di

Stefano Ghigo

e Milena Debenedetti

Italcon report:

una cena "storica"...

Le cene di gala delle Italcon hanno sempre riservato strane sorprese: la leggenda ancora parla di misteriosi "triboli fritti" di una decina d'anni fa. Ma anche questo mito è destinato a impallidire di fronte a ciò che è accaduto quest'anno, che senz'altro sarà ricordato molto, molto a lungo...

LA CENA DEI BEFFATI: CRONACA DI UN DIGIUNO di Stefano Ghigo

Mi chiedevo cosa c'entrasse una "cena medioevale" con l'Italcon in generale e, in particolare, con quel "medioevo prossimo venturo" che presenta uno scenario assai poco adatto a banchetti conviviali. La mia naturale curiosità ha comunque avuto il sopravvento e mi sono convinto a partecipare riflettendo che, al modico prezzo di 50 (cinquanta) scudi, avrei potuto apprendere ogni uso e consuetudine delle antiche tavolate.

Ho dunque appreso con un certo stupore che nei tempi antichi per banchettare le dame e i cavalieri dovevano recarsi non in ostelli o trattorie ma al palazzetto dello sport, muniti di apposito tagliando che attestasse l'avvenuto pagamento e badando bene di arrivare in gruppi compatti per evitare di trovare i propri amici e parenti sparsi e dispersi in un enorme e oscuro salone polivalente. Ivi giunti dovevano mettersi in coda per farsi assegnare l'agognato seggio o inviare un rappresentante diplomatico che provvedesse all'assegnazione. Per il folto gruppo della mailing list "Fantascienza" provvedeva Sua Eccellenza l'Onorevole Ernesto Vegetti che, in quanto Presidente e Commissario anziano della World SF, è comunque ben avvezzo a farsi carico di tutte le rogne ed è quindi un diplomatico ideale.

Giunto finalmente al tavolo ho sperimentato un bizzarro dislocamento temporale, situato più o meno all'altezza delle natiche, per cui potevo sedermi su sedie di ignoto materiale plastico ma scoprivo drammaticamente che le forchette e i tovaglioli non erano ancora stati inventati, il che mi ha costretto ad una veloce corsa al cesso per fornirmi di alcuni tovaglioli di carta per me ed i vicini commensali (lo sguardo riconoscente di Vittorio Catani resterà uno dei miei più cari ricordi).

L'enorme salone era illuminato unicamente dai ceri mortuari posti davanti ad ogni commensale e al fioco lume della candela era possibile leggere il minaccioso menu, scritto naturalmente a caratteri infinitesimi.

Antipasti:

tortino de erbe con spinacine e bietole,

fagotto de ovi et erbe con crema de formaggio.

Primi piatti:

soupa de erbe,

agneletti con crema bianca e verdure.

Secondi piatti:

budino de carne con seolle dorate,

masoran de verdure con tocchi de carne e puccia de semolino.

Dessert:

crostata de pomi,

ciambelline con crema zalla.

Conclusione: vino cotto speziato.

Fumare era proibito. Le sigarette non erano state ancora inventate e le avevo portate dal presente, ma probabilmente non si doveva mettere in pericolo l'anacronistica e sintetica moquette. Come ingannare dunque il lunghissimo tempo tra una portata e l'altra? Con Curtoni, Sosio, vari altri incalliti fumatori ed alcuni commensali sempre più disperati man mano che le portate si rivelavano immangiabili, mi rifugiavo spesso oltre una porta di sicurezza, nel freddo e contemporaneo esterno mentre Roberto Quaglia, in mancanza di tabacco, si era acceso una stecca di cannella trovata sul desco e, tra i fumi della spezia e la naturale inclinazione, esplodeva a tratti in esilaranti ed esasperate proteste.

Nel medioevo, ho scoperto, il cibo era talmente poco che le portate erano difficili a vedersi non solo per l'oscurità della sala ma anche per l'esigua quantità: tortino de erbe e fagotto de ovi erano grandi come francobolli, gli agnelletti erano (esattamente) quattro e anche il resto era poco e difficilmente commestibile. La soupa de erbe veniva infatti affettuosamente ribattezzata "fanghiglia" e i secondi avevano un aspetto tanto repellente che circa la metà dei duecento commensali non riusciva neppure ad indursi all'assaggio. Le cucine erano ovviamente assai lontane dal medioevale banchetto ed il cibo, pur scaldato a microonde, arrivava sul tavolo già tiepido o freddo.

Di fronte a me Vittorio Curtoni rifiutava ogni portata e dopo un misero assaggio di magri antipasti attendeva stoico l'arrivo del dolce. Per consolarsi del forzato digiuno il mitico Vic tentava almeno di ubriacarsi scolandosi due intere brocche di bianco, ma anche tale proposito veniva frustrato dall'inconsistente gradazione alcolica del "vino giovane del luogo". Per la prima volta nella sua vita il Curtoni riusciva dunque a terminare un pasto perfettamente sobrio e a stomaco vuoto.

Per fortuna il banchetto era almeno allietato da ancelle in costume che distribuivano pane nero e vin bianco o vin rosso e aspergevano le mani dei presenti con (poca) acqua profumata, mentre il trio del Bordone Musicale si aggirava nella sala sonando la ghironda, il flauto e la terribile piva natalizia. Il mio tentativo di corrompere i musici, affinché si parcheggiassero accanto al tavolo degli organizzatori e di lì non si muovessero per tutta la serata, non ha avuto purtroppo alcun esito.

Tra sonate di piva e tamburello il giullare saltimbanco Marco Cardona zompava agilmente su e giù, emetteva fiamme e ingoiava spade e coltelli. "Almeno lui mangia!" ha esclamato Curtoni.

"Dulcis in fundo" quel che al fioco lume di candela sembrava proprio un innocuo tortino di pastafrolla si rivelava invece affogato nella crema, macchiando le vesti di molti commensali. Il cortese personale non offriva aiuto o smacchiatori, ma sorrideva ironico nell'ombra e usciva in commenti del tipo: "E allora? Che avete intenzione di fare?" I due avvocati presenti hanno suggerito di frustare cuoco e camerieri, ma è noto come nessuno voglia mai seguire i buoni consigli.

Il vino caldo speziato non ho voluto berlo, sono fuggito quando hanno aperto le porte, ma dopo questa istruttiva cena medioevale attendo con ansia, in un prossimo futuro, il banchetto paleolitico.

MADONNE, MESSERI E CALCIOBALILLA

(croniche et appunti di una cena medievale) di Milena Debenedetti

La cena è fissata per le 20 e 30. Io, inserita all'ultimo momento tra i fortunati partecipanti, arrivo un po' in anticipo, convinta di non aver capito bene il luogo. (Palazzetto dello Sport?)

Piove e fa freddo. Intimorita dalla vastità della struttura, mi aggiro qua e là cercando l'entrata, finché non trovo Silvio Canavese che trotterella sotto l'acqua in maniche di camicia, sistemando cartelli indicatori.

Mi rassicuro allora, e mi piazzo al coperto, nell'atrio, in attesa degli altri. Un rapido giro all'interno del Palazzetto, una specie di paradiso dello sport al coperto, mi fa provare una pungente invidia per i valdostani. Dalle mie parti, in una struttura così ci avrebbero fatto al massimo un centro commerciale. Il pensiero dev'essere comune a molti altri, perché sono in parecchi quelli che all'ingresso si dirigono decisamente verso la pista da hockey, a guardare la partita, anziché verso il luogo della cena.

Alla fine entriamo e ci accalchiamo nel locale, un'enorme palestra per rocciatori attrezzata con pareti artificiali.

Perplessità iniziale: è buio pesto. Ovvio: non è stata ancora inventata l'elettricità. In una selva di fiochi lumini simpaticamente cimiteriali ci aggiriamo con le prenotazioni, e dopo qualche minuto di folcloristica confusione provocata dal Vegetti che scambia posti e bigliettini neanche fossero figurine Panini, troviamo finalmente la nostra destinazione.

Io sto al fondo di un tavolone presieduto dallo stesso Vegetti, pieno di gente di Delos e della lista. Con me ci sono Franco Clun, due suoi amici, e un ragazzo valdostano capitato lì per caso, che ci guarda diffidente e un po' teso, probabilmente pensando che siamo omini verdi travestiti e che come minimo mangiamo con le orecchie.

Uniche stoviglie, bicchiere e piatto di coccio, e un cucchiaio di legno. Causa oscurità non si distingue la brocca dell'acqua da quella del vino. Questo ingenera pericolose confusioni, e qualcuno è subito alticcio, nonostante la gradazione inesistente del vinello. Anche perché per un bel pezzo non servono cibo, se non qualche pezzo di pane bianco e nero, dopo che due figuranti con brocca e catino si sono aggirati fra i tavoli a proporre un lavacro di mani che qualcuno sdegnosamente rifiuta.

Consultiamo il menù, alla fioca luce dei lumini. Il fatto che esso sia stato tratto da antichi "incunabili" ci mette in sospetto, se non altro per l'assonanza. Qualcuno, nervosamente, fuma. Arriva premuroso un altro figurante per dire che "esso non è costume". Sì, insomma, il tabacco non l'hanno ancor importato.

La ragazza accanto al Quaglia tenta di accendersi un bastoncino di cannella. I malcapitati tabagisti si aggirano infreddoliti per la terrazza esterna, dove vengono di tanto in tanto raggiunti dal Nicolazzini munito di telefonino.

Quando arrivano gli antipasti, due piccole porzioni di frittata, Clun emette una specie di brontolio ringhioso. Scambia anche alcune parole salaci in proposito con un figurante- giullare che tenta di parlare come Brancaleone alle Crociate.

Fa da sottofondo una musica medioevale, varia come un disco degli Aqua, allegramente suonata da un trio di pifferai che si aggira per la sala. Anche altri figuranti ci intrattengono con spettacolini, tra cui il mangiatore di fuoco e quello di spade.

I più pratici di ospedali lo osservano con invidia: quello sicuramente non ha problemi a fare la gastroscopia.

Sono le dieci e mezza passate. Di ritorno da un giro esplorativo, il Clun ci comunica a bassa voce una sua scoperta. Alzandoci di soppiatto come congiurati, io e i suoi due amici ci accodiamo a lui. Ci segue anche il ragazzo valdostano, che nel frattempo si è rassicurato sulla nostra vera natura e ha iniziato a fraternizzare.

Uscendo dalla sala e passando vicini alle cucine, si arriva direttamente al bar, con un salto di mille anni forse ispirato da Luca Masali che siede accanto a noi.

Lì siano noi i veri alieni, in mezzo a famigliole, ragazzini, fumo e birra, in un ambiente che ricorda il bar dei Blues Brothers. C'é per l'appunto anche un complessino che strimpella in francese ("suoniamo tutti i tipi di musica: country e western"). Manca solo la rete davanti al palco. E poi i civili valdostani non gridano "yippie" e non lanciano bottiglie vuote: il resto è lo stesso.

Ma la scoperta vera è il calciobalilla, un autentico calcetto da oratorio. Da quel momento, muniti di gettoni, fra una portata e l'altra ci precipitiamo a fare una partita, superando la vigilanza dello scaldo e delle ancelle che ci sbarrano la strada.

Per la verità io sto a guardare, anche perché quando entro in gara, in difesa, la partita non ha storia: subisco più gol del Milan.

Il segreto del calcetto è gelosamente custodito, per evitare pericolosa concorrenza. Non trapelerà che a tarda serata.

Cedo i miei agnolotti (ricetta di un antenato di Giovanni Rana?) a Clun, che mi sembrava affamato. Per la verità, più tardi passano con una seconda porzione.

La minestra di verdura con orzo desta qualche perplessità: impossibile raccoglierla con un cucchiaio piatto. Ci risolviamo a sollevare la scodella e berlo direttamente, con appropriati medievali risucchi e gorgoglii.

Ammaestrati da questi primi successi, non abbiamo difficoltà con il semolino e la carne, che mangiamo aiutandoci col pane.

Ma è sul dolce che crescono i problemi: una diabolica, liquidissima crema al zabaione è in agguato. Colpisce per primo Clun, che solleva incautamente il pasticcino e si inzacchera fino al gomito. Io mangio solo la pastafrolla e rinuncio alla crema. Altri adottano tecniche più sofisticate. Un incauto distratto si aiuta con il cucchiaio, sul quale nel frattempo si erano stratificate tutte le portate e molto formaggio. Rimane impietrito in una espressione disgustata: torta di mele e zabaione alla fontina!

Gli ospiti si stanno disperdendo qua e là. Solo Roberto Vacca, imperturbabile, mantiene il suo aplomb: quale migliore prova della sua teoria che il Medioevo fosse una vera schifezza?

Il calciobalilla è impegnato da una famigliola. Ne approfittiamo per chiacchierare di argomenti vari, sci, moto, industria, tecnologia.

Il valdostano è un ingegnere elettronico che ci intrattiene sugli effetti dei campi elettromagnetici sugli organismi viventi, argomento della sua tesi. Molto istruttivo.

Al tavolo opposto al nostro si vedono persone in piedi che ballano, o accompagnano il ritmo medioevale battendo con i loro cucchiai.

Ci chiediamo se siano anch'essi figuranti o pirla qualsiasi. Dopo un attento esame propendiamo per la seconda ipotesi.

Anna Dal Dan, che si aggira qua e là senza mai separarsi dal bicchiere, si domanda preoccupata come potrà la cena della prossima convention superare questa.

Io ho alcune ipotesi tipo: cacciare da soli il cibo.

Nel frattempo servono vino caldo e speziato (niente caffè, è ovvio). E' l'una. Si riaccendono le luci sui sopravvissuti, e parte la premiazione del Premio Italia. Ma questa è un'altra storia.