Immaginate di prendere un aereo di linea, con cinquanta chili di bagaglio personale e magari una cassa di strumenti scientifici. Il vostro percorso aereo è talmente lungo che vi hanno dovuto stampare due blocchetti di copie del biglietto. Immaginate di passare le successive trentasei ore tra aerei ed aeroporti, passando diverse dogane e controlli di sicurezza e spiegando ad ognuno di loro che state trasportando strumenti scientifici e non materiali per un assalto bioterroristico. Atterrate finalmente, alle sei di sera di un fuso orario assurdo, comprensibilmente esausti, in una modesta città dell'Isola Sud della Nuova Zelanda. Christchurch, forse l'unica città con tre CH nel nome, ha un motivo di orgoglio nel panorama internazionale, e lo ha adottato nel suo soprannome: "gateway to Antarctica", cancello per l'Antartide. Siete qui perché volete studiare i lunghi raffreddori del pianeta, le ere glaciali. Forse per giustizia poetica, uno dei modi più efficaci richiede di andare nei posti più freddi del mondo.

Da qui finisce il viaggio normale e inizia quello scientifico, che manifesta però precise risonanze con la missione militare. Avete appena il tempo di passare in albergo a deporre i bagagli che venite invitati a un briefing. Ci caracollate nel caldo dell'estate australe per sapere che alle tre di notte dovrete essere pronti alla partenza, in tenuta antartica completa: biancheria di pile, pantaloni, camicia spessa, maglione, piumino, giacca antivento, pantaloni antivento, stivali spaziali e guanti da motociclista siberiano. Salite con gli altri su un cargo militare, dove vi aspettano sette ore di volo. Chiacchierare è impossibile, l'aereo è molto più rumoroso di un elicottero.

Atterrate su uno strato di ghiaccio marino, con comprensibile nervosismo, e scendete assonnati e assordati per trovare meno venti gradi e settanta chilometri all'ora di vento. Fate appena in tempo a vedere la base antartica costiera, a Baia Terra Nova, che venite caricati su un piccolo aereo, una specie di motoslitta con due eliche, e portati in cinque ore alla base antartica interna, a Dome C, tremiladuecento metri di quota, dove trovate meno quaranta e trentacinque chilometri all'ora di vento. Effetto combinato di vento e freddo: meno settanta. Effetto combinato di vento, freddo, stress e bassa pressione dell'aria: fiatone per camminare, mal di testa, vertigini e nausea. Il medico della base vi mette a letto per la giornata di riposo obbligatorio. Quando finalmente il medico vi da l'ok e potete raggiungere la vostra meta agognata, che vi ha fatto attraversare più di mezzo mondo: una specie di capannone. E potete cominciare a scavare.

Buona parte del continente antartico si trova su una coltre di ghiaccio spessa diversi chilometri, che si è accumulata in centinaia di migliaia di anni. I carotaggi di questo ghiaccio mantengono i segni delle stagioni e dei climi passati, come gli anelli di un albero antichissimo. Le concentrazioni di composti, elementi ed isotopi nelle carote di ghiaccio rappresenta una delle fonti più importanti di informazioni sul paleoclima terrestre: sulla temperatura dell'atmosfera e sulla sua composizione, sulla quantità di energia dal sole e sull'esplosione dell'occasionale (super)vulcano. Questi dati, assieme alle conoscenze dirette sulla attuale dinamica meteo-chimica dell'atmosfera, costituiscono la base dati dei grandi modelli climatici. Va sottolineata la parola dinamica: alla concezione antiquata di un'atmosfera uguale a sé stessa per tempi lunghissimi, va contrapposta un'atmosfera che è simile a un enorme, caotico laboratorio chimico. Sostanze vengono sintetizzate e distrutte e i composti passano dal gas al liquido al solido. La radiazione solare non si limita a fornire calore, ma anche a rompere le molecole e a formare nuovi composti. E questi si vendicano cambiando l'opacità dell'atmosfera alle diverse lunghezze d'onda dello spettro elettromagnetico, contribuendo a trattenere più o meno energia e ad alterare l'equilibrio termico della Terra. Insomma quello del clima è un tipo di problema di cui Socrate sarebbe stato molto soddisfatto: più ne capiamo, più scopriamo che ci sono cose che non sappiamo abbastanza bene. Prevedere il futuro climatico è molto difficile, e modelli basati su approssimazioni diverse danno risultati totalmente contrastanti.