Particolari, benché meno insoliti, sono anche gli "alieni" che intervengono nelle ultime pagine di un celebre romanzo di James Blish, Il seme tra le stelle (Urania n. 189, 1958; The Seedling Stars, 1956). L'opera è in realtà una serie di quattro racconti staccati, basati su un tema comune: la colonizzazione di lontani pianeti, operata però non con il "terraforming" ma con un sistema opposto: l'adattamento di terrestri cosiddetti "condizionati" (tale la definizione nel romanzo, d'altronde in voga all'epoca), cioè manipolati per sopravvivere nei nuovi ambienti. Vediamo così, nel primo racconto, un uomo condizionato per vivere a temperature prossime allo zero assoluto, e che deve combattere una sorta di battaglia tra le nevi eterne di Ganimede, piccolo satellite sul quale viene paracadutato. Il suo metabolismo è stato completamente rivoluzionato, e Blish si diverte a descrivercelo. In un altro degli episodi, l'uomo (potremmo ancora chiamarlo tale?) è una specie di minuscolo rotifero che nuota nelle pozzanghere di un mondo sperduto, e per sopravvivere se la deve vedere istante dopo istante con altri piccoli organismi mostruosi almeno quanto lui (egli "è" comunque sempre un uomo, nel senso che continua a mantenere un'autocoscienza e un'identità umana nonostante tutto; e comunica con gruppi di suoi simili "seminati" nella stessa pozzanghera e in altre adiacenti).

Già questa storia è ai limiti del paradosso, ma nell'ultimo degli episodi accade qualcosa di ancora più paradossale, per il fatto che la Terra futura appare ormai resa inospitale dallo scempio ecologico e dalle guerre che si sono succedute:

Hoqqueath si volse e si alzò dal sediolino dei comandi. La Terra ingrandiva sotto di loro. Disse: - So benissimo quello che significa.... Temo invece, Capitano, che voi non abbiate compreso me. Anche la Terra ha dovuto essere seminata con uomini "condizionati"... Ormai, tutti gli abitanti delle migliaia di pianeti della Galassia dovranno rendersi conto di una cosa: che l'uomo di "tipo fondamentale" costituisce una minoranza trascurabilissima, nonostante le arie che si dà.

Che Hoqqueath fosse così assurdo da minacciare? Un ridicolo goffo uomo-foca altairiano, osava fare la voce grossa con il Capitano dell'Indefettibile? Hoqqueath disse ancora:

- Mi permetta una domanda, Capitano. Qui c'è il vostro pianeta natale. Su di esso scenderò io con la mia squadra. Voi oserete seguirci?

- Perché dovrei? - ribatté Gorbel.

- Ma per dimostrare la superiorità del tipo fondamentale! Non vorrete certo ammettere che un branco di uomini-foca si trovi meglio di voi, sulla terra dei vostri antenati...

Hoqqueath uscì dalla saletta, piantandoli in asso. I due si fissarono a lungo senza saper cosa dire, poi i loro occhi si posarono sulla lastra trasparente: là fuori, nello spazio, c'era la Terra, desolata e deserta.

Bene: se è sempre triste essere "straniero in patria", figurarsi quando si debba essere "alieno in patria"...

La parabola descritta nel romanzo di Walter S. Tevis L'uomo che cadde sulla Terra (Urania n. 357, 1964; The Man Who Fall to Earth, 1963) credo sia abbastanza nota, soprattutto per l'eco lasciata dalla rockstar David Bowie, che nel 1975 interpretò in modo penetrante il protagonista dell'omonimo film, diretto da Nicholas Roegg. E' la storia di Newton, personaggio fragile e misterioso che si rivela alieno giunto sulla Terra, per misteriose incombenze che concernono la salvezza del suo pianeta, in rischio di morte per disidratazione. "Newton", che ha apparenze umane anche grazie a un'idonea truccatura, porta con sé materiali che gli consentiranno di agire senza preoccupazioni finanziarie nelle alte sfere: possiede brevetti tecnologici del suo pianeta, per realizzare i quali la tecnologia della Terra dovrebbe lavorare ancora decenni, se non secoli. Eppure qualcosa non funziona. E questo "qualcosa" è, in definitiva, il meccanismo, l'ingranaggio stritolatore della società occidentale (consumistica, mafiosa, brutale, superficiale, edonistica, meccanicistica), che alla fine l'avrà vinta su Newton: lo ridurrà ad anonimo alcoolizzato, in preda a sogni falliti e lontani ricordi di un'altra rarefatta, idealizzata realtà.