Giuseppe Lippi al Festival di Trieste, 2001
Giuseppe Lippi al Festival di Trieste, 2001
Come evolve nella fantascienza, da Hiroshima a oggi, il modo di trattare temi che possono essere considerati politici?

I temi politici sono stati sempre più presenti, e intendo dire esplicitamente presenti, nella sf americana (e ancor meglio inglese) fino al 1975. Non sempre questo utopismo critico degli intenti corrispondeva, però, a una reale capacità di immaginare alternative. Autori come Ballard, Disch, Spinrad, Moorcock, Silverberg e, più esplicitamente di tutti Ursula K. Le Guin, hanno pubblicato devastanti critiche del presente; nei Reietti dell'altro pianeta Le Guin ha cercato di pensare in termini utopici costruttivi, ma secondo me con un successo solo parziale. Dopo il 1975, quando la "radiazione di fondo" della bomba atomica di trent'anni prima pareva essersi un po' attenuata, questo impegno esplicito è scomparso ed è riaffiorato, in parte, solo un decennio dopo, nei romanzi cyberpunk. Tuttavia la mia idea è che la fantascienza, come ogni altro genere letterario, possa essere politica anche in forme meno vistose. Leggere autori come Kurt Vonnegut, Philip K. Dick e Philip J. Farmer è indicativo in questo senso. Non sono "politici" tutti e tre? E ce ne sono molti altri, a cominciare dal famigerato Robert A. Heinlein.

Il rapporto tra potere e religione nella fantascienza.

Generalmente la fantascienza (che è un prodotto dell'ortodossia anglosassone) vede il potere e la religione strettamente associati: a volte a fin di bene (Un cantico per Leibowitz di Walter Miller), a volte in modo sinistro (Guerra al grande nulla di James Blish, L'alba delle tenebre di Fritz Leiber). Ma la cosa, ormai, ha un'importanza relativa: si parla sempre meno di religione nella nuova fantascienza, anche perché quest'ultima si va sempre più configurando come prodotto planetario, adatto a tutte le civiltà e a tutti i mercati. Ed è un po' religione essa stessa. Vi sono delle eccezioni ogni tanto, ad esempio Dan Simmons, ma in genere tutto rifluisce in una sorta di più generale spiritualismo. Un trattamento banale ma imponente del rapporto fra una religione (modellata sull'Islam) e il potere politico è quello adombrato nel ciclo di Dune di Frank Herbert.

La fantascienza e il "diverso": minoranze etniche, donne, omosessuali.

Nel caso delle minoranze etniche, delle donne e degli omosessuali non parlerei più di diverso: queste categorie, penalizzate fino a ieri, fanno ormai parte a pieno titolo delle nuove maggioranze, le forze che determinano i consumi e quindi le scelte politiche, almeno in molti dei paesi ricchi dell'occidente (gli stessi in cui si produce o si pubblica fantascienza). Alcuni hanno sostenuto che la sf si sia fatta paladina, presto o tardi, dei "diversi": ma, ripeto, io credo molto poco nel concetto di diverso nelle società omologate dalla pianificazione produttiva. Se vuoi la mia opinione personale, l'unico vero diverso in un mondo tecnicistico è lo scioperato, il fannullone, colei o colui che si rifiuta di produrre o non è in grado di farlo. Anche in questo caso, però, il sistema economico ha inventato la gabbia adatta: l'ex-fannullone (una figura romantica, oggi praticamente impossibile) ha dovuto trasformarsi nel consumatore coatto e nell'assistito sociale. Sarà dunque un pensionato-baby, un cassintegrato, un lavoratore part-time. Incrociare le braccia per partito preso, dire: "Me ne frego!" e mettersi a fare il filosofo o il poeta non è da questo mondo. E nota come la fantascienza, da parte sua, si interessi molto di più ai tipi sociali, fattivi, che ai veri irriducibili... Magari all'inizio saranno dei paria, degli outcast, ma poi finiscono sempre col salvare il mondo o perlomeno il loro pianeta. Sono figure paradigmatiche, d'accordo, ma è questo il motivo per cui mancano alla fantascienza eroi come Oblomov, l'ingegner Tobler di Robert Walser (inventore a tempo perso dell'Orologio pubblicitario) e Don Chisciotte. Don Chisciotte sembrerebbe il più fantascientifico dei grandi personaggi, ma nella realtà del romanzo di sf va a finire che è lui dalla parte della ragione, che il mondo funziona davvero secondo i suoi desiderata, e dunque cade il dramma della contraddizione. L'interessante figura del fannullone non ha molto rilievo in fantascienza perché si tratta pur sempre di una letteratura esemplare e didattica; ecco, io direi che la sf di oggi sia molto più "didattica" che non apertamente politica. E poi, nella sf tutti hanno un'attività, uno scopo: persino i mostri, i più ripugnanti alien astrali. Dunque non direi che essa parteggi veramente per i diversi, ma solo per le cricche, o per usare un'espressione oggi in voga, per le "lobby" di quelli che passano come tali. Altro discorso nel caso dell'horror sovrannaturale: in un Lovecraft puoi veramente sentire odore di estraneità, di irriducibile insofferenza per le strettoie di questo mondo, insofferenza elevata persino a ranghi metafisici. Ma in fantascienza molto meno.