Le erano amici. Tutti, indistintamente. L'accettavano per ciò che era e accanto a loro non si sentiva mai sottoposta a esami o giudizi. Sembravano contenti di poter fare qualcosa per lei.

I momenti più sereni erano quelli trascorsi a osservare il tramonto dalla terrazza della villa, con il gatto siamese che le faceva le fusa sulle ginocchia, o passeggiando con Robert in una Venezia addormentata, segnata qua e là dalle tracce del Carnevale.

- Anni fa l'ho vista, Venezia. Non era così. C'era immondizia dappertutto, e fetore. Piazza San Marco stava sotto un metro d'acqua fangosa. - La sua mano si riscaldava in quella di Robert. - Tutte le città stanno morendo. Se tu potessi uscire di qui e vederle...

- Perché dovrei, quando abbiamo questo? - Un lieve gesto della mano, quasi il gesto di un prestigiatore, a comprendere lo scenario verdedorato della Laguna.

- Perché... Perché non è la realtà.

- Non pensarci. - Il sussurro del giovane era appena più forte di quello delle lievi onde che sciacquavano le sponde del canale. - Per te deve esistere soltanto questo mondo, quando sei qui.

I silenzi erano piacevoli quanto le chiacchiere, quando Valeria rimaneva sdraiata ad occhi chiusi, contro la schiena la carezza vetrosa della sabbia o quella fresca dell'erba. E quando qualche dubbio che ancora le restava si traduceva in una domanda, c'era sempre qualcuno accanto a lei con una risposta.

- Che ne è stato dei modelli che vi hanno prestato il volto?

L'attrice bionda rise sottovoce. - Prestato, hai detto bene. Che cos'è un volto, l'aspetto esteriore? Loro si sono persi chissà dove nel tuo mondo. Noi siamo qui, e siamo noi stessi. - I suoi occhi grigioazzurri si assottigliarono in una tenue rete di rughette, cercando di mettere a fuoco il viso di Valeria. - Lei è morta. Suicidio, dicono. Ma io sono viva, e amo la vita.

- Anch'io la amo. E il non poterla vivere come meriterebbe.. è questo che a volte mi fa venir voglia di morire.

- Ma adesso puoi vivere come preferisci. Almeno di notte, insieme a noi.

* * *

Valeria non riceveva mai posta. Nessuno le scriveva e, del resto, il semplice tracciare poche parole su un foglio era diventata per i più una fatica superflua. Per le comunicazioni c'era il circuito video, un piccolo schermo in un angolo di una stanza bastava a tenere i contatti con il mondo, ricevere informazioni d'ogni genere, dal notiziario alle ricette di cucina. Il gusto per le scartoffie, però, sopravviveva ancora in uffici polverosi dove si sbrigavano faccende di minore importanza, e fu così che Valeria si ritrovò tra le mani una busta bianca con l'intestazione del Comune.

Poche parole impersonali e codificate. Come altrettanti colpi di martello contro la fragile struttura di quella realtà alternativa che si era costruita durante gli ultimi mesi.

Non è vero. Non è possibile. Non è vero. Non è possibile. Come un esorcismo, ripetuto all'ossessione. Ma la diabolica essenza del messaggio tra le sue mani non cambiava. Era una maledizione troppo potente per sperare di annullarla con il sacramento dell'incredulità.

Dopo lo smarrimento subentrò l'ira, la furia di sapere perché il suo mondo dovesse venir distrutto senza apparente motivo, e chi si arrogava il diritto di un tale crimine.

Nel palazzo comunale le ci vollero quaranta minuti solo per trovare l'ufficio giusto. E fu per caso che infine ci capitò, dopo essersi smarrita in un labirinto di indicazioni sbagliate e risposte annoiate.

Nell'ufficio, non una sola presenza umana. Solo schedari, cumuletti disordinati di floppy disk, incartamenti e macchine che ticchettavano e lampeggiavano apparentemente per conto proprio. Valeria bussò alla porta dell'ufficio accanto, dove una ragazza dall'aria sciapita le rispose che lei non era pagata per far la guardia ai colleghi.