Delos 28: Cieli Sintetici Cieli Sintetici

di Emiliano Gokuraku Farinella

la guerra

dei ciliegi

Un viaggio storico, critico e riflessivo sul cyberpunk: un fenomeno, un modo di vita, e soprattutto una letteratura. Forse la più significativa di questo scorcio di fine millennio.

Perché il cyberpunk ha gli occhi a mandorla?

La bomba è esplosa ieri, ma tutti si affannano a dire che non esploderà prima di domani.

Questa frase di John Brunner sta bene ovunque la metti, in tutto il cyberpunk.

Oggi si fa tanto chiasso a parlare di clonazione, quando il corrispettivo sociale è già in atto da decenni, ed è già stato tutto scritto nel cyberpunk.

La "clonazione culturale" è stata, ed è, distruttiva nei confronti del tessuto socio culturale umano, quanto esperimenti di ingegneria genetica che puntano collateralmente al massacro della biodiversità o alla creazione di mostri.

D'altronde la "clonazione culturale" è stata, ed è, ricca di prospettive favorevoli e feconde come lo è l'ingegneria genetica e la possibilità di clonazione umana.

Niente di nuovo in tutto ciò. Ma non ci è possibile trascurare la strutturalità di queste tendenze insite sia nell'individuo uomo, che nel macroorganismo in cui operiamo. La necessità di restringere il campo delle possibili variabili (penso ad applicazioni agricole, per esempio, al restringimento delle specie coltivate in cambio di una più elevata produttività dovuta a curve di esperienza notevolmente ottimizzate) e la voglia di proiettarsi al di fuori dei propri limiti in una figura esterna e riconoscibile e accostabile da altri, messi assieme ci danno ragione del fascino e dell'orrore con cui pensiamo a vasche in cui vengano allevate nuove creature umane, identiche a quelle che abbiamo visto ieri.

E con lo stesso fascino e orrore dovremmo guardare alla nostra cultura che si sta globalizzando clonando microparticelle della consapevolezza mondiale per estenderle fino a ricoprire tutto.

Il prezzo della globalizzazione, il prezzo che non vorremmo pagare, è l'appiattimento che estremizzato risulta insopportabilmente alienante.

Questo sta succedendo ora, questo è incominciato già da tempo.

Anche questo hanno scritto i cyberpunk nelle loro mille storie.

L'attenzione prestata nel cyberpunk per i contesti dell'estremo oriente non è affatto casuale. E' la semplice amplificazione dell'odierna clonazione culturale che stiamo operando: una clonazione selettiva della cultura orientale, del mistero della vita giapponese.

Gli aspetti di questa strana storia sono tanti e spesso sottili, nel cyberpunk come nel mondo se ne trovano indizi, ma nessuno disposto a parlarne.

L'occidente ha imparato che per conquistare il mondo doveva passare dallo scontro geopolitico a quello geoeconomico.

I giapponesi hanno capito che il passo successivo è combattere una nuova guerra, battere tutti sul piano geoculturale per essere il centro del nuovo mondo virtuale. Un mondo nuovo senza alcun reale confine che non sia culturale; cosa scontata ma importantissima in un mondo fatto di sola informazione.

Il cyberpunk, sensibile a queste correnti sociali, ha subito recepito l'importanza dell'estremo oriente per la nostra vita futura e per le nostre abitudini presenti o future. E molto Giappone viene inserito e rielaborato nei contesti cyberpunk.

Gli aspetti socioculturali che abbiamo importato dal Giappone sono i più disparati e si sono insinuati profondamente nel nostro quotidiano, già da molto tempo ad iniziare dagli Stati Uniti dall'introduzione -- giusto per fare qualche esempio anche banale -- nelle industrie di sistemi di produzione tipicamente giapponesi, fino alla clonazione di abitudini alimentari (in California si mangia un piatto composto da pesce crudo e ananas -- una variazione americana del piatto giapponese del sushi).

Quest'infiltrazione culturale (che di per sé è tutt'altro che deprecabile!) si trova però anche a livelli più sottili. Il viaggio organizzato, per esempio, in Giappone era presente con gli aspetti peculiari con cui è diffuso oggi già dal medioevo. Il pellegrinaggio ad Ise, il più sacro dei santuari giapponesi, è un tipico esempio di viaggio popolare, che dal Sedicesimo secolo in poi incominciò ad assomigliare sempre più ad un viaggio organizzato in piena regola.

L'approccio giapponese (ed ora ampiamente diffuso) standardizzato al viaggio è fortemente sentito all'interno del contesto sociale giapponese. fonte di scherno tra noi occidentali che vediamo girare per le nostre città stormi di asiatici tutti uguali, ma quest'usanza non è attribuibile ad una questione di "gruppismo" o timidezza naturale; "le sue origini risalgono a tempi premoderni, quando gente comune proveniente da diversi gruppi sociali iniziò a compiere pellegrinaggi verso i grandi santuari di Ise" (Akinori Hato). La ricreazione individuale giapponese, e di questo discuteremo meglio più avanti, è un fatto legato essenzialmente all'era moderna. Sempre Akinori Hato scrive in un suo saggio: "In tempi premoderni la ricreazione in Giappone era, per definizione, un affare di gruppo, derivante la sua legittimità sociale dall'opinione generale che vi si indulgesse per amore degli dei. In altre parole, delle attività che normalmente avrebbero potuto essere malviste perché frivole e poco pratiche, venivano perdonate grazie alla loro natura religiosa e di gruppo".

Il viaggio di gruppo divenuto costituzionale in Giappone, ha quindi forti radici. E della pratica del viaggio di gruppo che si è diffusa in tutto il mondo, sull'onda piatta di una stabilità reazionaria, vediamo molte caratteristiche già nel pellegrinaggio ad Ise: l'elemento gruppo-capo, l'evocazione di una manovra di addestramento e un'atmosfera festiva, priva d'inibizioni.

Attraverso questo scorcio vediamo un popolo che assomiglia molto all'uomo di un futuro che temiamo, un popolo che non può neanche andare in vacanza senza scegliere una forma di viaggio approvata socialmente. Un popolo che -- come temono i cyberpunk si possa generalizzare in futuro -- in ogni suo atto sente il bisogno di stipulare una sorta di assicurazione contro la disapprovazione in una società dove da tutti ci si attende che svolgano un'attività utile in ogni momento.

(In Giappone l'approvazione da parte della società è la cosa più importante. Perdere la faccia perché si è compiuta una azione che non è approvata dalla società è considerato il massimo disonore. Non per niente gli yakuza -- gli appartenenti alla mafia giapponese --, che si muovono esclusivamente nella clandestinità e che non sottostanno ad alcuna legge, non sono considerati facenti parte della società, proprio perché non riconoscono, e non rispettano, le sue leggi).

In un mondo prepotentemente lanciato verso il progresso è essenziale che ognuno svolga un'attività utile e che su questa concentri tutte le sue energie, e che quindi, complementarmente, veda sporco di una sorta di senso di colpa tutto ciò che lo distolga dalla sua attività primaria, portandolo a costruirsi delle scappatoie per permettersi tali misere deviazioni.

Anche Schiller, che sull'opportunità della sublimazione della funzione primaria è stato ampiamente critico, nelle sue Lettere sull'educazione estetica dice che "solo concentrando tutta l'energia del nostro spirito in una direzione e raccogliendo tutto il nostro essere in un'unica forza, diamo ad essa una sorta di ali che permettono di superare i limiti che la natura sembra averle assegnato" (VI Lettera).

"Nel nostro tempo" scrive a questo proposito Jung in Tipi Psicologici "vi è un abisso tra ciò che un uomo è e ciò che rappresenta, tra la sua individualità e la sua funzione di essere collettivo. La sua funzione è sviluppatissima, ma non lo è la sua individualità."

Ci sono due esigenze che si contrappongono e che, almeno allo stato attuale dell'esistenza sociale, difficilmente si potranno armonizzare: la necessità dell'individualità di progredire armoniosamente attraverso un equilibrato sviluppo delle proprie funzionalità, e la spinta della specie umana verso una propria crescita, spinta che si attua armoniosamente nel macroorganismo sociale in cui viviamo attraverso le forti spinte individuali sintonizzate su una sola attività di forte intensità. (Armonia sociale attraverso una forte disarmonia individuale). "Un'attività unilaterale delle forze" che, dice Schiller, "porta immancabilmente l'individuo all'errore, ma la specie alla verità".

Sacrificio dell'individualità contro cui i punk si sono fortemente schierati, ed è proprio da questa lotta contro qualunque contesto collettivo che si arrogasse il diritto di assorbire individualità per uno scopo "più alto" che il movimento ha preso vitalità e militanza capillare.

Militanza che negli ultimi dieci anni si è esplicata anche attraverso le pagine più fortemente ideologiche del cyberpunk. Se il contesto generale del cyberpunk è molto vicino ad un aperto schieramento ideologico di questo genere (lo è per le atmosfere, le storie, le descrizioni, le vite dei personaggi, gli amori che muoiono e le vite che si distruggono su quelle strade), altre volte lo schieramento è stato esplicito e fortemente voluto. Belle pagine espressione di questa faccia politica del cyberpunk possono trovarsi nell'antologia di testi politici Cyberpunk curata per la Shake da Raffaele Scelsi.

Lo sviluppo della funzione primaria nei paesi ricchi (espressione semplicistica che riduce, per semplicità, il fenomeno nella sua incidenza mondiale), Giappone in testa, è alla base della costruzione sociale. E' il massiccio utilizzo di queste funzioni primarie socialmente riconosciuti che sta alla base delle nostre economie ed equilibri sociali. Ma, continua a dire Jung, "è molto facile che tra le funzioni emarginate si nascondano dei valori personali di notevole portata, i quali, se hanno una limitata importanza collettiva, sono di importanza estrema per l'individuo. Questi valori sono capaci di donare al singolo una pienezza di vita che non potrebbe certo attendersi dalla sua funzione sociale". La funzione sociale, d'altronde, attribuisce all'uomo un ruolo sociale, gli conferisce un'identità permettendogli di esistere nella collettività. Tuttavia questa da sola non basta per donare quella soddisfazione e gioia di vivere che può essere donata solo dallo sviluppo dei valori propri dell'individuo.

Allora la ferita rimane aperta, e degenera, sovente drammaticamente, nel male di questo secolo: un'asfissiante alienazione di cui pare impossibile liberarsi. una ferita che sente profondamente anche Schiller "Anche se il mondo nella sua totalità può trarre grandi vantaggi dallo sviluppo separato dalle capacità umane, senza dubbio gli individui che sottostanno ad esso soffrono molto per questa universale finalità".

La conferma che questa situazione tocca profondamente il Giappone (e con esso tutto il mondo occidentale che è instradato in questa direzione) la si può trovare nell'alto numero di suicidi, sia di studenti che di lavoratori; ciò dovrebbe bastare a rendersi conto di come la società giapponese sprema fino all'ultimo l'individuo per ricavarne il maggio profitto possibile, senza curarsi minimamente dei suoi bisogni (anche se si deve riconoscere che ultimamente questa tendenza va migliorando).

L'armonia che cerchiamo non la troviamo in alcun testo cyberpunk. Lì vi troviamo la disarmonia da cui fuggiamo, e come soluzione la fuga e l'annullamento. Annullamento del nostro essere in cui incappiamo ogni volta che vogliamo "tutto", per dirla alla Dick, "ma proprio tutto" da qualcosa che riconosciamo come fulcro della nostra vita. Annullamento da cui non possiamo esimerci se vogliamo l'armonia (tesi comunque contestabile).

Annullamento che rimbalza come idea portante di questo secolo e spunta fuori nei punti più disparati. Da Camus che trovata la sua Maria si lascia sparire indifferente al mondo, a Jung che prevede (interpretando forse un po' tendenziosamente alcuni suoi passi) una sorta di resettamento delle proprie funzionalità per distribuire con equilibrio le energie dell'uomo senza favorire quella sociale e permettendo uno sviluppo armonico dell'interiorità che cancelli l'alienazione dell'individuo. Vediamo in questo modo sparire l'uomo identificato attraverso il suo ruolo sociale. Idee che rimbalzano fino a Dick un cui personaggio, a volere tutto, ma proprio tutto, dalla nuova donna che ha cercato e trovato, la vede scomporsi per poi sparire egli stesso dietro ad un miraggio.

L'individualità che sparisce è una costante dalla quale sembra che non riusciamo a sfuggire. E questo è un forte limite del cyberpunk: parte in sintonia col punk aborrendo l'assorbimento e cancellamento dell'individuo, distrugge e critica pesantemente questa struttura sociale demolitrice dell'individuo, ma non propone una "vera" alternativa. La fuga rimane l'unica via di scampo (giusto per usare un'espressione inflazionatissima), la più grande vittoria è assestare un duro colpo e poi sparire, cancellare il proprio ruolo sociale e tirarsi fuori dal gioco, o tirarsi fuori dalla vita come sceglie in ultimo la Lise di Mercato d'inverno (Gibson).

L'individualità che sparisce è quella di quegli impiegati pigiati nella folla di una monorotaia persi nella loro solitudine esistenziale, come davanti ad un Pachinko, il solitario hobby nazionale.

Morta l'ultima Geisha con cui parlare, il nuovo punto di coagulazione tra individui (prescindendo dalla funzionalità sociale che conservano ancora i bagni pubblici in Giappone, di cui in occidente né nel cyberpunk v'è traccia... se Murphy continuasse a legiferare dovrebbe sicuramente ammettere che se una cosa fa schifo tranquillo che qualcuno la copia, o "clona", altrimenti ciccia!) appare il karaoke che impazza in tutto il mondo. La funzione del karaoke in Giappone può essere vista quale evoluzione del ruolo delle geisha, stimate per la loro capacità di divertire e conversare in piccole feste private o grandi incontri. Le geishe erano addestrate come "accompagnatrici". Il loro ruolo principale era quello di prendersi cura del "signore" dopo una lunga e faticosa giornata. Per questo le geishe erano addestrate all'uso del canto, della poesia, degli strumenti musicali e delle arti dell'amore. Quando una persona si recava da una geisha, aveva un ruolo piuttosto "passivo". La geisha era invece la parte "attiva" che attraverso ciò che aveva imparato, riusciva a far dimenticare la stanchezza e lo stress accumulato durante la giornata. La geisha faceva dimenticare per un po' le incombenze del mondo esterno e ridonava all'individuo la sua individualità. Il karaoke invece, pur mantenendo lo stesso scopo (ridurre lo stress nell'individuo), ha il notevole vantaggio di richiedere partecipazione attiva, e non relega chi ne sta usufruendo in un ruolo passivo e gli permette di socializzare con altre persone e soprattutto di scavalcare per una serata le rigide barriere sociali che esistono sul lavoro.

Il karaoke appare come la meccanizzazione di alcuni ruoli tipicamente "geisha": una sera, nel 1987, riferisce Hunihiro Narumi, professore di Ingegneria Ambientale ad Osaka, dopo il programma di lavoro del giorno, lo staff giapponese e un gruppo di visitatori dall'Olanda e dalla Germania si recarono in un bar a socializzare. Invece di intrattenere gli ospiti stranieri con delle brillanti geisha lo strumento di socializzazione fu una macchina per il karaoke, che riscosse l'entusiasmo di questi europei che decisero di importare l'idea anche in occidente. Poco dopo, nel seguente forum per le nuove città, svoltosi sempre ad Osaka, uno dei partecipanti alla serata, quando venne affrontato il problema dei condomini tedeschi in cui c'è poco senso di comunità e il vandalismo è dilagante, espresse l'opinione che "una macchina come il karaoke sarebbe risultata utile a sviluppare lo spirito di comunità e la possibilità di socializzare".

Uno spirito di comunità artificioso e polically correct, anche questo stiamo imparando poco alla volta dal Giappone... -- e anche a questo prova ad opporsi il mondo cyberpunk nel senso più ampio del termine, convogliandovi dentro personaggi come Hakim Bey, profeti delle T.A.Z. che rappresentano una delle poche vere alternative sociali proposte da questo movimento e l'espressione di uno spirito di comunità più vero.

...e uno spirito ricreativo solitario. Locali come il Drome di Johnny Mnemonic, con i loro piccoli tavolini solitari, la loro pianta sottile e allungata, sembrano quasi la metafora architettonica del Pachinko: lo strumento ricreativo nazionale nipponico che esclude l'uomo da ogni rapporto con altro uomo e lo pone in relazione esclusiva con la macchina (non a caso questo "sport" non viene mai trasmesso in televisione e non è previsto spazio per gli spettatori che desiderassero assistere a qualche gara).

I giocatori, scrive Tsutomu Hayama, "si siedono davanti alle macchine in sala, totalmente presi e affascinati, mentre concentrano completamente la loro attenzione sul movimento delle biglie d'acciaio luccicanti che cadono a cascata attraverso gli aghi metallici conficcati nella tavola. Il suono e il movimento sono svianti e permettono ai giocatori di sperimentare uno stato di vuoto mentale e godere di un senso di distacco che li rende completamente inconsapevoli dell'ambiente circostante".

Tutto ciò in un gioco che in Giappone è esploso negli anni cinquanta proiettando in anteprima mondiale nelle menti giapponesi quella voglia di fuga dalla realtà, quella ricerca di nicchia minima di sopravvivenza che ci pervade oggi e che fluttua in tutto quel cyberpunk che attraverso droghe o attacchi schizzati a qualunque sistema organizzato non ricerca altro che un'alternativa. Un mondo nuovo fatto di camicie pulite, forse, comunque un mondo che assomiglia tanti ai tristi giocatori del pachinko che dietro le loro mura di invisibilità si ritrovano mezz'ora al giorno lontani anni luce da quel vicino la cui puzza infetta l'aria che respirano. La solitudine esistenziale che ci stringe dentro muri invisibili pigiati nella folla di un métro, è anche questo il Giappone che stiamo clonando, è anche questa la società paranoica di cui ci parla il cyberpunk.

E' un mondo nuovo, un mondo in cui tutte le madri di tutti i Bobby assomiglieranno alla Mamma Marsha del Conte Zero. Madri che non si perdono mai le loro novelas preferite e attraversano la porta di casa con una bottiglia avvolta nella carta sotto il braccio, e senza neanche togliersi la giacca vanno dritte ad attaccarsi all'Hitachi, a farsi imbottire il cervello per sei ore filate. Tengono gli occhi fissi nel vuoto, e qualche volta, se è uno di quegli episodi che gli piace particolarmente, sbavano anche un po'. Ogni venti minuti circa si ricordano di bere un piccolo sorso dalla bottiglia, come vere signore. E ogni giorno scivolano sempre più in quella mezza dozzina di vite sintetiche e fantasie simstim a puntate. Salvo poi risvegliarsi per improvvise crisi religiose. Ce le vedo proprio: stormi di Mamma Marsha che arrivano periodicamente nelle camere dei loro rispettivi Bobby a buttar via la loro spazzatura migliore e incollargli qualche mostruoso ologramma sopra il letto. A volte Gesù, a volte Hubbard, a volte la Vergine Maria, non fa molta differenza quando vengono colte dall'ispirazione religiosa.

Crisi religiose che sopraggiungono ogni volta che non basta più neanche il simstim o qualche altro trucco per fuggire dalla realtà e non rimane allora che farsi assorbire in qualche esperienza mistica. In Giappone, in corrispondenza con un periodo di forte crescita economica, già dagli anni sessanta fiorì un numero spropositato di neoreligioni. Nuove sette che fioriscono in un periodo di "liberazione dalla magia" attraverso l'indottrinamento razionale di massa che però ha l'effetto di produrre un'ansia generalizzata che placano con successo queste neoreligioni dal sapore così fortemente mistico: è la sensazione di essere entrati in contatto con qualcosa di misterioso che fa dimenticare la vita reale e riscuote tanto successo.

Giappone e universo cyberpunk hanno in comune l'esasperazione di un certo stile di vita che porta automaticamente al proliferale della voglia di misticismo.

Esiste l'opinione diffusa che il grado di secolarizzazione di una società sia un indice valido della sua modernità. Ma, scrive Shôichi Inoue, "la modernizzazione genera ansie di vari tipi. L'ansia può nascere dalla troppa competizione, o al contrario, dalla mancanza di avversità da superare. Quale ne sia la causa, le religioni moderne assorbono l'ansia e si nutrono di essa. In termini semplici, questa è una nuova magia, creata, paradossalmente, dalla liberazione dalla magia ".

Sulla strada della liberazione dalla magia il misticismo riaffiora in grande stile in occidente e nel nostro futuro, in quel cyberpunk che è costellato di divinità elettroniche e sette mistiche popolate da gente che si trova immersa in un universo tecnologico che le è estraneo e incomprensibile, un universo che perde i suoi connotati razionali e si riempie di nuovo di mistero e magia.

Questo futuro pieno di misticità di bassa lega che già da tempo sta anticipando il Giappone è in perfetta sintonia con la storia dell'umanità. Fra la religione di un popolo e la sua vita reale esiste sempre un rapporto di compensazione; se così non fosse la religione non avrebbe alcun senso sul piano pratico. " una regola", scrive Jung, "che trova conferma a iniziare dalla moralissima religione dei persiani e dalla dubbia moralità, ben nota già nel mondo antico, delle loro abitudini di vita, fino alla nostra epoca, l'epoca cristiana , nella quale la religione dell'amore sta assistendo ai più grandi bagni di sangue della storia del mondo".

Il proliferare quindi di questo misticismo, risulta da quest'ottica in pieno accordo con l'ultramoderna società cyberpunk che viene anticipata in Giappone

D'altronde nulla di reale è mai unidirezionale, ed è palese quanto si sia occidentalizzato il Giappone, a partire dai sogni erotici che vengono dipinti nei manga che dominano tra le letture: sogni con donne più alte degli uomini, con occhi grandi e fattezze occidentali. I valori che hanno portato il Giappone alla sua attuale posizione si stanno trasformando o stanno scomparendo. Lealtà e determinazione sono solo due dei tanti. Arrivato ad occupare la vetta più alta del mondo, il Giappone ha perso quella determinazione che gli aveva permesso, negli anni '40, di sfidare la potenza americana. Dopo il boom economico degli anni '60, il Giappone ha ridotto di molto la sua produzione e da nazione perfetta è diventata una nazione come le altre, piena di problemi, anche se la disoccupazione e la criminalità hanno ancora il tasso più basso di tutto il mondo.

E per finire raccogliamo quel poco che c'è da salvare e cerchiamoci un posto sicuro per veder andar in fiamme questo mondo galleggiante. Seguiamo l'esempio degli inquilini delle aree povere nipponiche, facciamo una festa mentre il mondo va in fiamme. Ricostruirlo e meglio che viverlo, il mondo.

Ringrazio Alberto Cremonini, studioso di cultura e letteratura giapponese, per la verifica dell'interpretazione che ho dato in questo testo di certe abitudini giapponesi