- Padrone Matias! - Fa un gesto con un braccio. Si avvicina furtivo. - Padrone Zhang mi ha mandato a cercare, sì. Stiamo per andare, via, in aria, lontano. C'è posto per te, ma presto!

L'ennesima via di fuga.

- Ringrazia Zhang da parte mia. Non verrò.

- Padrone Matias, come, città finita!

Un grido. La voce di Tangi, forse. Non devo pensare.

- Di' a Zhang che sono troppo vecchio per cercare certezze altrove.

Il dirigibile grigio si alza lentamente, incidendo l'orizzonte al tramonto. E' privo d'insegne, tranne un piccolo drago scarlatto stampato proprio sulla prua puntata verso sud.

Qui a terra è un fiorire d'insulti in un crescendo di rabbia che trova un altro sfogo, come se tre giorni di saccheggi e distruzione non fossero bastati. Il dirigibile sfiora i fuochi che ancora insistono nel loro dovere, li evita, simile a un animale impaurito. E' ancora troppo basso e a pieno carico per un lungo viaggio. La fretta di allontanarsi, più che di alzarsi, sta facendo correre al pilota più rischi di quanti dovrebbe. Poi l'esplosione di un edificio, le fiamme che vanno alte e disseminano schegge di fuoco come proiettili. Il rivestimento esterno del dirigibile s'incendia, l'elio diventa un sorriso incendescente e trasforma il dirigibile in una preghiera sussurrata a fior di labbra.

E' tempo di abbandonare le mura.

La notte è di ghiaccio, nessuna luce. La memoria non mi aiuta mentre percorro le strade, affidandomi all'istinto per evitare le ronde delle tonache nere, cercando riferimenti visivi per tornare alla casa. I costrutti sono sciamati fuori da Shangrila e ora la caccia si è spinta fin nelle viscere di Vienna. Nessun posto è sicuro.

Un tetto dall'inclinazione strana, finestre con i vetri rotti; ritrovo il giardino per puro caso, le gambe che stanno per cedere alla stanchezza. Sono ancora tutti nel seminterrato, tremando a ogni rumore di passi che arriva dalla strada, stretti gli uni agli altri, incapaci di muoversi.

Tangi non c'è.

- Padrone Matias... - E' il più anziano che parla, fissandomi sbalordito, come all'apparire di un miraggio.

- Dov'è la Signora?

- Non lo sappiamo. Sono giorni che non viene. - Guarda gli altri, gli occhi esausti. - Ci ha detto di non aver paura perché ci avrebbe protetto.

Non m'importa più di nulla. Tutto è così lontano nella mia mente, da essere sfocato e irrilevante. L'unica cosa che sento è la paura, il terrore di restare solo in un mondo che non mi appartiene.

E tu, sai cosa vuol dire desiderare la vita?

Questa paura, i denti che stringono dolore e istinto di sopravvivenza come fossero un boccone amaro e allo stesso tempo delizioso.

- Ci troveranno - dice il vecchio. - Siamo in troppi e non possiamo dividerci; ma lei, padrone, lei può salvarla.

La bambina sbuca intimidita dal gruppo, sospinta a forza dalle mani degli altri. Mi regala un sorriso incerto, senza compromessi.

Mi sento vivo.

E' una sorta di corsa fatta in apnea, col paesaggio che scivola dietro di me, anonimo. Un suono mi riporta alla realtà che ho escluso, costringendomi a voltarmi verso di lei.

- Ho detto che sono stanca.

E' la prima volta che sento la sua voce. Fino ad ora sembrava che il silenzio fosse un dovere nei miei confronti. Senza dire altro si siede sul pendio coperto d'erba. Non riesco a darle un'età, è notevolmente cresciuta rispetto alla prima volta in cui la vidi, insieme ad Hadj.

Abbiamo lasciato alle nostre spalle un percorso accidentato e pericoloso, e quella è la prima occasione vera che ci si presenta per riposare. Dalle colline Vienna assomiglia a un poderoso animale in letargo, paralizzato dal freddo dell'inverno che è ormai alle porte. A vederla così, in quest'alba colorata in modo stravagante, con ancora molti degli edifici di Shangrila che balzano su dalla piana, sullo sfondo dei quartieri a ridosso del Danubio, sembra il posto più bello dove coltivare qualcosa: un ideale, un sentimento o una realtà qualsiasi perché tutto laggiù è possibile. Era possibile.

Ci abbiamo provato, e non rimpiango nulla.

Lei è di nuovo in piedi. Non ha un nome, e se anche l'avesse non me l'ha detto. Forse siamo in due a voler lasciare quanto più possibile alle nostre spalle; ma non c'è fretta, strada facendo ne troveremo uno nuovo.

- Dove andiamo? - chiede, curiosa.

- Scegli un posto.

- Ma io non conosco nessun posto.

- Allora scegli una direzione.

Gira su se stessa, sbilanciandosi e ridendo, fino a che il suo corpo non si ferma, il viso verso una destinazione qualsiasi.

- Laggiù.

Mi alzo e volto le spalle alle colonne di fumo lontane. Il mio passato. - Bene, allora andremo laggiù.

- E poi? - ribatte tendendomi la mano, gli occhi ravvivati da profondi bagliori viola.

Che importa, purché siamo noi a scegliere.

- E poi, l'anno venturo ci ricoprirà.