Aggiro i vicoli col ricordo, le strade, le piazze, in un ordine che è solo apparentemente casuale. Shangrila emana forza dalle sue mura, descrivendo un percorso di felicità che abbraccia le cupole dorate, le torri a decine, i tetti che s'innalzano come un unico mosaico lasciato scaldare al sole.

E la gente. Figure che si agitano su di una tela alla quale noi forniamo i colori.

Una vertigine, che mi precipita nel vortice di cattedrali e piramidi austere, attraverso il sorriso di questa città che ogni volta abbiamo la forza di ricostruire altrove. La città della follia, che possiede il fascino delle cose fantastiche.

Sbatto le palpebre, mi guardo intorno. La realtà si ricompatta. E' durato un paio d'istanti, o forse un giorno intero.

Un altro tempo.

Un altro sguardo.

Un altro luogo.

Il dottore è tornato; disattiva il Motore, con calma. I tubicini si ritraggono abbandonandomi al nuovo battesimo del mio corpo. Le vasche di ammoniaca iniziano il loro ribollire sommesso, a caccia dei residui inutili che ho lasciato loro in eredità.

La rigenerazione è terminata, fino al prossimo mese.

Il dottore si avvicina, premuroso. Gli occhi, pieni d'indifferenza, lo tradiscono. Il sapore d'avorio che ho in bocca è insopportabile.

- Signor Matias, come si sente?

Sono ancora vivo, ecco tutto.

- E' solo un fatto di priorità, noi abbiamo qualcosa, e loro la vogliono: il resto non conta.

Ariel sorride soddisfatto, il volto rapito da una maschera di gioia che non lo abbandona mai. I lunghi capelli neri sono completamente bagnati, luccicano, simili agli occhi che passano senza sosta da me a Zhang Hua.

- La noia è una malattia, e il loro più grande desiderio è sconfiggerla - prosegue. - A differenza di quelli che comandano oltre le nostre mura, noi manteniamo le promesse.

Un gesto appena accennato col capo. Le due ragazze costrutto che sono con lui nella vasca esagonale ne escono ridendo, i corpi nudi che brillano alla luce dei bracieri. Ariel ne schiaffeggia una sulle natiche minacciando improbabili punizioni.

- Ho i miei dubbi anche su questo - dico, addentando di gusto una pesca. I giardini di Zhang Hua sono una miniera d'oro.

Ariel stringe lo sguardo su di me. Pochi secondi, poi si scioglie in una risata fragorosa. - Matias, amico mio, devi imparare ad accettare la vita anche per la sua mutabilità. Al prossimo contratto ti renderò la porzione di settore in più. Un errore, credimi. Ma mai come questa volta i miei ingegneri hanno costruito delle cascate così belle. Mi sembrava un peccato ridurle.

- Dobbiamo essere cauti, oggi più che mai. - La voce di Zhang Hua è un sussurro. - Devi essere cauto, Ariel. Hai aumentato il numero dei costrutti, le attrazioni, le trasgressioni possibili... Ciò non è passato inosservato.

Ariel si rilassa nell'acqua, il respiro che diventa un grugnito. - Non dovevamo venire in Europa, semplicemente.

- I tempi erano maturi.

- Un corno. Guarda fuori le mura Zhang: i picchetti, i fuochi, le minacce alla gente che aspetta d'entrare. Abbiamo sempre rappresentato un limite che viene superato e siamo venuti a sbandierare la nostra bravura proprio in casa della Nuova Chiesa. Pura follia.

- I voti sono stati due a uno - ribatto. - Così abbiamo sempre deciso, negli anni.

- Esatto Matias, ma questo non vuol dire che le scelte siano sempre state giuste.

Le parole di Ariel sono sensate, una volta tanto. Mi porto dentro questa domanda fin dal momento in cui decidemmo, io e Zhang Hua, di tornare in Europa. Ariel ha sempre osteggiato questa scelta, ma è nella sua natura sudamericana, fatta di orgoglio e abbagliante superficialità, di vendette inutili contro il passato e illusioni sempre nuove da alimentare. L'Europa rappresentava una sfida e l'abbiamo colta, nonostante tutto; ma ciò va oltre l'ideale di Ariel di diffondere bagliori senza impegnarsi nel dare la caccia alle ombre.