A partire dal 1938, quando aveva diciott’anni, Isaac Asimov iniziò a tenere un diario. Era una cosa piuttosto comune in quell’epoca, ma il diario di Asimov non lo era: per prima cosa, lo portò avanti per tutta la vita, non solo negli anni della post-adolescenza; in secondo luogo, Asimov si rifiutò di annotarvi pensieri intimi e ne fece una sorta di “giornale di bordo” pubblico della sua esistenza. Da qui poteva attingere quei particolari di cui infarciva i suoi scritti autobiografici, per esempio quanto aveva guadagnato per un singolo racconto o articolo, cosa aveva mangiato in un determinato giorno e persino le mosse delle sue partite di scacchi. Non meraviglia, com’egli ammetteva autoironico, che nessuno, dopo una prima occhiata ai diari, avesse voglia di darne una seconda.

I diari di Asimov sono una sorta di sintesi della sua vita. All’apparenza del tutto ordinaria, noiosa, banale, puntigliosa fino allo sfinimento. Non fece grandi viaggi, con l’eccezione di una crociera in Africa occidentale nel 1973 per tenere conferenze in vista di un’eclissi solare e un viaggio in Inghilterra nel 1974 a bordo di un transatlantico. Non prese mai l’aereo, di cui aveva paura, e a partire dagli anni Ottanta limitò al minimo anche i viaggi in macchina fuori da New York, dove abitava. La sua routine giornaliera era tipica di un uomo meticoloso che pubblicò a suo nome oltre quattrocento libri. Si alzava alle sei, abitudine che aveva preso negli anni dell’infanzia quando faceva i turni al candy store del padre; si sedeva al tavolo di lavoro intorno alle sette e mezza e finiva di scrivere alle dieci di sera, interrompendosi solo per mangiare e, nel tardo pomeriggio o in prima serata, per guardare qualcosa alla televisione (era un patito di Star Trek, di cui fu anche consulente). Benché, diventato celebre, potesse godere di un appartamento a Manhattan con vista sul Central Park, preferiva lavorare con la luce artificiale, chiudendo le tapparelle, perché era agorafobico. Davanti alla macchina da scrivere teneva solo una parete bianca, perché nulla potesse distrarlo.

Eppure, Asimov era un genio. Non solo per le sue ben note doti di intelligenza (era un fiero membro del Mensa, l’associazione degli uomini dotati del più alto QI mondiale), ma anche per il suo contagioso umorismo, l’autoironia, la capacità di padroneggiare qualsiasi campo del sapere e il ruolo centrale che ebbe nel trasformare la fantascienza da genere fanciullesco a narrativa seria: un ruolo che oggi si tende a minimizzare, comparando il suo stile arido con le invenzioni letterarie di autori decisamente superiori in termini di qualità di scrittura, o i suoi cliché anni Cinquanta con la complessità delle trame di autori decisamente più fantasiosi. Ma perché la fantascienza diventasse il genere maturo che conosciamo, fu necessario che qualcuno trasformasse le ingenue storie di marziani che si leggevano su Amazing Stories, la rivista su cui crebbe Asimov, in storie fondate su rigore scientifico ed esplorazione sociologica; quel qualcuno fu Isaac Asimov.

Un lungo viaggio in realtà lo aveva fatto, all’età di tre anni, ma naturalmente non ne serbava alcun ricordo. Era nato infatti nel 1920 (la data di nascita del 2 gennaio è fittizia, egli stesso non conosceva il giorno esatto) a Petrovici, un villaggio dell’allora nascente Unione sovietica, sul confine della Bielorussia, non lontano da Smolensk. I genitori erano entrambi ebrei armeni e, per sfuggire ai pogrom, nel 1923 decisero di trasferirsi, come molti parenti avevano già fatto, negli Stati Uniti. Si stanziarono a Brooklyn, nella Grande Mela, dove Isaac crebbe insieme alla sorella Marcia e al fratello minore Stanley. Il padre, Judah, gestiva un candy store doveva, oltre ai dolciumi, vendeva anche giornali e riviste; nelle giornate in cui Isaac doveva servire al bancone, la lettura dei pulp magazine di quegli anni costituì la sua principale formazione. Inevitabilmente, le sue prime prove narrative furono di genere fantastico. A undici anni iniziò la creazione di un romanzo fantasy che abbandonò, rammaricandosi di aver perso la possibilità di anticipare Tolkien. Le sue prime storie furono poi raccolte nell’antologia The Early Asimov (in Italia Asimov Story): la prima ed essere pubblicata, nel 1939, fu Marooned off Vesta (“Naufragio”) su Amazing Stories, dopo che il direttore della rivista che Asimov ammirava maggiormente, Astrounding, rifiutò i primi tre racconti che gli erano stati sottoposti. Quell’uomo era John W. Campbell, che ben presto avrebbe invece preso Asimov nella sua scuderia e avrebbe fatto esordire sulla sua rivista le storie che lo avrebbero reso celebre.

Laureatosi in chimica (era stato rifiutato agli esami di medicina) alla Columbia University a soli diciannove anni, grazie a un corso di rapido avanzamento scolastico che lo aveva portato a diplomarsi già nel 1935, incontrò nel 1942, in un appuntamento al buio combinato da un amico il giorno di San Valentino, la sua futura moglie Gertrude Blugerman, che avrebbe sposato pochi mesi dopo. Si era negli anni del secondo conflitto mondiale, di cui Asimov non si perdeva una mossa, segnando su grandi carte geografiche che aveva a casa l’avanzamento delle linee del fronte in Unione sovietica, temendo che, nel caso di una vittoria di Hitler, anche lui, di origine ebree, sarebbe finito male. Nel ’42, insieme a due colleghi scrittori, Robert Heinlein e L. Sprague Du Camp, fu assunto dai Cantieri Navali di Filadelfia, lavorando come chimico. Ciò gli risparmiò di essere mandato sul fronte europeo o su quello orientale. Dopo aver preso parte nelle Hawaii ai preparativi dell’esperimento di Bikini (al quale però non prese parte), fu infine congedato dall’esercito e poté tornare ai suoi studi, conseguendo il dottorato in biochimica nel 1948 alla Columbia University. Imboccò la carriera da ricercatore: Robert Elderfield, che nel 1946 aveva sintetizzato la primachina per il trattamento della malaria, offrì ad Asimov un assegno di un anno alla Columbia nella ricerca di altri principi attivi per gli antimalarici. Nel 1949, in cerca di maggiore stabilità, Asimov accettò un ponto di assistente all’Università di Boston. Nel 1951 lo seguì stabilmente anche Gertrude, incinta; lì nacquero i due figli di Asimov, David e Robyn Joan. I rapporti con il primo furono molto freddi, perché David non era all’altezza delle aspettative del padre (non trovò mai un lavoro stabile e, dopo la morte del padre, visse con i proventi delle sue opere; nel 1998 fu arrestato e processato per detenzione di materiale pedopornografico). Ben diversi furono i rapporti con Robyn, per la quale Asimov stravedeva; il personaggio di Wanda Seldon, nipote di Hari Seldon nel romanzo Fondazione anno zero, è basato su di lei (attualmente cura i diritti delle opere del padre ed è co-produttrice della serie tv basata sulla saga della Fondazione).

Fu a Boston che Asimov scrisse il suo primo romanzo, Pebble in the sky (“Paria dei cieli”), pubblicato nel 1950 e basato su un racconto breve non pubblicato. A quell’epoca, la sua fama di scrittore di fantascienza si era ormai consolidata. Nel 1941, ancora ventunenne, riuscì a vendere a Campbell il soggetto di una serie di storie ispirate a Declino e caduta dell’Impero romano di Edward Gibbon. Quelle storie avrebbero raccontato della caduta di un Impero galattico, composto esclusivamente da esseri umani, e di un Piano che avrebbe condotto alla nascita di un Secondo Impero mille anni dopo. Alla guida del Piano ci sarebbero state due fondazioni, ai lati opposti della galassia, custodi della psicostoria, la scienza elaborata dal matematico imperiale Hari Seldon per prevedere i comportamenti delle masse umane e anticipare così gli snodi cruciali del futuro. Il successo dei due primi capitoli, Gli enciclopedisti e Briddle and Saddle (“I sindaci”), nel 1942, è fu tale che Campbell gli impose di scrivere altre sei novelle sullo stesso soggetto entro la fine del decennio. La saga proseguì quindi con The Big and the Little (“I mercanti”, agosto 1944), The Wedge (“I principi mercanti”, ottobre 1944), Dead Hand (“Il generale”, aprile 1945), The Mule in due parti (“Il Mulo”, novembre-dicembre 1945), Now You See It… (“La ricerca del Mulo”, gennaio 1948) e infine …And Now You Don’t in tre parti (“La ricerca da parte della Fondazione”, novembre 1949-gennaio 1950).

Con il definito trasferimento a Boston, Asimov aveva deciso di dare una svolta alla sua carriera e mise prematuramente la parola fine alla saga. Dopo il successo di Paria dei cieli, che si collegava all’affresco dell’Impero galattico tratteggiato nelle storie della Fondazione, Asimov pubblicò nel 1952 in tre volumi le storie di questo ciclo, con i titoli Fondazione, Fondazione e Impero e Seconda Fondazione, aggiungendo una storia introduttiva, Gli psicostorici, dove appare per la prima volta il personaggio di Hari Seldon (che nelle prime storie compariva solo in una registrazione olografica). Ma la casa editrice, la Gnome Press, non aveva grande tiratura e le vendite ristagnavano. Il successo mondiale dovette attendere il 1961, quando la casa editrice Doubleday, con cui Asimov aveva pubblicato i successivi romanzi, ricevette da un editore straniero la richiesta dei diritti della trilogia della Fondazione. Recuperati i diritti dalla Gnome Press, nel frattempo fallita, Doubleday ripubblicò i tre volumi. Tale il successo, che nel 1966 la World Science Fiction Convention di Clevaland consegnò ad Asimov il premio speciale per la “miglior saga”, battendo Il Signore degli Anelli di Tolkien.

Analogo successo ricevevano, negli anni Quaranta, le storie sui robot pubblicate da Asimov sempre su Astounding e successivamente su altre riviste. I robot erano da tempo protagonisti delle storie di fantascienza, ma come tradizionali antagonisti dell’Uomo, seguendo la scia del mostro di Frankenstein. Quello stereotipo non piaceva affatto ad Asimov: «La morale dei racconti sui robot malvagi era che l’uomo non deve mai spingere la sua conoscenza oltre a un certo punto. Ma anche da giovane non riuscivo a condividere l’opinione che, se la conoscenza è pericolosa, la soluzione ideale risieda nell'ignoranza». Spunti essenziali furono alcuni racconti del suo futuro amico Lester del Rey e di un certo Eando Binder (un nomignolo che nascondeva due persone, in realtà), che con Io, robot creò la saga del robot Adam Link. In questi racconti i robot erano visti come creature amichevoli e dotate di sentimenti, di cui gli umani avevano irrazionalmente paura. Nemmeno il modello di robot patetico di queste storie appassionava Asimov, ma il suo primo racconto sull’argomento, Strange Playfellow (“Robbie”), nel 1940, ne riprendeva il cliché, pur cercando di trasformare il robot in una sorta di “elettrodomestico” intelligente dotato di valvole di sicurezza. Nel 1941, con Essere razionale, Asimov introdusse due personaggi ricorrenti, i tecnici della United States Robots and Mechanical Men Corporation (U.S. Robots in breve) Michael Donovan e Gregory Powell, alle prese con un robot che sviluppa il concetto di divinità e finisce per non ubbidire più ai suoi padroni. Nel successivo Circolo vizioso (o Girotondo, 1942) vennero introdotte le Tre Leggi della Robotica, impresse nei cervelli positronici di tutti i robot:

  1. Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno.

  2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.

  3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima e con la Seconda Legge.

Le tre leggi, sviluppate da Asimov insieme a Campbell, rappresentavano per l’autore una sfida: da un lato dimostravano perché i robot positronici non potessero costituire una minaccia per l’essere umano, dall’altra ogni storia si basava su un modo per aggirarle e metterle in crisi. Così avviene nei successivi Iniziativa personale, Meccanismo di fuga e La prima legge, ma soprattutto nelle storie in cui la protagonista è la robopsicologa Susan Calvin, a partire da Bugiardo! (1941), magistrale dimostrazione di un cortocircuito prodotto dalle Tre Leggi. Il 1941 fu senza dubbio l’anno di grazia della produzione asimoviana: ancora giovanissimo, dopo aver iniziato a scrivere le storie della Fondazione e alcune delle migliori storie dei robot positronici, quell’anno pubblicò anche Notturno, forse il suo racconto più celebre, in cui viene messo in scena lo scontro tra conoscenza scientifica e superstizione fideistica (vale la pena ricordare che, a differenza dei genitori, ebrei parzialmente osservanti, Asimov fu ateo per tutta la vita e strenuo difensore del metodo scientifico. Su questo punto le distanze con John Campbell, già ampie sul piano politico – Campbell era repubblicano e razzista, Asimov democratico e liberal – divennero incolmabili quando Campbell si invaghì della dianetica di L. Ron Hubbard, che esordì sulle colonne di Astounding).

All’inizio degli anni Cinquanta, pur senza abbandonare la sua narrativa breve, Asimov si diede ai romanzi, sia perché la fantascienza aveva finalmente iniziato ad affacciarsi nel mercato editoriale serio (iniziavano in quel periodo a uscire i primi romanzi di fantascienza in brossura), sia perché le esigenze economiche della famiglia imponevano entrate decisamente maggiori di quelle derivanti dagli assegni per la vendita di racconti. Dopo Paria dei cieli e i successivi The Stars, Like Dust (“Il tiranno dei mondi”, 1951) e The Currents of Space (“Le correnti dello spazio”, 1952), nel 1953 – su consiglio dell’amico ed editore Horace Gold – Asimov decise di scrivere un romanzo di taglio a metà tra la fantascienza sociologica e il giallo in cui i robot positronici avessero un ruolo di protagonista. Nacque così The Caves of Steel (“Abissi d’acciaio”), in cui Asimov introdusse l’androide R. Daneel Oliwav, in coppia con il poliziotto Elijah Baley. Senz’altro tra i suoi capolavori, Abissi d’acciaio troverà un degno seguito con The Naked Sun (“Il sole nudo”, 1957). Nel 1955 pubblicò inoltre The End of Eternity (“La fine dell’eternità”), magistrale romanzo sui paradossi del viaggio nel tempo, tra i capisaldi della letteratura di fantascienza. Sempre in quel decennio Asimov iniziò a scrivere anche una serie di romanzi brevi, pensati in origine come sceneggiature per una serie televisiva che non fu mai girata, e che uscirono poi sotto lo pseudonimo di Paul French: la serie di Lucky Starr, in cui l’eroe eponimo risolve enigmi legati ai diversi pianeti del Sistema Solare.

Abbandonata la carriera di ricercatore nel 1958 (nel frattempo aveva pubblicato un manuale universitario di biochimica), Asimov decise di dedicarsi alla scrittura a tempo pieno. L’anno dopo, a un banchetto di scrittori gialli – genere in cui Asimov iniziava a cimentarsi, ottenendo il successo con il ciclo di storie del club dei Vedovi Neri – incontrò Janet Jeppson, con cui iniziò di lì a breve una relazione extraconiugale, concludendo nel 1970 con la separazione il primo matrimonio con Gertrude Blugerman (morta nel 1990, due anni prima di Asimov; era di tre anni più grande del marito). Ottenuto il divorzio nel 1973, Asimov sposò Janet Jeppson, con cui tornò a vivere a New York. Negli anni Sessanta, Asimov abbandonò quasi totalmente la narrativa. Colpito dal successo dei sovietici con il lancio dello Sputnik nel 1957, rispose alla “chiamata alle armi” di organizzazioni come la National Association of Science Writers impegnandosi nel campo della divulgazione con lo scopo di colmare il divario di alfabetizzazione scientifica nella società americana. Iniziava così una nuova carriera, destinata a enorme successo: quella di divulgatore scientifico, autore di decine di saggi sui temi più disparati, alcuni dei quali – come The Intelligent Man’s Guide to Science (1960; poi edizioni successive; in Italia tradotta nei due volumi Il libro di fisica e Il libro di biologia) – destinati a diventare dei classici. Si divertiva anche a scrivere libri di divulgazione storica, nonché testi dedicati ai temi più disparati, tra cui una Asimov’s Guide to the Bible in due volumi (1968-69) e una Asimov’s Guide to Shakespeare (1970). L’unico romanzo che uscì in quegli anni fu Fantastic Voyage (“Viaggio allucinante”), novellization del film di Richard Fleischer.

Il ritorno alla fantascienza avvenne nel 1972 grazie all'intervento del collega e amico Robert Silverberg. Da un suo spunto (può esistere l’isotopo plutonio-186?) Asimov immagina un universo parallelo, abitato da incredibili creature aliene, in comunicazione con il nostro allo scopo di realizzare una pompa protonica per ottenere energia infinita. Il romanzo, The Gods Themselves (“Neanche gli dei”), si aggiudicò i due massimi riconoscimenti di settore, il premio Nebula e il premio Hugo. Nel 1977 Asimov bissò il successo ottenendo i premi Nebula e Hugo per il suo racconto L’uomo bicentenario, senza dubbio la migliore delle sue storie sui robot positronici, da cui nel 1999 venne tratto il film omonimo di Chris Columbus con Robin Williams nei panni del robot NDR-114 (Andrew Martin).

Su insistenza dell’editore Doubleday, negli anni Ottanta Asimov si decise a tornare ai suoi grandi cicli. Nel 1981 pubblicò The Edge of Foundation (“L’orlo della Fondazione”), subito schizzato ai vertici della classifica del New York Times, aggiudicandosi nel 1982 il premio Hugo. Nel 1982 uscì The Robots of Dawn (“I robot dell’alba”), ultima apparizione di Elijah Baley, mentre il personaggio di R. Daneel Olivaw ritornò non solo nel successivo The Robots and the Empire (“I robot e l’Impero”, 1985), ma anche nei successivi romanzi della Fondazione: Foundation and Earth (“Fondazione e Terra”, 1986) e i due prequel Prelude to Foundation (“Preludio alla Fondazione”, 1988) e Forward the Foundation (“Fondazione anno zero”, 1992), diventando così il trait d’union dei due cicli dei robot e della Fondazione. In quel decennio uscirono inoltre Destination Brain (“Destinazione cervello”, 1987), sorta di sequel di Viaggio allucinante ma con una più solida base scientifica e decisamente più godibile, e Nemesis (1989), romanzo stand-alone basato sulla vecchia idea che il Sole possieda una compagna gemella.

La vita radicalmente sedentaria e una predisposizione familiare non giovarono alla salute di Asimov. Nel 1977 ebbe un primo attacco di cuore. Alla fine del 1983, a causa del peggioramento dell’angina, fu sottoposto a un triplo bypass coronarico. In quell’occasione, durante la perfusione in circolazione extracorporea, fu infettato dal virus dell’HIV. Il peggioramento della sua salute negli anni successivi era evidente a tutti, soprattutto alla moglie, che iniziò a sospettare nonostante il medico che avesse effettuato l’intervento si rifiutasse di analizzare il sangue. Durante un ricovero per insufficienza renale nel 1989 la diagnosi fu inevitabile: Asimov aveva contratto l’AIDS. Decise di non farne parola se non con pochi intimi, perché all’epoca lo stigma sociale dei malati di AIDS era ancora molto forte, essendo associato a omosessualità o tossicodipendenza. Quello stesso anno iniziò il suo ultimo romanzo, Fondazione anno zero, una sorta di autobiografia degli ultimi anni in forma di fiction; ma la sua proverbiale facilità di scrittura iniziava a venire meno ed era costretto a restare sempre più a lungo a letto. Nel 1992 ottenne il suo ultimo riconoscimento: un premio Hugo per il racconto Gold. Aveva terminato tre delle quattro sezioni dell’ultimo romanzo ma non riusciva a concludere la quarta e lo confessò ai lettori nell’ultimo editoriale per la rivista che portava il suo nome, la Asimov’s Science Fiction: «Ogni volta che ci provo scopro che sono troppo stanco per riuscirci… Credetemi, mi spiace per questo; molto più di quanto possa dispiace a voi». Nemmeno un mese dopo, il 6 aprile del 1992, moriva nella sua camera privata al New York University Hospital.

Janet e Isaac Asimov
Janet e Isaac Asimov

Nella sua autobiografia I, Asimov uscita postuma pochi mesi dopo, la moglie Janet (morta nel 2019) conta 38 romanzi di fantascienza (dieci scritti con la moglie – la serie di romanzi per bambini Norby – e due con Robert Silverberg), 2 romanzi gialli, 35 antologie di racconti di fantascienza, 9 antologie di racconti gialli, 120 antologie da lui curate con racconti di altri autori (in particolare la serie Isaac Asimov Presents the Great SF Stories con Martin H. Greenberg), 164 saggi di divulgazione scientifica nell’ambito dell’astronomia, della fisica, della matematica, della biologia e della scienza in generale, 40 volumi collettanei di articoli scientifici, 2 antologie di scritti sulla fantascienza, 19 libri di storia, 7 volumi sulla Bibbia, 10 libri di critica letteraria, 9 antologie di racconti umoristici e satirici, 14 volumi di miscellanea e 3 autobiografie, per un totale di 472 titoli.