Quest'immane spettacolo dissipò in parte le nebbie in cui mi pareva di galleggiare e correre e urlare. Guardandomi attorno ebbi un'ispirazione. Immaginai me stesso intento a produrre un simulacro di Nadia com'era quando l'avevo conosciuta. Intanto che camminavo lungo le strade, mi pulì il naso e rimasi a guardare la mano sporca di sangue senza rendermi conto che, molto probabilmente, stavo sorridendo come un idiota. Che bel quadro sarebbe stato! Me, nudo, in posizione fetale, con le carni che diventavano il volto di Nadia. Allargai le braccia e feci un inchino all'uomo accanto a me, con grossi grumi sul petto simili a mammelle, che barcollava appesso a una ragazza i cui occhi si erano gonfiati tanto da sembrare due palloni da calcio. Scoppiai a ridere e sentii la mia risata sussultarmi nel petto e uscirmi di bocca come un conato di vomito.

Mi ero rovinato da solo.

Corsi indietro, verso casa, diretto al mio studio e, una volta arrivato, strizzai i colori sulla tavolozza e mi misi a dipingere. Veloce, più veloce, sempre di più, intanto che i nei iniziavano a prudermi in modo insopportabile. Un colore dietro l'altro tentando con ogni forza di sfogare le immagini che avevo nella testa. Coi gemiti di mia moglie e di mio figlio nelle orecchie, sudando, resistendo al prurito, percependo l'anatomia del corpo che cominciava a cambiare, tentai di organizzare i colori in linee che avrebbero voluto essere volumi, luci e ombre.

Non sono mai stato un pittore veloce. Impiegavo mesi a ultimare un quadro, prima. Ma quel giorno dipinsi ringhiando, piangendo, le mani tremanti, e dipinsi in fretta. Eppure non riuscii a resistere e grattai i nei sbocciati sulle braccia sino a ferirmi, e addirittura presi a scalzarli uno a uno con le unghie.

Ma non smisi di dipingere. E questo, credo, riuscì a salvarmi. Il quadro prese forma, e le immagini sorsero dal colore, pennellata dopo pennellata. Usai anche il mio sangue. E quando finalmente mi vidi sulla tela così come mi ero immaginato, in posizione fetale, con la schiena coperta dal volto di mia moglie, il prurito cessò.

Indietreggiai sino al muro, ansimando. Chiamai Nadia, come sempre facevo quando ultimavo un quadro. Ero a tal punto stralunato, del tutto fuori di testa, che impiegai qualche istante per ricordarmi in che condizioni fosse. Andai da lei.

Tre chili alla volta, non ne restava granché. - Peccato - le dissi, - ti piacerebbe. - Guardando il mucchio di pseudo-neonati imbrattati di sangue e pus, ebbi un'altra ispirazione. La soppesai nella mente per qualche istante. Andai alla finestra in tempo per vedere, in lontananza, uno dei palazzi incendiati collassare in una nuvola densa di fumo che pareva un'infiorescenza di budella.

Sì, l'idea stava strutturandosi e la pelle ricominciava a prudere. Dovevo subito rimettermi al lavoro.

E' così che mi avete trovato, no? Stavo dipingendo l'ennesimo quadro...

Non c'è molto altro da raccontare. Il resto lo sapete.

Spero di avervi dissuaso, con questa specie di rapporto, a togliermi tele e colori. So che volete farlo per vedere se ho ragione o no. Credete che io sia immune al contagio per qualche altro motivo...

Ecco, vedete, è la logica! Ma dovete resistere alle lusinghe della logica... Perché se mi impedirete di dipingere, mi ucciderete o, nella migliore delle ipotesi, inizierò a trasformarmi, proprio come sta succedendo a voi. Ancora, e sempre, sento appena sotto la pelle qualcosa che freme e guizza e che, certe volte, ricomincia a prudere.

Disorganizzate i pensieri prima che la carne vi tradisca completamente, e coltivate il vostro delirio.

Oppure, almeno, lasciatemi il mio.