In ogni caso, il marketing è fondamentale per coinvolgere il grande pubblico, indipendentemente dalla qualità del prodotto. Il grande successo di un unico titolo o autore potrebbe portare il genere sotto le luci della ribalta, garantendo un notevole incremento di vendite, e il relativo codazzo di emuli. Probabilmente, in parallelo, come si è già visto con il fantasy, si assisterebbe a un appiattimento della qualità generale, ma forse anche a un maggiore interesse delle case editrici e alla scoperta di un certo numero di autori davvero validi, capaci di creare storie belle e coinvolgenti, che mantengano “agganciato” il pubblico. Ma la fantascienza italiana non sarebbe veramente tale, a mio parere, se non dimostrasse di essere dotata di una sua voce propria, ben distinta da quella degli altri paesi. E qui, fermo restando che senza editoria non si va da nessuna parte, si può solo fare appello all’immaginazione e al coraggio degli autori, affinché sappiano proporre qualcosa di più marcatamente “genuino”, di più vicino alla nostra cultura, pur senza trascurare l’elemento fantascientifico puro.
La fantascienza “italiana”, cioè scritta da Italiani per altri Italiani, con l’idea di non farsi condizionare dai modelli della cultura anglo-americana, è frutto di un percorso iniziato e ben presto “abortito” tra la fine del XIX e i primi decenni del secolo scorso. Dico “abortito” perché, mentre nella seconda metà dell’Ottocento si sviluppava in tutt’Europa la corrente filosofico-letteraria del Positivismo, inserendo nella cultura occidentale interessi di tipo scientifico-tecnologico che avrebbero trovato massima espressione nelle opere di Jules Verne e di H.G.Wells, in Italia l’idealismo crociano espungeva dal concetto di letteratura “alta” qualsiasi elemento relativo alla scienza, affermando un “diktat” culturale gravido di conseguenze. Ostacolati, infatti, dal pregiudizio crociano, anche i pochi autori italiani aderenti al Surrealismo (corrente che in Italia sembrò anticipare stili e tematiche tipici della moderna fantascienza) confluirono, ormai orfani di riferimenti culturali, nel nascente Futurismo, che per una trentina d’anni sembrò in grado di gettare le basi per una futura, davvero autoctona “narrativa scientifica”, dove gli elementi tecnologici costituissero, in positivo o in negativo, elementi fondamentali del racconto.
Purtroppo, quei trent’anni di Futurismo si sovrapposero in Italia al regime fascista, causando dopo la Liberazione un violento ostracismo culturale nei confronti di tutto ciò che, a torto o a ragione, era sospettato di compromissioni col regime. Ci fu quindi un secondo “aborto” della fantascienza italiana, perché le istanze futuriste vennero rifiutate a tutto vantaggio del Neorealismo, avido di fotografare solo la “realtà”, l’hic et nunc di un’Italia uscita dalla guerra
In nessun altro momento della sua storia la fantascienza italiana è stata così ricca di autori e iniziative. Le manifestazioni si accavallano, in un susseguirsi di proposte spesso entusiasmanti, gli autori italiani aumentano e vengono addirittura… letti. Le grandi case editrici si sono accorte del gigantesco lavoro fatto dalle loro piccole e artigianali sorelle e cominciano a ‘intingere il biscotto’ nella speranza di rimpinguare le loro asfittiche casse grazie a questi ‘strani’ argomenti.















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