Le cose andarono così: cominciammo a salire, sempre nel bosco. Sbucammo in una vasta radura, le cui dimensioni erano però difficili da giudicare, perché stavamo entrando nelle nuvole basse che avvolgevano tutto il Gran Sasso. Seguendo il sentiero, che si faceva sempre meno evidente, rientrammo nel bosco e proseguimmo per una mezz'ora buona. Secondo i piani dovevamo raggiungere la cresta che portava al Pizzo d'Intermèsoli e poi alla Sella. Di fatto a quella cresta non arrivammo mai. Secondo i piani, alle 14.15 dovevamo ricongiungerci con la 5^ squadra; in realtà alle 14.45 eravamo ancora nel bosco e non avevamo la più pallida idea sulla direzione da prendere. Matullo girava e rigirava la carta, e cincischiava con la bussola, come se credesse che prima o poi una delle due si sarebbe decisa a parlargli; noialtri non dovevamo avere facce molto allegre, perché quando il VTO alzava gli occhi per guardarci assumeva un'espressione sempre più imbarazzata. Anche in quel suo cervello di cartone pressato si stava facendo strada l'idea che le cose non andavano e che non era certo lui quello in grado di raddrizzare la situazione.

Io mi guardavo intorno. La nebbia che avevamo intorno s'era infittita, e non lasciava presagire niente di buono. I primi fiocchi potevano cadere da un momento all'altro. Fu la voce di Giuseppe a riportare la mia attenzione su quello che succedeva nel nostro gruppo, che s'era disposto attorno a Matullo e Bucci.

- Caporale, - esclamò, rivolto al VTO. - Potremmo andare avanti in due, mentre altri due tornano indietro e gli altri aspettano qui che noi ritroviamo la strada!

Lo guardai con attenzione. Non era tranquillo come al solito. Era sudato nonostante il freddo, si torceva le mani inguantate. Aveva paura. Possibile che fosse così spaventato solo perché ci eravamo persi? Non era poi un gran guaio; significava solo che saremmo tornati in caserma più tardi del previsto, forse col buio, assai probabilmente zuppi fradici. Doveva esserci un altro motivo per quel nervosismo che sembrava sul punto di sfociare nel terrore; e, di qualunque cosa si trattasse, per impaurire così uno come Giuseppe doveva essere veramente grave.

Matullo guardò il caporale Crisolora come fosse stato la Madonna. A pensarci bene l'idea che aveva proposto non era un gran ché, ma di sicuro il VTO ritenne che fosse un colpo di genio, perché decise immediatamente che lui e Bucci sarebbero tornati indietro mentre Crisolora e Ribicchini, i due più anziani della squadra, avrebbero proseguito in cerca del punto di incontro; noialtri, affidati all'ultimo graduato disponibile, il caporale Magni, un ragioniere di Ancona che era stato l'unico del 5° ad aver già preso i gradi, saremmo restati lì in attesa di notizie.

* * *

Quando il caposquadra e il suo compare furono spariti dalla vista, si alzò il coro delle bestemmie, dei lamenti e degli insulti nei vari dialetti dell'Italia centromeridionale. Poco dopo, come tutti ormai si aspettavano, calò la neve, tanta, bianca e silenziosa. Il vento era cessato e la temperatura s'era fatta più dolce, e noi per un po' ce ne restammo lì, attoniti e ammutoliti, a guardarci in faccia. Il silenzio fu rotto da uno che chiese cosa succedeva se Matullo si perdeva di nuovo. Tutti risero, e io con loro, anche se la voglia di ridere combatteva con quella di mettersi a piangere. Fu allora che un certo Lucchini, un ragazzone di Opi, vero montanaro, fece la prima proposta sensata:

- Accendiamo un fuoco.