Mia moglie si aprì la camicetta, si slacciò il reggiseno, e io pensai che nella vita ci fosse ancora spazio per qualche piacevole sorpresa. Invece domandò: - non ti sembra che i miei nei siano cresciuti?

Gettai il pennello nel bicchiere e mi ripulii le mani in uno straccio imbrattato di colore. Era raro, all'epoca, che riuscissi a dipingere; per questo immagino di averle rivolto un'espressione poco conciliante: non ho mai amato essere interrotto. Rimirai comunque le minuscole escrescenze di carne scura. Probabilmente le borbottai qualcosa come non sono mica un medico e aggiunsi che mi sembravano sempre uguali.

Ricordo bene il suo sorriso spaesato. Se chiudo gli occhi l'ho ancora davanti: pareva una bambina che ha appena visto morire il suo cucciolo e non ha ancora capito che non si può aggiustare. Domandò se ne ero sicuro: i nei erano cresciuti oppure no?

Sicuro non potevo esserlo; la topografia del suo corpo non mi era più granché familiare. Se ancora si faceva qualcosa insieme, erano di rigore le luci spente. Però annuii lo stesso e lei si riabbottonò la camicetta, e addirittura arrossì. Rimanemmo qualche momento a guardarci senza aggiungere altro. In fine mi ringraziò e uscì dallo studio, molto compita, come se le avessi aperto un barattolo che non riusciva ad aprire da sola.

Tornai al lavoro, e pensai che l'ipocondria stava diventando una specie di moda. Poche ore prima aveva telefonato Flavia, mia sorella, per informarmi che si sentiva le ghiandole troppo grosse e che aveva deciso di farsi ricoverare in ospedale per dei controlli. Intendiamoci: mia sorella conosceva a memoria la guida medica e si sentiva sempre afflitta da decine di patologie immaginarie, quindi non ero minimamente preoccupato. Oltre a lei, c'era il mio agente: da qualche tempo aveva preso l'abitudine di andare in giro sempre con una mascherina microporosa calata sulla faccia. Poi c'era mia madre. E il vicino di sotto. E il mio edicolante. A ripensarci potrei stillare una lunga lista di persone convinte di covare chissà quale malattia. Pensavo che fosse segno dei tempi, colpa della SARS e di tutto il resto.

Certo non potevo sospettare che avessero ragione.

La mattina seguente, a colazione, toccò a Fabio. Non smetteva di grattarsi i polsi e la nuca. - Mamma, mi sembra di avere i nei più grossi... e mi prudono. - Sul viso di mia moglie comparve la consueta espressione stoica; la stessa con cui mi aveva informato, sette anni prima, di doversi sottoporre all'isterectomia e la stessa offerta ai medici che la informavano dell'errore e dello stato di perfetta salute di cui godeva l'utero appena asportato. Esaminò la schiena di Fabio senza nemmeno lasciargli il tempo di finire la colazione. Per quel giorno, decise all'istante, niente scuola. Subito a letto. Troppo faticoso il primo anno di liceo: c'era bisogno di tranquillità e riposo. Poi, coi modi allarmati di chi ha appena scoperto una congiura mortale, si domandò se non spirasse un vento stranamente caldo per dicembre; e cos'era quel cielo, giallastro come se fosse carico di sabbia?