Fino al 1916 rimase in vigore l'universo secondo Newton. Ed era un universo ordinato e perfetto. Non c'era niente che sgarrava. Ogni cosa filiava liscia sui binari precisi della legge di gravitazione universale come lancette di un orologio svizzero. Certo, aveva anch'esso le sue stramberie. Una di queste, forse la peggiore di tutte, era come diavolo potesse trasmettersi la forza di gravità. A questo proposito, accorgendosi che neanche una mela al giorno avrebbe potuto levarle di torno, Newton ci passò sopra e preferì non fare ipotesi e lasciare alle cose di dio e alla riflessione degli uomini ulteriori considerazioni sull'argomento. Nonostante ciò questo universo resistette per 229 anni, che a ben vedere per un universo non sono poi granché!, dopodiché fu costretto ad abdicare. In realtà, il responsabile di tale oltraggio, quel piccolo uomo baffuto dell'Ufficio Brevetti di Berna, aveva già cominciato a dare mazzate alle teorie di Newton una decina d'anni prima, quando nel 1905 aveva pubblicato la Teoria della Relatività Speciale o Ristretta.

Ma fu nel 1916, che Albert Einstein speronò definitivamente il Titanic della fisica classica con l'iceberg della Teoria della Relativià Generale, facendo colare a picco quella che era considerata una teoria inaffondabile, una visione che mai e poi mai avrebbe potuto essere superata, tali e tante erano state le prove osservative a suo favore. La demolizione da parte di Einstein cominciò con due osservazioni fondamentali. La prima riguarda il tempo di propagazione della forza di gravità. Come s'è detto, ben sapendo di non poter sciogliere un nodo troppo complicato per la scienza dei suoi tempi (e, a dire il vero, anche dei nostri!), Newton non azzardò alcuna ipotesi su come si potesse trasmettere la forza di gravità, per cui ritenne ragionevole che essa si propagasse tra i corpi in maniera istantanea.

Basandosi sugli studi di Maxwell secondo cui luce ed energia, come pure elettricità ed elettomagnetismo, si propagano nel vuoto alla velocità della luce, Einstein estese il concetto alla forza di gravità che avrebbe quindi dovuto propagarsi anch'essa, non più istantaneamente, ma alla velocità della luce. La seconda considerazione di Einstein fu il cosiddetto Principio di Equivalenza. In parole semplici Einstein notò che non era in alcun modo possibile distinguere tra l'accelerazione e la forza di gravità. Se vi trovaste in viaggio nello spazio su un'astronave che si muove con un'accelerazione costante pari a 9.8 m/s2, vi sentireste schiacciati nella direzione opposta a quella del moto con una forza pari alla medesima forza di gravità terrestre. Inoltre, se la direzione del moto fosse proprio verso il vostro "alto", e non ci fossero oblò a mostrarvi dove siete e il vostro movimento, i vostri piedi non potrebbero in alcun modo distinguere se siete in volo o fermi sulla superficie terrestre. Questo è il medesimo principio su cui si basa la gravità artificiale delle stazioni orbitali. Ricordate la stazione spaziale rotante di 2001: Odissea nello spazio? Ebbene, date le dimensioni dell'oggetto, esiste una velocità angolare opportuna che provoca un'accelerazione centrifuga che causa una forza agente radialmente verso l'esterno, simulando alla perfezione una forza di gravità. A questo punto Einstein ribaltò la questione e osservò che se l'accelerazione poteva simulare la gravità, non si poteva concludere con certezza che in realtà gli effetti della gravità non fossero dovuti a un'accelerazione. Sotto questo aspetto la gravità assumeva così i contorni di "un punto di vista" non di una spiegazione autoconsistente dei fenomeni sperimentati. Partendo da queste due riflessioni, Einstein ristrutturò l'intero castello newtoniano e formulò una nuova teoria della gravitazione conosciuta come Teoria della Relatività Generale.