Sono stato a lungo incerto se dedicare una puntata di Diaspora a Il cromosoma Calcutta. Si tratta infatti di un libro che ha vinto nel 1996 il premio Arthur C. Clarke come miglior romanzo di fantascienza; non sembrerebbe quindi un'opra "di confine"come quelle di cui ci occupiamo qui. A guardar meglio, tuttavia, questo splendido romanzo è invece uno dei casi più clamorosi di "fantascienza sotto mentite spoglie". Che il suo contenuto sia fantascientifico, mi pare fuori di dubbio: è ambientato nel futuro (sebbene sia un futuro prossimo facilmente estrapolabile dal nostro presente), e la trama nasce da una solida base scientifica (molto più solida, a dire il vero, di quella di molti romanzi SF) sulla quale è innestata un'idea fantastica assolutamente delirante, spaventosa eppure stranamente plausibile. Tuttavia l'autore, Amitav Ghosh, non si è mai occupato di fantascienza prima di scriverlo, né lo ha fatto dopo. Le varie case editrici che lo hanno pubblicato nel mondo (facendone un best-seller di rispettabili proporzioni) e gran parte della critica hanno evitato di presentarlo come un romanzo di fantascienza, preferendo utilizzare il termine "thriller", perlopiù temperato da qualche altro aggettivo (per esempi "thriller metafisico") allo scopo di allontanare il sospetto che potesse trattarsi di un romanzo di genere. Una tale cortina fumogena è riuscita a trarre in inganno gli appassionati di fantascienza, che non hanno dedicato al romanzo, almeno a mio avviso, l'attenzione che merita.

Di cosa parla Il cromosoma Calcutta? Di una serie di indagini concatenate. Tutto ha origine dalle ricerche che Ronald Ross condusse a Calcutta nel 1898 scoprendo il meccanismo di diffusione della malaria. Un secolo dopo, qualcuno dubita che quelle ricerche fossero corrette: Ross non ebbe il tempo e gli strumenti necessari per compierle. Ma allora, chi o cosa permise al biologo di arrivare al risultato? Quella che sembra un'indagine di interesse meramente storico e scientifico, si trasforma gradualmente in un incubo, mentre si intuisce che qualcuno manipola la realtà, qualcuno di talmente potente da poter usare gli esseri umani come inconsapevoli pedine.

Non è possibile dire altro senza rovinare il libro a chi non l'ha letto. Il romanzo si snoda di personaggio in personaggio, in ambientazioni alquanto insolite (un Egitto e un'India sempre in bilico tra globalizzazione e sottosviluppo), in un crescendo di paranoia e di suspense che tiene il lettore incollato alla pagina. Tuttavia Ghosh si sottrae alla tirannia della rivelazione finale, preferendo lasciare che la soluzione del mistero venga solo intuita. Il romanzo si conclude in maniera improvvisa e apparentemente senza un finale. Ma il lettore avveduto non può non chiedersi se questa mancanza non sia in realtà un modo ingegnoso e geniale per trascinarlo dentro la realtà del libro, una realtà in cui leggere una frase stampata in modo apparentemente casuale può trasformarci in pedine di un complotto. Il libro non termina perché ha ormai esaurito la sua funzione: anche noi, ora ci siamo dentro.