Come sappiamo, a partire dallo stesso 1912 Burroughs lega la sua fama alla saga di Tarzan: come è stato detto, la sua Africa è difficile da distinguere dai luoghi fantastici, ugualmente irreale e idealizzata, e a volte la trama sfiora la SF, incontrando dinosauri e città favolose. Nel curioso spin-off di The Eternal Savage (1914), il mondo (comunque moderno) di Tarzan incontra la preistoria quando un guerriero dell’Età della Pietra viene misteriosamente proiettato nel presente, e una ragazza in visita a Tarzan finisce nel suo tempo: un’idea di scambio temporale che promette più di quanto il romanzo realizzi. In tutte queste opere la lezione di Haggard è qui banalizzata, senza la visionarietà delle saghe planetarie.

In realtà tutte le storie di avventura “realistiche”, come quella ambientata nell’immaginario regno germanico di The Mad King (1914), sono deludenti. Più che gli avventurieri (tutti pressochè uguali, pallide copie di Carter e di Lord Greystoke) sono gli sfondi che contano. L’immaginazione sociale decisamente reazionaria di Burroughs continua a incontrare il Medioevo, che può ancora funzionare narrativamente solo se traslato in luoghi in cui può scatenarsi l’immaginazione biologica.

Dopo Marte, il secondo di questi cicli riprende il motivo della Terra Cava. A partire da At the Earth’s Core, pubblicato nel 1914 su All-Story Weekly, l’ambientazione fuori dal tempo della misteriosa Pellucidar, situata al centro della terra, riunisce dinosauri e uomini bestia; proprio qui ritroveremo Tarzan in quello che ora chiameremmo un crossover fra due saghe, nel quarto di sette volumi, Tarzan at the Earth’s Core (1930). Come sempre però, lo sfondo diventa facilmente una scusa per una storia d’avventura. Un’altra versione della Terra Cava torna nel trittico di racconti riuniti in The Land that Time Forgot (1918-24), ambientata nella favolosa terra preistorica di Caspak, vicino al Polo Sud.

A partire dagli anni 30, Burroughs ci porta su Venere, e per la prima volta abbiamo un astronauta: forse è questa la sua prima vera saga fantascientifica. Nel 1932, su Argosy, appare per la prima volta il personaggio di Carson Napier, in Pirates of Venus, che ritorna in Lost on Venus (1935), Carson of Venus (1939) e Escape on Venus (1941-42), insieme al racconto postumo The Wizard of Venus. Almeno all’inizio il mondo venusiano è quanto di più vicino a un’utopia nella sua produzione, una Shangri-La dell’eterna giovinezza; ma a differenza di tutte le lost races, da Haggard a (per l’appunto) Orizzonte perduto di James Hilton, Burroughs non ha la minima intenzione di accettare le conclusioni classiche del sottogenere: la distruzione della terra perduta, l’esclusione dell’eroe dalla beatitudine primitivista, la fuga con l’amata nel nostro mondo. Burroughs vuole veder trionfare i suoi eroi in guerra e in amore, e il trionfo deve avvenire nel mondo favoloso. Ma riesce solo a far trionfare le trame standard del western seriale.

Le più riuscite sono le storie lunari, il romanzo The Moon Maid (1923-25) e i due racconti lunghi del 1926 riuniti in The Moon Men, in cui la civiltà annidata nell’interno della Luna lancia un’invasione della Terra. Per una volta, eccezionalmente i buoni perdono e l’invasione si rivela vincente. Il secondo dittico allora racconta la ricostruzione della civiltà terrestre, ricacciata nel nomadismo e nella povertà. A rinascere sarà una società che fonde il mito nazionale statunitense a quello dei nativi americani: ma appunto non abbiamo un ritorno allo status quo. Sia pure occasionalmente, Burroughs prova a immaginare un futuro diverso dal presente, in una delle sue poche serie veramente originali.

Due racconti di una serie spaziale iniziata negli anni 40 ma abbandonata furono riuniti nel 1965 in Beyond the Farthest Star: un pilota di guerra trasportato in un lontano pianeta. Lontano, alieno, ma sempre uguale a tutti i luoghi immaginari di Burroughs. Ma un’ennesima prova che, insieme all’avventura africana, la SF era rimasta sempre uno dei motivi centrali di Burroughs. A dimostrarlo sarà anche il successo, negli anni 70 e 80, delle riedizioni della Ace e della Ballantine, che nelle copertine di Frazetta e altri strizzano peraltro l’occhio al nascente boom della fantasy.

Dagli anni 70, come ci ricordano le indicazioni bibliografiche del Catalogo di fantascienza, fantasy e horror curato da Ernesto Vegetti (http://www.fantascienza.com/catalogo), la riscoperta tocca anche l’Italia. Al confine fra generi, nonostante la sua goffaggine Burroughs continua ad accompagnarci. E — non vergogniamoci di riconoscerlo — ad affascinarci.