Un giorno la cameriera, stanca del casino di casa mia, si licenziò. Il week-end successivo i miei genitori tornarono a casa dopo circa un mese che non li vedevo. Mostrai loro l'invenzione e spiegai cosa stavamo facendo. Mio padre mi diede due settimane di tempo per sgomberare casa, ma, in compenso, disse che se io e i ragazzi facevamo sul serio avrebbe valutato l'ipotesi di finanziarci.

Il lunedì successivo discutemmo del nostro futuro. Ci interrompemmo solo nel tardo pomeriggio e, a quel punto, Romeo chiamò Matteo e gli fece sentire una combinazione al suo PC. Matteo sbiancò, guardò l'orologio e se ne uscì di corsa. Romeo prese il carrello dei liquori, lo svuotò e ci mise sopra il suo computer. A noi altri fu rifiutata qualsiasi spiegazione, così me ne andai in terrazzo e cercai di riposare. Mi stavo quasi addormentando quando, all'improvviso, con il sole ormai pronto a tramontare, apparve una ragazza bellissima. Andava verso la ringhiera guidata da Matteo, Romeo li seguiva con il carrello. Fu allora che capimmo quello che stava accadendo, e quando Romeo girò l'interruttore, Elena, la sorella di Matteo, poggiò le mani sulla ringhiera e con gli occhi verso il cielo e le lacrime che le scendevano sul viso fino a congiungersi al sorriso più grande che abbia mai visto in tutta la mia vita, sentì, per la prima volta da quando era cieca, il tramonto carezzare i suoi lunghi capelli biondi.

Fummo finanziati da vari genitori. Per la fine dell'anno avevamo un laboratorio e un notevole catalogo di canali già esplorati. Estesi inoltre l'interfaccia in modo che fosse possibile creare delle composizioni di sensazioni. Venivano fuori come delle musiche, ma ovviamente non servivano orecchie per sentirle.

Elena si unì a noi e divenne l'esperta di composizioni; giudicava quelle degli altri, suggeriva modifiche, ne componeva di sue. Romeo legò molto con Elena e inventò un metodo molto originale per comunicare con lei. Scoprimmo un mare di sensazioni che non vengono mai provate dall'uomo, così Elena e Romeo ne scelsero ventisei a cui associarono le lettere dell'alfabeto. A questo punto Romeo collegò un software di riconoscimento vocale a una interfaccia scritta da lui e alla fine, parlando in un microfono, Elena riceveva una versione sensazionale del parlato. Matteo rimase stupito dell'originalità dell'idea ma continuò a pensare che, con qualche anno di ricerca in più, sarebbe stato possibile conseguire un metodo di trasmissione ancora migliore, che avrebbe eliminato la necessità, da parte di Elena, di tradurre le sensazioni in lettere prima di comprendere le parole. Elena, però, era molto contenta anche così.

Io e Matteo ci concentrammo su aspetti più pratici. Volevamo coinvolgere qualche grossa multinazionale per vendergli il brevetto dell'invenzione e farci finanziare le ricerche future. Per evitare il rischio di vederci fregare l'invenzione, realizzammo una versione dell'apparecchio in grado solo di riprodurre sensazioni, o composizioni di queste, registrate in precedenza, ma non di crearne di nuove. Era un apparecchio che, anche se ce lo fregavano, non consentiva di risalire all'invenzione completa.

A Capodanno festeggiammo tutti a casa mia. C'erano anche i miei genitori e mia nonna. Andai a prenderla al pensionato e la portai a casa. Ormai non capiva niente, non riconosceva nessuno, non parlava neanche. Ma le feci ascoltare qualche nostra composizione, e tutte quelle che le illuminarono il viso di piacere le registrai e gliele misi su uno dei nostri nuovi riproduttori, in modo che una volta al pensionato avrebbe potuto continuare ad ascoltarle.