Il titolo di questo intervento non si riferisce al film Insomnia di Christopher Nolan del 2002, con Al Pacino e Robin Williams, remake di un film norvegese di Erik Skjoldbjærg uscito nel 1997 (anche se c’è un piccolo punto di contatto, come si vedrà). L’argomento è in realtà relativo al più comune disturbo del sonno, visto come un’impossibilità di “spegnere” non proprio il cervello, ma alcune delle sue funzioni più tipicamente diurne e sottoposte alla supervisione della coscienza.

La caratteristica principale dello stato di sonno è una disconnessione piuttosto ampia, benché non assoluta, dall’ambiente circostante. L’insonnia, cioè la difficoltà o l’impossibilità di accedere allo stato di sonno nel normale ritmo circadiano (un terzo circa della giornata, di norma nel periodo notturno), provoca notoriamente problemi fisici e mentali molto seri, tra cui i più gravi sono stanchezza, allucinazioni e attacchi di paranoia.

La correlazione con le allucinazioni e la paranoia è particolarmente interessante, perché sembra indicare che un contatto permanente con l’ambiente esterno non è, semplicemente, sopportabile per l’organismo. Sotto questo aspetto, possiamo supporre che le attività non lavorative, che vengono catalogate con l’etichetta generica di “divertimento”, possano avere una funzione molto importante per il mantenimento della salute psicofisica.

Partendo da questa ipotesi, cioè dall’idea che il divertimento (giochi di vario tipo, letture, spettacoli, fantasticherie, e altro ancora) sia essenziale per restare sani mentalmente e fisicamente, ricaviamo la tesi che l’industria dell’intrattenimento in tutte le sue varietà ha un impatto a livello sociologico e psicologico addirittura superiore a quello che si potrebbe sospettare.

Il divertimento sarebbe in definitiva una questione molto seria, e l’incapacità di divertirsi (da intendere in senso tecnico come incapacità di “staccare la spina”), o la tendenza a divertirsi in modo anomalo, potrebbe essere alla base di alcuni seri disturbi della personalità.

Sulla scia delle precedenti osservazioni, saremo portati a pensare che la spinta a divertirsi, da parte degli esseri umani e di altri animali cosiddetti “superiori”, non abbia nulla di frivolo, ma sia stata prodotta della selezione naturale. Da qui, ricaviamo il suggerimento che la fruizione di fiction nelle sue varie forme (libri, cinema, teatro, televisione, fumetti e altro) non sia semplicemente il modo in cui noi umani andiamo in cerca di emozioni compensative o esperienze vicarie, ma una sorta di profilassi contro l’insorgenza di ciò che potremmo chiamare “saturazione nei confronti della realtà”.

Attenzione: non stiamo dicendo che la realtà è “brutta” e la fiction è “bella”, per cui la seconda diventa un rifugio rispetto alla prima. Questa sarebbe un’interpretazione di tipo “compensatorio”, la finzione intesa come una forma di risarcimento. No, la tesi è un po’ più sottile. L’idea è che la sospensione dallo stato di vigilanza (non solo dallo stato di veglia, quindi, e non solo il sonno) ci è indispensabile perché ci permette di vivere (nel senso di “fare esperienza”) senza bisogno di mantenere acceso lo stato di allerta.

Il divertimento, la fiction e il sogno hanno in comune il fatto che gli eventi che vi si svolgono non hanno di norma conseguenze negative per l’organismo. Questo ci permette di funzionare in uno stato di sospensione dalla realtà, intesa come il luogo in cui dobbiamo fare attenzione a ciò che succede. Sotto questa luce, il sonno inteso come stato fisiologico costituisce probabilmente il primo e più importante dispositivo per staccarsi dalla realtà come fonte di possibili guai.

Non a caso la premessa indispensabile per dormire è la possibilità di avere a disposizione un luogo sicuro, e da qui è sorta la necessità di ricorrere a sentinelle che possano vegliare mentre gli altri dormono. Il meccanismo del sonno è così fondamentale che ci sono dei casi in cui un ambiente particolarmente ostile e l’impossibilità di interrompere lo stato di veglia per periodi prolungati hanno portato a un tipo di sonno che a prima vista sembra paradossale.

Mi riferisco al caso dei pinguini antartici della varietà detta “chinstrap” (del “sottogola”, per via di una sottile striscia che hanno sul collo) i quali sono in grado di dormire in modo intermittente per pochi secondi alla volta (poco meno di quattro) fino a raggiungere un saldo netto di ben undici ore di sonno nelle ventiquattr’ore.* Questi brevissimi cicli di micro-sonno, che vengono ripetuti fino a diecimila volte nell’arco della giornata, costituiscono un modo di dormire non di tipo frammentario, come potrebbe sembrare a noi, ma per l’appunto intermittente.

In questa maniera i pinguini sono in grado di covare le uova e di mantenere una completa attenzione e un continuo controllo sull’ambiente, restando all’erta per un periodo di tempo che è poco più della metà del tempo totale, ma raggiungendo lo stesso livello di sicurezza che potrebbero ottenere se restassero svegli in modo ininterrotto ventiquattr’ore su ventiquattro, un risultato che ha del miracoloso.

Il piccolo punto di contatto con il film “Insomnia” è la comune ambientazione “polare” del film e dei pinguini, anche se questi ultimi vivono in Antartico, mentre il film si svolge nell’Artico.

Nota

*Mariana Lenharo, “This penguin survives on 4-second microsleeps – thousand of times a day”, Nature, 30 november 2023.