Un uomo diviso

Una delle poche edizioni italiane reperibili
Una delle poche edizioni italiane reperibili
Non legato alla emergente scena pulp britannica (a parte alcuni contatti con giovani ammiratori come Arthur C. Clarke, Eric Frank Russell e l'editor Walter H. Gillings), è più giusto inquadrare Stapledon come figura eccentrica dell'establishment culturale. Anche sotto questo aspetto si tratta di una figura emblematica.

Nato vicino Liverpool nel 1886 in una buona famiglia borghese arricchitasi nel commercio coloniale (trascorre a Suez una parte dell'infanzia), William Olaf Stapledon studia a Oxford e consegue un dottorato in filosofia a Liverpool. E Stapledon si considererà sempre, in fondo, per prima cosa filosofo (pur non insegnando mai all'università) e libero pensatore. Saggista prolifico, scrive studi e articoli che oscillano fra una profonda fiducia nella razionalità e una forma di spiritualità laica, legata alla scienza e al sapere. Insieme al contemporaneo spagnolo-americano George Santayana, Stapledon è, nella filosofia del mondo di lingua inglese, uno dei grandi esploratori del territorio della metafisica della prima metà del secolo.

"Un uomo diviso", A Man Divided, è il titolo del suo ultimo romanzo, vagamente autobiografico (uscito nel 1950, l'anno della sua morte), ripreso anche nel sottotitolo del libro dedicatogli dal celebre critico statunitense Leslie Fiedler nel 1983. Le "divisioni", le contraddizioni, le tensioni sono tante in Stapledon. In politica, è pacifista (dalla scelta di operare come autista di ambulanza nella Prima Guerra Mondiale all'attività di conferenziere agli albori della Guerra Fredda) e socialista non marxista, ma si dichiara filosovietico anche negli anni di Stalin; seguace del sogno wellsiano della Società delle Nazioni, non si libererà mai da idiosincrasie e pregiudizi nazionalisti (come un veemente antiamericanismo e un più sotterraneo antisemitismo). E' sempre alla ricerca di un'indipendenza economica come scrittore impegnato ma, anche per la scelta di forme e generi poco legati alle mode, si ritrova a vivere da réntier, della cospicua eredità di famiglia. Rimane elitario nella speranza che una casta di pensatori eletti (un po' come i "samurai" di Wells) possano fungere da guide illuminate del mondo, ma si impegna per anni come insegnante di storia e filosofia in corsi per lavoratori. Come intellettuale, è autore di libri e saggi accademici, ma anche collaboratore di riviste divulgative e popolari, e appunto creatore di scientific romances ispirati a Wells. Soprattutto, Stapledon è un pensatore che, a partire dal mondo umanistico, cerca di far proprie seriamente e fino in fondo le suggestioni provenienti dall'universo della scienza.

E nell'Inghilterra degli anni Venti e Trenta il dibattito scientifico raggiunge una problematicità e un'intensità visionaria dimenticata dalle storie letterarie. Dai vari Julian, Thomas e Aldous (l'autore nel 1933 di Il mondo nuovo) Huxley, a filosofi come Bertrand Russell fino a biologi come J.D. Bernal (The World, the Flesh and the Devil, del 1929) e J.B.S. Haldane (Daedalus, del 1924) - senza dimenticare la sorella di Haldane, Naomi Mitchison, a sua volta autrice di SF - la scienza diventa speculazione sul futuro, immaginazione di un'affascinante, entusiasmante e seducente evoluzione naturale e culturale dell'umano - fino al post-umano, come diremmo (purtroppo?) oggi.

Allora Bernal (ringraziato da Stapledon nel Costruttore) può parlare di cyborg e di stazioni ed esplorazioni spaziali, e Haldane del biologo come eroe romantico del nuovo secolo: una interazione fra scienza e fantascienza che porterà molti frutti. Potremmo immaginare un continuum, che va dal trattato scientifico, passa per la divulgazione con elementi visionari, e arriva al romanzo "scientifico" vero e proprio. In questo continuum, Stapledon occuperebbe forse il centro esatto: nelle sue opere migliori, oltre alla speculazione intellettuale, non si dimentica mai il piacere del racconto.