Oggi siamo a nostro agio con l’idea che l’opera di un autore produca un universo dove altri possono andare ad aggiungere pezzi personali. Accade quotidianamente con la fan fiction, mentre ben più raro è che gli autori concedano ad altri la possibilità di pubblicare opere “ufficiali” sfruttando la stessa ambientazione orinale. Un esempio è l’universo espanso della saga di Star Wars. Non stupisce che un affresco ambizioso come quello della saga della Fondazione di Isaac Asimov abbia spinto molti autori a cimentarsi nel tentativo di aggiungere altri episodi alla storia. Esistono, in Rete, diverse fan fiction sul tema. Ma negli anni sono uscite diverse storie “ufficiali”, molte delle quali semplici omaggi all’autore (quand’era ancora in vita), altre invece tentativi di raccogliere lo scettro asimoviano e cavalcare l’onda del successo.

Gli amici della Fondazione 

Isaac Asimov
Isaac Asimov

Nel 1989, in occasione dei cinquant’anni di carriera di Asimov come scrittore, diverso autori di primo piano della fantascienza anglosassone parteciparono alla stesura di un’antologia di racconti dedicati all’universo di Asimov, pubblicata in Italia da Sperling&Kupfer nel 1990 con il titolo Gli amici di Fondazione. Curata da Martin Greenberg, che con Asimov aveva firmato diverse collaborazioni tra cui la più nota è quella delle antologie Le grandi storie della fantascienza, l’opera costituisce un sincero omaggio alla produzione asimoviana in considerazione della varietà dei racconti. Efficacemente, Ray Bradbury scriveva con più realismo che umorismo nella sua commovente prefazione: «Una notte di due anni fa sognai di essere Isaac Asimov. Il giorno dopo ci volle tutta la mattina perché mia moglie riuscisse a dissuadermi dal presentarmi come candidato alle elezioni presidenziali».

Diversamente da quanto il titolo suggerisce, non si tratta solo di storie ambientate nell’universo della Fondazione, ma racconti che si ricollegano alle più svariate opere del Buon Dottore. Il tema più ricorrente è quello dei robot positronici. Apre così Pamela Sargent con una storia (L’ultima sfida) ambientata tra Abissi d’acciaio e Il sole nudo e che vede comparire anche il detective Elijah Baley. Mike Resnick si cimenta con la drammatica intimità della gelida Susan Calvin, la robopsicologa che compare nella maggior parte delle storie sui robot di Asimov (Equilibrio) e senz’altro uno dei suoi personaggi più riusciti (peraltro, una delle rarissime protagoniste femminili delle sue storie). Susan Calvin ritorna anche nel racconto di Sheila Finch, Pappi, dove tuttavia il protagonista è un robot che cerca di sostituire in un bambino la figura paterna mancante, e che riesce molto bene nel affrontare uno dei temi preferiti di Asimov, quello della capacità dei robot di raggiungere l’autocoscienza finendo per provare sentimenti umani. Poul Anderson riprende invece i personaggi di Donovan e Powell, la coppia di esperti roboticisti inviati dalla U.S. Robots per affrontare i casi più problematici di malfunzionamento dei cervelli positronici, riuscendo forse meglio di tutti nell’accostarsi allo stile asimoviano (La caverna di Platone). Robert Sheckley, col suo inconfondibile umorismo, realizza qui un piccolo e spassoso capolavoro con una società di macchine che si è liberata delle Tre Leggi ed è ritornata alla più prosaica legge del più forte (Cacciamacchine della prateria di cemento). Le violazioni alle leggi della robotica, tema dominante della produzione di Asimov, ricorrono anche in Macchia di Hal Clement e in La Quarta Legge della Robotica di un esperto Harry Harrison, dove ritorna anche il personaggio di Michael Donovan.

Nell’universo della Fondazione sono invece ambientati alcuni dei racconti più riusciti: La caduta di Trantor di Harry Turtledove, che ricostruisce un episodio solo accennato da Asimov nei suoi romanzi, quello della tragica caduta della capitale imperiale e dell’eroica resistenza degli studenti dell’Università contro le truppe ribelli che saccheggiano il pianeta. George Zebrowski in La coscienza della Fondazione, ambientato nel 1056 dell’Era della Fondazione, discute degli sviluppi del Piano Seldon senza però considerare le vicende dipinte da Asimov stesso nei suoi ultimi romanzi. E infine il complesso ma brillante Il paleoantropologo di Orson Scott Card, ambientato all’epoca della partenza degli enciclopedisti su Terminus e della nascita della Seconda Fondazione su Trantor.

Non mancano poi anche storie che omaggiano le produzioni meno conosciute ma non meno apprezzate del Buon Dottore: Robert Silveberg, che ha collaborato con Asimov ad alcuni romanzi di successo, è qui presente con un racconto (La soluzione di Asenion) sulla tiotimolina, la sostanza chimica dalle strane proprietà “endocroniche” che Asimov inventò come caricatura del suo lavoro di biochimico e che è stata protagonista di alcune delle sue storie più curiose. Edward Wellen recupera un altro investigatore fantascientifico meno conosciuto di Baley, il dottor Urth (Omicidio per Urth). George Alec Effinger, con un umorismo molto asimoviano, riscrive la storia di Notturno, senz’altro il più celebre racconto di Asimov, inserendovi un personaggio della sua produzione, Maureen Birnbaum, che in diversi racconti ha visitato analogamente altri universi di fantasia (Maureen Birnbaum dopo il calar del sole). Barry Malzberg riprende una delle migliore storie di Asimov, “Il Cronoscopio”, e ne continua la narrazione dal momento esatto in cui l’originale si interrompeva (Il presente eterno). Infine, Edward Hoch opta per i Vedovi Neri e i loro curiosi enigmi, attraverso una storia che utilizza un classico espediente dei racconti della serie e uno stile molto asimoviano (La conversazione).

Doverosamente in conclusione vanno citati due racconti atipici dove il protagonista è nientemeno che Asimov stesso: Al Mile-High di Frederik Pohl, che frammista riferimenti autobiografici del parallelo percorso di formazione di Asimov e Pohl come scrittori a un futuro alternativo dove Asimov, anziché diventare scrittore, ha seguito la sua carriera scientifica fino ad offuscare la fama di Einstein stesso. E poi il magistrale Dilemma di Connie Willis: un omaggio non solo alla produzione, ma anche al carattere di Asimov, del quale vengono sagacemente tratteggiate manie e debolezze. Nella storia, tre robot positronici si rivolgono ad Asimov per chiedergli di emendare le Tre Leggi della Robotica da lui create in quanto creano ormai ostacoli insuperabili nel loro operare quotidiano. E si dà il caso che i tre robot siano appassionati lettori delle opere di Asimov, che non riescono a evitare di citare in continuazione,

La “Second Foundation Trilogy” 

Quello della Fondazione è indiscutibilmente il ciclo più noto di Asimov e anche il più incompleto: dei mille anni previsti dal Piano Seldon, infatti, solo cinquecento erano stati coperti dai romanzi del ciclo, benché in effetti si potesse sostenere che il progetto originario fosse deragliato con la scelta fatta da Asimov in L’Orlo della Fondazione e Fondazione e Terra. Inoltre, i due prequel scritti negli ultimi anni – Preludio alla Fondazione e il postumo Fondazione Anno Zero – aprivano ampi scorci riguardanti la vita di Hari Seldon, il fondatore della Psicostoria, e la complessa nascita delle due Fondazioni. Tra questi squarci narrativi si sono inseriti, nella seconda metà degli anni Novanta, tre importati scrittori quali Gregory Benford, Greg Bear e David Brin (noti come “le tre B della fantascienza americana”) con la trilogia nota come “Second Foundation Trilogy” autorizzata dalla Isaac Asimov Estate – detentrice dei diritti dello scrittore – ed esplicitamente richiesta da Janet Jeppson, la vedova di Asimov. La proposta giunse inizialmente a Benford, il quale non solo accettò la sfida di cimentarsi con un monumento della fantascienza, ma propose anche di realizzare una nuova trilogia che coinvolgesse anche gli altri due noti colleghi.

Ad aprire le danze è stato quindi Foundation’s Fear (1998), in Italia “Fondazione: la Paura” che del resto è stato anche l’unico romanzo della trilogia pubblicato nel nostro paese dalla Mondadori (1998). La storia è ambientata nel periodo di Fondazione anno zero e si colloca tra la prima e la seconda parte del romanzo asimoviano, dopo la partenza di Demerzel/Oliwav e prima della nomina ufficiale di Hari Seldon a Primo Ministro. La nomina, fortemente voluta da Cleon, è osteggiata dal Consiglio Supremo di Trantor e dal suo leader, Lamurk: per sfuggire agli uomini di Lamurk, Seldon e la moglie Dors lasciano Trantor iniziando un lungo viaggio per la galassia che consentirà a Seldon di conoscere altre società e perfezionare la sua psicostoria. Ma Benford non riesce a mantenersi nella linea canonica asimoviana e aggiunge alla storia elementi propri della sua produzione: simulazioni virtuali, reti cibernetiche ed entità aliene (del tutto assenti nella galassia della Fondazione dipinta da Asimov), fino a creare improbabili dibattiti esistenziali e filosofici tra due intelligenze artificiali che simulano le personalità di Giovanna d’Arco e Voltaire, rompendo così il velo di ignoranza che nella saga della Fondazione avvolge tutto ciò che riguarda la storia della Terra.

Con Foundation and Chaos (1998) tocca a Greg Bear continuare la storia, che ora si ambienta nell’arco narrativo tracciato dal capitolo “Gli psicostorici” che apre il primo dei romanzi classici della Fondazione. Seldon è ormai in disgrazia e deve affrontare la Commissione di Salute Pubblica dell’Impero che lo condanna a scegliere tra la morte e l’esilio. Domina qui soprattutto la figura di Daneel Oliwav, che appare il vero progettista del futuro umano rispetto a Seldon: il dibattito si concentra sulla bontà della Legge Zero della robotica al quale Daneel si attiene, ossia “Nessun robot può danneggiare l’umanità o, tramite la sua inazione, permettere che l’umanità venga danneggiata”. Dietro le scelte sul futuro della galassia, infatti, c’è un duro scontro tra diverse fazioni di robot riguardo il ruolo che essi dovrebbero avere nella salvaguardia della razza umana. Ritornano le personalità di Giovanna d’Arco e Voltaire, qui affiancate da un robot positronico danneggiato e privato delle tre leggi, Lodovik Trema. Nel frattempo si sviluppa su Trantor la Seconda Fondazione diretta dai mentalici Wanda Seldon e Stettin Palver. Bear riesce più del suo predecessore a recuperare le tematiche care all’Asimov originale, evitando inoltre di introdurre soggetti propri del suo bagaglio culturale, ma utilizzando uno stile che per i più puristi si rivela chiaramente non-asimoviano.

La fine della saga è affidata da David Brin in Foundation’s Triumph (1999). Quel che ne emerge è l’inevitabile confusione prodotta dal fondersi di storie di autori diversi. Si assiste all’acuirsi dello scontro tra le fazioni di robot e alla soluzione di tutte le vicende su un incredibile scenario, quello della Terra, su cui si rincontrano nientemeno che Seldon e Daneel Oliwav. Seldon giunge a conoscenza del progetto di Galaxia, pur rimanendo convinto che alla fine il suo Piano riuscirà a far convivere sia le due Fondazioni che Galaxia: un tentativo, da parte di Brin di ricomporre ciò che Asimov aveva sconvolto, ossia il Piano di Seldon. I difetti di fondo della trilogia non si trovano in Brin – che si sforza più degli altri due predecessori di recuperare le atmosfere asimoviane e la continuità – ma nelle trovate dei romanzi precedenti. Senza dubbio, l’opera di Benford, Bear e Brin può esse letta e goduta come un intelligente omaggio all’inventiva di Asimov ‘riveduta e corretta’ alla luce della fantascienza come la intendono i tre autori. Ma l’operazione non ha nemmeno sfiorato l’obiettivo di dare un “seguito” alla storia originale.

Il Calibano di Asimov 

La trilogia del “Calibano di Asimov” viene pubblicata tra il 1993 e il 1996 da Roger MacBride Allen, scrittore di fantascienza che con L’anello di Caronte (1991) quale apriva un’apprezzata trilogia di hard science fiction. Benché i romanzi della saga di Allen escano posteriormente alla scomparsa di Asimov, quest’ultimo aveva ampiamente autorizzato il suo collega a realizzare la trilogia e aveva con lui discusso dei dettagli dell’opera. Le vicende sono ambientate dopo gli avvenimenti de I robot dell’Alba, e vedono i terrestri avviare una nuova fase di colonizzazione nello spazio alternativa a quella attuata dagli Spaziali. Lo scenario è il pianeta Inferno, oggetto di un complesso lavoro di terraformazione, e il tema è quello di nuovi robot che stanno sostituendo in alcuni compiti più complessi quelli positronici: si tratta di robot gravitonici, con una struttura elettrocerebrale completamente difforme dalla precedente per consentire lo sviluppo di nuove Leggi della Robotica. Calibano, il robot da cui trae il titolo il primo romanzo Il Calibano di Asimov (Mondadori 1994), è un robot sperimentale privo di ogni tipo di legge e sviluppato allo scopo di analizzarne la crescita mentale artificiale.

Il primo romanzo entra subito nel merito della storia presentando il protagonista, lo sceriffo Kresh, e il suo assistente robot, Donald. È un omaggio alla più celebre coppia inventata da Asimov, quella Baley-Oliwav che è stata protagonista dei primi tre romanzi della saga dei robot. Anche qui la questione alla base è un omicidio, o meglio un tentato omicidio verso la roboticista Fredda Leving, a capo dell’équipe che sta sviluppando i robot con le Nuove Leggi della Robotica. I sospetti cadono su Calibano, il robot sperimentale fuggito dai laboratori di sviluppo, e le indagini procedono in un clima di sospetto, tensione e caos sociale provocato dalla conflittuale dicotomia tra robot e umani, finché Calibano verrà individuato ma poi scagionato da ogni accusa.

Ma la saga è appena all’inizio. Con L’Inferno di Asimov e il conclusivo L’Utopia di Asimov, la trilogia assume più complesse sfumature fantapolitiche, recuperando in pieno i temi dello scontro sociale dipinti da Asimov nella sua saga originale. Il conflitto tra Colonizzatori e Spaziali, tra umani e robot, e tra i robot dotati delle Nuove Leggi e quelli vecchi, pone quasi sullo sfondo le trame investigative. Nel terzo capitolo, lo sceriffo Kresh è assurto alla carica di governatore di Inferno e ha sposato la roboticista Leving, e lo scontro tra le Leggi vecchie e nuove giunge a un apice di drammaticità nel momento in cui Calibano e Prospero (uno dei primi robot dotati di Nuove Leggi) si confronteranno sul rispetto della Prima Legge, quella fondamentale che prevede la salvaguardia della vita umana. MacBride Allen, con questa trilogia, assurge senza ombra di dubbio a ideale continuatore della produzione asimoviana: diversamente dalla successiva trilogia della Fondazione di Benford, Bear e Brin, la trilogia di MacBride Allen si rivela rispettosa e scrupolosa dell’eredità di Asimov, riprendendo e sviluppando con logica consequenzialità le tematiche fondamentali della produzione del Buon Dottore. La trilogia centra quindi l’obiettivo di porsi come seguito della saga dei robot che terminava con I robot e l’Impero e garantisce anche, laddove le “tre B” fallivano, la continuità dell’ampio affresco futuro dipinto da Asimov con i suoi tre cicli fondamentali (Robot-Impero-Fondazioni).

La serie Robot City

Anche la serie Robot City, composta di 6 volumi di cui i primi 4 pubblicati in Italia dalla Interno Giallo, nasce attraverso l’autorizzazione concessa da Asimov stesso nella metà degli anni Ottanta. Byron Preiss, editore e agente letterario, concordò con Asimov durante diversi incontri d’affari a New York di realizzare una serie che avesse per protagonisti robot positronici. Le storie sarebbero state affidate non a un solo autore ma a diversi giovani scrittori, mentre Asimov avrebbe creato la cornice dell’intera serie e mantenuto l’attività di consulente e in definitiva l’ultima parola su ogni volume prima della pubblicazione. Gli autori selezionati furono – in ordine di pubblicazione – Michael Kube-McDowell, Mike McQuay, William F. Wu, Arthur Byron Cover e Rob Chilson. Il primo romanzo, Robot City: Odissea, introduce il protagonista della serie, Derec, un uomo colpito da amnesia che si ritrova prima su un asteroide e poi, dopo una prima serie di rocambolesche avventure, in una città abitata da soli robot. Anche qui subito s’introduce il giallo, quasi inevitabile nelle storie sui robot positronici: nella città è stato commesso un omicidio, la vittima è l’unico essere umano che vi abitava. I sospetti cadono quindi subito su Derec e sull’altra umana giunta nella città, Katherine, in quanto tutti i robot presenti sono fedeli alla Prima Legge della Robotica che impone di non attentare alla vita degli esseri umani.

Pur ambientata principalmente su Robot City, la serie non disdegna escursioni nel resto della galassia grazie alla Chiave del Perielio, un dispositivo che consente ai protagonisti di trasportarsi istantaneamente in qualsiasi parte dell’universo. Le diverse trame affrontano in dettaglio la psicologia dei robot di Robot City, analizzando le possibili scappatoie alle ferree Leggi della Robotica, il più classico dei temi della narrativa di Asimov. Così, nel secondo Robot City: Sospetto il problema è quello dell’eventualità di uno scontro tra intelligenze positroniche e intelligenze non-umane; nel terzo Robot City: Cyborg si esamina il tradizionale quesito del rapporto uomo/macchina; nel quarto Robot City: Prodigio ci si chiede se i robot possano sviluppare un senso artistico e addirittura un senso dell’umorismo; nel quinto Robot City: Refuge la domanda riguarda il modo in cui un robot può reagire a un’eventuale malattia del suo ‘organismo’; infine, nel conclusivo Robot City: Perihelion, tutti gli enigmi posti nei precedenti romanzi trovano la loro soluzione pur lasciando spazio aperto a una nuova serie che inevitabilmente si svilupperà poco dopo.

I pregi di Robot City sono senz’altro nella buona performance degli autori che, pur nella varietà di stili e tematiche, riescono a mantenere salda la continuità non solo tra i vari romanzi ma anche all’interno della saga di Asimov. Ambientata tra I robot dell’Alba e I robot e l’Impero (quindi più o meno nello stesso periodo della trilogia di MacBride Allen), Robot City introduce il tema degli alieni, che Asimov inizialmente aveva respinto e che tuttavia decideva di inserire come velata minaccia al termine di Fondazione e Terra. Quest’ultimo è del 1986, proprio l’anno prima dell’uscita di Odissea e della serie che termina nel 1988 con una cadenza di un romanzo ogni quadrimestre. Il ritmo altissimo di pubblicazione impone una forte scioltezza di scrittura che impedisce di raggiunge i livelli qualitativi del Calibano, e anche la complessità narrativa della successiva Second Foundation Trilogy, ma realizza un ciclo godibile se letto come divertissement, senza cercarne per forza i punti di contatto con il resto della saga asimoviana. Come si è detto, il capitolo conclusivo di Robot City lascia aperti spiragli narrativi che saranno poi colmati dalla serie Robot and Aliens, con stessi protagonisti e stessa struttura ad autori alterni – ma nuovi – e sei romanzi (tutti inediti in Italia).

I prequel di “Io, robot” 

Più recentemente, la scrittrice fantasy Mickey Zucker Reichert è stata autorizzata dalla Isaac Asimov Estate a scrivere una trilogia ambientata nell’universo dei robot positronici. Reichert, che oltre a essere una scrittrice è anche una pediatra e aveva incontrato alcune volte Asimov (la prima nel 1985), ha scelto di approfondire il personaggio di Susan Calvin, seguendone il percorso formativo e le prime imprese come robopsicologa, sulla falsariga di quanto lo stesso Asimov aveva fatto nei suoi prequel alla saga della Fondazione approfondendo il personaggio di Hari Seldon. Al primo romanzo, inizialmente denominato Robots and Chaos e poi ribattezzato I, Robot: To Protect (2011), ha fatto seguito I, Robot: To Obey (2013) e I, Robot: To Preserve (2016). I romanzi sono stati complessivamente apprezzati dai lettori, che ne hanno lodato la continuità con le atmosfere asimoviane.