d'inverno dopo aver attraversato l'Adriatico. Spingevano avanti a sé i loro piccoli e li mettevano in guardia dal pericolo delle grandi orche bianche e nere. Erano rapide ed eleganti forme che guizzavano ovunque, agili, dai grandi occhi dolci e i lunghi baffi tremanti, sempre con la voglia di giocare. Voi uomini li chiamavate vitelli marini e li trascinavate nelle fiere. A loro non piaceva. E morivano. Questo luogo mi è caro, tra queste scogliere cacciavamo spigole, i grandi cefali dalla bavisa d'oro, corvine e brune grancevole irte di spine e ricche di uova rosse. Talvolta stanavamo i grandi lupicanti dalle loro tane fangose, i grilli di mare. Con le foche giocavamo nell'acqua bassa. Io mi rotolavo nella sabbia dei fondali ed esse prendevano per me i rombi maestosi, le torpedini e le grosse anguille che facevo fuggire dalle loro cavità sotto la sabbia. Anche i pescatori ci salutavano e, quando ancora accompagnavano le barche da pesca, i Tagliatori del vento, parlavano con me.