È l’autore di capolavori come Ubik, La svastica sul sole, Gli androidi sognano pecore elettriche? e molti altri. È stato letteralmente saccheggiato dal cinema e la realtà in cui viviamo oggi sembra proprio la trama di una sua storia. Stiamo parlando dello scrittore americano Philip K Dick, a cui abbiamo rivolto alcune domande proprio sul nostro mondo.

Non posso non chiederle cosa ne pensa dei tempi in cui viviamo, oggi nel 2024? 

È un mondo psicotico, quello in cui viviamo. I pazzi sono al potere. Le mogli vengono picchiate dai mariti; la polizia uccide neri e latino-americani; i vecchi frugano nei bidoni della spazzatura o mangiano cibo per cani: la vergogna impera, regna. Il suicidio è solo uno di una miriade di eventi vergognosi. Quando un certo errore comincia a essere commesso da un bel po’ di persone, allora diviene un errore sociale, uno stile di vita. E in questo particolare stile di vita il motto è: “Sii felice oggi perché domani morirai”; ma s’incomincia a morire ben presto e la felicità è solo un ricordo.

Mi sembra di capire che lei sia abbastanza pessimista. Cerco di formulare la domanda in altri termini: lei si è occupato spesso della realtà e della sua ambiguità, si è posto la domanda “cosa è reale e cosa non lo è.” Qual è la sua definizione di realtà?  

Realtà è quello che non scompare quando smetti di crederci. Lo strumento fondamentale per la manipolazione della realtà è la manipolazione delle parole. Se puoi controllare il significato delle parole, puoi controllare le persone che devono usare le parole. A volte la risposta appropriata alla realtà è diventare pazzi. In questa vita ci mostrano soltanto i trailer.

Non c’è altra via di uscita, a suo avviso? Dobbiamo accettare una realtà manipolata dalle fake news, quindi, oppure diventare pazzi? Sono queste le due alternative della vita secondo lei? 

Il semplice fatto che qualcosa appaia inevitabile non dovrebbe indurci ad accettare supinamente. L'universo non avrà mai fine, perché proprio quando sembra che l'oscurità abbia distrutto ogni cosa, e appare davvero trascendente, i nuovi semi della luce rinascono dall'abisso. In qualche altro mondo probabilmente è diverso. Meglio di così. Esisteranno chiare alternative fra bene e male. Non queste oscure commistioni, queste mescolanze, senza gli strumenti adeguati per distinguerne le componenti. Dovunque andrai, ti si richiederà di fare qualcosa di sbagliato. È la condizione fondamentale della vita: essere costretti a far violenza alla propria personalità. Prima o poi, tutte le creature viventi devono farlo. È l'ombra estrema, il difetto della creazione; è la maledizione che si nutre della vita. In tutto l'universo.

E in Dio? Cosa ne pensa di chi crede in un essere divino? È un modo rapido e facile per sfuggire alla realtà che ci circonda? 

Non so se chi crede in Dio commetta un errore, visto che è impossibile dimostrare la verità o la falsità di un sistema di fede. Si tratta, appunto, soltanto di fede.

Bene, vedo in questa risposta un po’ di speranza. E il futuro? Come lo percepisce, lei che è uno dei più famosi scrittori di fantascienza? 

Una delle più grandi benedizioni di Dio è che ci tiene perennemente nascosto il futuro.

Capisco, eppure lei è uno scrittore di fantascienza, quindi di quel genere di artisti che guardano al futuro, lo sognano, ne scrivono, ne immaginano e spesso con gli occhi della scienza… 

Mi dispiace dirlo ma gli scrittori di fantascienza non sanno nulla. Noi non possiamo parlare di scienza perché le nostre conoscenze al riguardo sono limitate e non ufficiali, e solitamente la nostra finzione è terribile. L’arte, come la teologia, è una frode ben confezionata.

Ma la cultura è una via d’uscita alla meschinità della realtà. Non crede? 

Il guaio di farsi una cultura è che il processo richiede molto tempo, ti brucia la parte migliore della vita, e quando hai finito l’unica cosa che sai è che ti sarebbe convenuto di più fare il banchiere.

Per sua stessa ammissione, lei ha fatto uso di sostanze stupefacenti nel corso della sua vita. Cosa ci può dire a proposito, lei si è percepito come malato in qualche modo per aver abusato di vari tipi di droghe? 

L'abuso della droga non è una malattia, ma una decisione, come quella di andare incontro ad una macchina che si muove. Questo non si chiama malattia, ma mancanza di giudizio.

Lei è sempre stato accostato alla controcultura americana e spesso ha denunciato persecuzioni per questo suo, diciamo così, impegno politico. Cosa ne pensa di uno Stato che persegue per fini politici i suoi cittadini? 

Uno Stato non è migliore di chi lo guida.

In un’intervista lei ha parlato dell’orgoglio come del peggiore dei vizi dell’uomo. Ci spiega cosa intendeva? 
Philip K. Dick
Philip K. Dick

Dei Sette Vizi Capitali, l’Orgoglio è il peggiore. Rabbia, Avarizia, Invidia, Lussuria, Accidia, Gola riguardano il rapporto degli uomini tra di loro e con il resto del mondo. L’Orgoglio, invece, è assoluto. È la rappresentazione della relazione soggettiva che una persona intrattiene con se stessa. Quindi, tra tutti, è il più mortale. L’Orgoglio non ha bisogno di un oggetto di cui essere orgogliosi. È narcisismo portato all’estremo.

Uno dei concetti più interessanti che sono scaturiti dalla sua immaginazione di scrittore è quello di kipple. Ci spiega cosa intende con questo termine? 

Kipple sono tutti gli oggetti inutili, come una bustina di fiammiferi dopo aver usato l’ultimo fiammifero, o una fascetta gommata, o il giornale omeopatico del giorno prima. Quando non c’è nessuno in giro, il kipple si riproduce. Per esempio, se vai a letto lasciando in giro del kipple, la mattina dopo, quando ti svegli, ce n’è il doppio. E diventa sempre di più.

In conclusione, ci regala per i nostri lettori una storiella alla Philip K. Dick? 

Una volta un tizio stette tutto il giorno a frugarsi in testa cercando pidocchi. Il dottore gli aveva detto che non ne aveva. Dopo una doccia di otto ore, in piedi un’ora dopo l’altra sotto l’acqua bollente a sopportare le stesse pene dei pidocchi, uscì e s’asciugò, con gli insetti ancora nei capelli; anzi ne aveva ormai su tutto il corpo. Un mese più tardi gli erano arrivati fin dentro i polmoni.