a cura di Francesco Chiminello, Gianni Comoretto, Emiliano Farinella, Andrea Ferrero, Massimo Polidoro, Alessandro Vietti

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Dopo una lunga preparazione finalmente esordisce su Delos questo nuovo spazio dedicato a un settore in un certo senso vicino alla fantascienza, sicuramente molto apprezzato e molto richiesto da una gran parte dei nostri lettori: la divulgazione scientifica. Sotto la coordinazione di Emiliano Farinella è stato radunato un "pool" di esperti, persone dotate della necessaria cultura scientifica e anche della capacità di trasformarla in parole comprensibili anche per chi non ama le equazioni differenziali...

Il futuro non finisce

di Emiliano Farinella

Carl Sagan è stato uno scienziato e divulgatore scientifico che si è diffusamente adoperato per diffondere la cultura scientifica e razionale. Sagan tramite il suo impegno di divulgatore scientifico, e libri come Il mondo infestato dai demoni o Contact, ha fatto tanto per farci entrare con consapevolezza nel futuro in cui ci stiamo addentrando, e soprattutto si è impegnato per diffondere quegli strumenti indispensabili a comprendere il mondo odierno.

Per la fantascienza si potrebbero scrivere quasi le stesse cose... e questo è uno dei motivi per i quali su Delos, una rivista di fantascienza, parte da questo numero una rubrica di divulgazione scientifica.

Il legame tra scienza e fantascienza è stato in qualche caso molto stretto, ma nonostante ciò è chiaro a tutti coloro i quali amano la buona letteratura che la fantascienza non è e non può essere divulgazione scientifica.

Rimangono espressioni distinte, ma non sono frutto di mondi separati.

La dicotomia tra cultura scientifica e umanistica è solo un anacronistico equivoco intellettuale. Non è certo difficile mostrare l'arbitrarietà della divisione in due culture, sarebbe sufficiente citare i tanti personaggi che si sono mossi fruttuosamente nell'ambito di entrambi i fronti.

Un dato di fatto rimane, il frutto di questo anacronistico equivoco è che la cultura scientifica è relegata a ristretti spazi di divulgazione, a dispetto dell'ampio pubblico che potrebbe giovarsi di un più frequente contatto con la cultura scientifica.

In fondo una domanda rimane sospesa nell'aria in questi anni: "può la cultura umanistica, da sola, prepararci ad essere partecipi in modo consapevole del mondo moderno?"

Alcuni tra i lettori penseranno forse di no, ed è proprio pensando a chi legge una rivista di fantascienza con il sospetto che in fondo scienza, fantascienza e tutta la cultura, facciano parte di un unico universo, dedichiamo queste pagine.

La rubrica sarà portata avanti da un team di collaboratori che mensilmente si daranno il cambio su queste pagine.

In questa prima uscita intervengono tutti i collaboratori, per parlarci del rapporto tra fantascienza e cultura scientifica (Andrea Ferrero); della divulgazione scientifica e del senso di avventura insito nella scienza (Francesco Chiminello); del rapporto tra scienza e Fantascienza (Alesssandro Vietti) e infine Massimo Polidoro ci parla di un punto molto importante, il valore della razionalità e della cultura scientifica, presentandoci il CICAP www.cicap.org un'importante associazione che da oltre dieci anni é attivamente impegnata su questo fronte.

Speriamo nei prossimi numeri di scoprire assieme a voi quanto sia innato nell'universo il senso del meraviglioso.

Fantascienza e cultura scientifica

Di Andrea Ferrero

I cambiamenti indotti dalle applicazioni delle scoperte scientifiche non sono mai stati così rapidi come ai giorni nostri. Le nuove tecnologie spostano continuamente il confine tra realtà e fantasia facendo diventare concreto ciò che prima era soltanto ipotizzabile. Ma la mostruosa espansione e specializzazione che le discipline scientifiche hanno conosciuto in tempi recenti le ha allontanate dalla comprensione del pubblico.

Per fortuna la fantascienza è in grado di esplorare con gli strumenti dell'immaginazione, guidata dalla logica, le conseguenze di questi cambiamenti e ci permette di elaborarne costruttivamente il significato anziché schierarci a priori a favore o contro. Ma per poter essere sempre penetrante la fantascienza si deve mantenere aggiornata sugli sviluppi tecnologici e scientifici, in quanto essi cambiano non soltanto le prospettive del nostro futuro (rendendo pertanto inadeguata un‚impostazione che non ne tenga conto), ma anche la nostra stessa percezione della realtà.

La scienza e la tecnologia non sono soltanto un fondale per le scene del racconto fantascientifico, ma ne costituiscono un elemento dinamico.

Dal canto suo la scienza ha bisogno di farsi conoscere, non può rinunciare al contatto con le persone. Nessuno è esentato dallo sforzarsi di capirla, se non vuole diventare spettatore passivo e inconsapevole del cambiamento.

E anche la scienza ha bisogno di volgarizzarsi, di mettersi in discussione, per non richiudersi in un isolamento che alla lunga metterebbe in pericolo la sua stessa esistenza.

Per questo scienza e fantascienza hanno bisogno l'una dell'altra, pena il rischio di diventare sterili. Ogni contaminazione tra loro è vantaggiosa.

Pinguini e Neutrini

Di Francesco Chiminello

Pochi giorni fa mi sono recato in una scuola elementare per tenere una conferenza sull'Antartide. So che forse conferenza non è la parola giusta, ma d'altra parte lezione non mi sembra affatto migliore--all'atto pratico, si trattava della proiezione di un paio di caricatori di diapositive commentate e disposte in modo da comporre, per quanto era possibile, una storia per immagini che aiutasse a rappresentare l'esperienza di ricerca sul posto.

Prima di iniziare ero molto preoccupato. Già da qualche anno mi occupo, non certo a tempo pieno, di divulgazione scientifica in varie forme, e ho quindi per forza acquisito quel minimo di sensibilità ed esperienza che serve per adattare gli argomenti al pubblico che mi trovo davanti. Questa però era la prima volta che mi capitava di parlare a tre quinte elementari, e temevo di annoiarle. Invece tutto è andato bene, alla fine ho perfino ricevuto alcune richieste di autografi (!).


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Una caratteristica di quel pubblico però non avevo proprio saputo prevederla, anzi mi ha colto completamente di sorpresa: una vivace curiosità quantitativa. Quanto pesano i pinguini? Qual è la temperatura più bassa misurata? Quanto forte tira il vento?

Devo confessare che non ero del tutto preparato a questo tipo di domande, e soprattutto per gli argomenti distanti dal mio mestiere mi sono trovato a rispondere con stime ragionevoli ma approssimative oppure con qualche sincero ma deludente non lo so.

Avevo già presentato quella conferenza, in una forma in parte diversa, ad un pubblico di adulti, cui invece interessavano principalmente gli aspetti narrativi e, diciamo così, psicologici. Che effetto fa la solitudine di quegli spazi? Come si passa il tempo libero? Che clima si forma tra le persone? Il contrasto non avrebbe potuto essere più stridente.

La curiosità scientifica somiglia decisamente di più a quella dei bambini. Da quanto pesano i pinguini a quanto pesano i neutrini il passo, in un certo senso, è breve. Galileo, l'unico fisico universalmente noto per nome nonché incidentalmente il principale fondatore del metodo scientifico, scrisse una frase che secondo me meglio di ogni altra indica il senso della scienza. Cito a memoria, e mi scuso in anticipo per eventuali errori. Io stimo più il trovar un vero, benché di cosa leggiera, che'l disputar lungamente della massime questioni senza conseguir verità nissuna. I bambini, paradossalmente visto che l'elemento fantastico è parte integrante dell'infanzia, sono stati un pubblico più concreto e più galileiano degli adulti. L'occasione ha fornito un altro elemento sorprendente. In alcuni casi, il cambio di diapositiva era seguito da un coretto di Uaau! o forse proprio di Wow!, visto che dopotutto l'inglese lo stanno pur studiando. In genere, si trattava di una dia di un'apparecchiatura particolarmente spettacolare -un elicottero, una gru- oppure di uno degli animali locali -un pinguino, uno skua-. In questo senso di meraviglia sul mondo esterno, sul concreto e sul funzionante, che quindi prende dentro allo stesso modo e con lo stesso interesse tanto la natura che la tecnologia, sta forse il nesso profondo tra la scienza e la fantascienza. O almeno lo è a una certa età. Se torno alla mia quinta elementare, mi sembra di aver avuto ben chiara la differenza tra la scienza narrata nei Paperinik, nei Giulio Verne, nei Fantastici Quattro da una parte e la scienza descritta nei Dentro l'atomo e nei Perché ci ammaliamo dall'altra. Sempre se ricordo bene, mi era anche chiaro che il senso di avventura era lo stesso in entrambi i casi.

Figlia della scienza

di Alessandro Vietti

Non si può parlare, neanche per poche righe, del rapporto tra scienza e fantascienza, senza innanzitutto cercare di dirimere l'ambiguità della parola che nella nostra lingua utilizziamo per definire questo genere letterario. Fantascienza, appunto, come l'unione delle parole "fantasia" e "scienza", come se, per restare nel genere, la narrazione debba essere focalizzata esclusivamente su aspetti fantastici della scienza o su una scienza "fantasticata". Il problema è quel prefisso, se vogliamo un po' inquietante, così simile a una bevanda o a un ectoplasma... "fanta"... Per gli americani invece, nella "science fiction", ovvero letteralmente "narrativa scientifica", la "fanta" non c'entra per niente, e il significato che ne deriva è ben lontano da quello suggerito dalla versione italiana. E non pare azzardato ritenere che la fantascienza abbia avuto storicamente vita difficile in Italia, anche per questo termine sostanzialmente goffo e, soprattutto, fuorviante. Se invece torniamo a considerare la terminologia originale anglosassone, il rapporto tra science e science fiction, e dunque l'essenza stessa della science fiction, risulta subito chiara. Non la trasposizione romanzata in chiave fantastica di elementi scientifici, come suggerirebbe il termine italiano, bensì una narrazione in cui la scienza è protagonista, ovvero una narrazione direttamente dipendente dal contributo scientifico. Tutto qui.

"Così semplice?" direte voi. Mica tanto...

Benché la narrativa fantastica sia stato un genere accarezzato dagli uomini fin dagli albori della civiltà, fin da quando il pensiero umano ha avuto la capacità di organizzare coerentemente i suoi sogni e le sue visioni, basti pensare al viaggio sulla Luna nell'Icaromenippo di Luciano di Samosata (165 d.C.) o alle speculazioni di Platone contenute ne La Repubblica (400 d.C. circa) o, più tardi, agli strabilianti Viaggi di Gulliver di Swift e, perché no, anche a La Divina Commedia di Dante, tanto per citare alcuni esempi, i propositi degli intellettuali, dei pensatori, degli scrittori e dei filosofi erano principalmente quelli della satira sociale e della descrizione dell'utopia o della visione del mondo. Malgrado l'utilizzo massiccio della fantasia per metaforizzare e spiegare la realtà, questa dunque non era ancora fantascienza propriamente detta in quanto mancava ancora dell'elemento cardine: la scienza. Per questo motivo, la prima pietra della fantascienza dovrebbe essere posta contemporaneamente alla prima pietra della scienza. Seguendo le tracce di questo paradigma, le radici della fantascienza dovrebbero essere ricercate in corrispondenza della più grande e stravolgente rivoluzione scientifica che il millennio appena concluso abbia visto. Quella che ha cambiato radicalmente la visione del mondo, che ha stravolto abitudini e costumi della società planetaria e ha aperto tutte quante le porte della scienza e della tecnologia che conosciamo oggi. E, a pensarci bene, c'è solo una cosa che abbia avuto un simile sconvolgente impatto. La scoperta dell'elettricità.

E' così che, a molti, sottoscritto compreso, piace pensare che l'inizio ufficiale della fantascienza sia coinciso con la pubblicazione di Frankenstein ossia il Moderno Prometeo, di Mary Wollenstonecraft Shelley nel 1818, il primo romanzo "totalmente" (seppur involontariamente) di science fiction.

Benché nel corso dei decenni, la critica letteraria, alimentata per lo più dalla cupa atmosfera del romanzo, dal periodo storico in cui esso fu concepito e, più tardi, anche dalle innumerevoli e lugubri versioni per il grande schermo, abbia tradizionalmente collocato questo romanzo nel filone horror/gotico, spedendo la Creatura nell'immaginario collettivo a rappresentazione del Mostro creato dalla superba tentazione dell'uomo di sostituirsi a Dio, Frankenstein in realtà non è un romanzo horror, ma un romanzo in cui la scienza è protagonista.

Concepito in una notte dell'estate del 1816 (una notte molto buia e tempestosa), in cui la diciannovenne signora Shelley, con il marito, Percy Bysshe, Lord Byron e il Dottor Polidori, avevano deciso di combattere la noia cimentandosi nella creazione di storie di fantasmi, e sviluppato, riscritto e revisionato dalla Shelley stessa nei successivi due anni, Frenkenstein apparve nel 1818, ed è il primo romanzo di narrativa scientifica (almeno il primo che ebbe un impatto così potente e popolare nel corso dei decenni che seguirono fino ai giorni nostri) perché è incentrato proprio sulla maggior scoperta scientifica del millennio: l'elettricità.

Nel 1816 erano infatti trascorsi meno di trent'anni dai primi esperimenti di Luigi Galvani sull'elettricità nelle rane e la prima pila era stata inventata da Alessandro Volta da una quindicina d'anni soltanto. Ma quelli erano tempi in cui la scienza procedeva lentamente, le informazioni si trasmettevano al ritmo degli zoccoli di cavalli sui selciati e, per il popolo, anche a trent'anni dalla sua scoperta, l'elettricità era ancora un fenomeno sconosciuto e misterioso, e così sarebbe rimasta almeno fino all'invenzione della lampadina a incandescenza da parte di Thomas Edison (1879), a partire dalla quale l'elettricità cominciò ad assumere una dimensione più popolare e casalinga e rassicurante. Quando scriveva la Shelley, dunque, l'elettricità era ancora qualcosa di invisibile, di oscuro, un aspetto scientifico che scardinava apparentemente le regole della Natura com'erano state considerate fino ad allora, qualcosa di diabolico che avvicinava pericolosamente l'uomo a Dio, e Frankenstein incarna proprio la cristallizzazione di quest'angoscia, di questo disagio, rispetto a un potere inimmaginabile, quasi mistico, che la gente non conosceva e che per questo faceva paura. In questo senso, Frankenstein è davvero un romanzo fantascientifico, perché partendo da un'idea totalmente scientifica come quella del rapporto tra l'elettricità e i tessuti organici scoperto da Galvani, Mary Shelley rispose alla prima speculazione scientifica: "E se attraverso l'applicazione dell'elettricità si potesse ridare la vita a un morto... cosa succederebbe?" Così, in fin dei conti, Frankenstein fa quello che dovrebbe fare qualsiasi buon romanzo di fantascienza: partire da una solida base scientifica, solida ovviamente rapportata alle conoscenze dell'epoca, e specularci sopra, estrapolandone potenzialità, conseguenze, ripercussioni e denunciandone pericoli fisici e contraddizioni morali...


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Nel corso di quasi due secoli, per molti versi, la fantascienza ha seguito l'andamento della cultura scientifica e della tecnologia, a volte anticipandone mirabilmente i tempi, a volte sbagliando in pieno, a volte ancora limitandosi a speculare sullo stato dell'arte. Ma nel frattempo ha anche espanso i suoi orizzonti, svincolandosi dal quasi obbligatorio aspetto popolar-scientifico al quale i grandi padri americani come Campbell e Gernsback l'avevano affiancata ai suoi albori. E via via sono nati paesaggi fantascientifici alternativi, non strettamente legati alla scienza, ma piuttosto alla società e alla politica e alla filosofia della realtà. La science fiction attuale (e, molto probabilmente, anche quella che verrà) non può più quindi essere definita semplicemente come "narrativa scientifica", ma in un'ottica trasversale di contaminazione di generi e di espansione delle tematiche, la fantascienza del nuovo secolo si sta presentando come quella narrativa definitamente distante dalla realtà in cui la scienza (nella hard SF) è solo uno degli innumerevoli parametri (forse ancora il privilegiato) attraverso i quali può essere definita questa "distanza". Allora, forse, mai come oggi, dovrebbe essere davvero preso in considerazione il termine heinleniano Speculative Fiction, in grado di abbracciare davvero tutte le innumerevoli sfaccettature di un genere che è sempre più sfuggente alle regole e alle definizioni. Ma del resto, eliminare la parola science, sarebbe un po' come rinnegare la mamma... e, si sa, la mamma è sempre la mamma...

Alla ricerca dei fenomeni paranormali

di Massimo Polidoro

La nostra viene spesso definita l'era della ragione e della scienza; nonostante ciò, la diffusione di superstizioni e di credenze irrazionali nell'occulto e nel soprannaturale sembra non essere molto dissimile da quella che caratterizzò i secoli più bui del Medioevo. I mezzi di comunicazione di massa, presentando acriticamente presunti fenomeni paranormali, hanno contribuito a rendere sempre più radicate nel pubblico le credenze più assurde.

E' proprio per contrastare questa tendenza, e per fornire al pubblico e ai giornalisti un punto di riferimento capace di fornire informazioni credibili e controllate relativamente al presunto paranormale e ai tanti apparenti "misteri" che affollano le TV, che dodici anni fa un gruppo di scienziati e studiosi, tra cui Piero Angela, Silvio Garattini, Margherita Hack, Tullio Regge e Carlo Rubbia, ha dato vita al CICAP: Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale.

Il CICAP è nato perché ritiene che la ricerca del sensazionalismo a tutti i costi da parte di certi giornali e TV contribuisca non solo a incoraggiare la già diffusa tendenza all'irrazionalità, ma anche a dare credibilità a individui che traggono profitto da questa situazione. Alcuni sostengono: "Perché non ignorare semplicemente questi propalatori di falsità e illusioni e gli sciocchi che li seguono"? "Perché facendo così", spiega l'astrofisica Margherita Hack, "si trascura la loro forza e l'influenza che la pseudoscienza esercita sulla società e sulla politica. Ci si dimentica di come, in passato, teorie pseudoscientifiche fornirono a dittatori e a nuovi guru argomenti per stermini e suicidi di massa".

E' per questo, dunque, che il CICAP porta avanti da dieci anni un'opera di informazione ed educazione rispetto a questi temi. Attraverso indagini, interventi in TV, conferenze, articoli sui giornali e con la pubblicazione di libri e del bimestrale "Scienza & Paranormale", il Comitato lavora per favorire la diffusione di una cultura e di una mentalità aperta e critica e del metodo razionale e scientifico nell'analisi e nella soluzione di problemi.

Centinaia sono stati i casi indagati finora dal CICAP: veggenti, astrologi, guaritori, infestazioni spiritiche, poltergeist, rabdomanti, pranoterapeuti, statue che piangono, piegatori di cucchiaini, avvistamenti UFO, chiromanti, sensitivi, medium... Sempre è stato possibile trovare una spiegazione semplice e naturale per quelli che sembravano incredibili fenomeni paranormali. A volte si trattava di persone che si erano convinte in buona fede di possedere facoltà che poi, alla prova dei fatti, si

rivelavano del tutto inesistenti. Altre volte, venivano scambiati per "paranormali" dei fenomeni del tutto naturali [...].

In alcuni casi, è anche capitato di avere a che fare con autentici imbroglioni: come nel caso di un medium che sosteneva di poter muovere un tavolino con la forza del pensiero e, invece, poi è stato sorpreso aspingerlo di nascosto con le mani. In casi come questi, si è rivelata particolarmente utile la competenza che hanno alcuni di noi nel campo dei trucchi e dei giochi di prestigio: uno scienziato, infatti, è la persona meno indicata per scoprire inganni e illusioni, si lascia mettere nel sacco come chiunque altro non perché non sia intelligente ma perché non è il suo mestiere sapere come funzionano i trucchi. [...]

"Approvo in pieno", scrive il premio Nobel Rita Levi Montalcini che, insieme a Carlo Rubbia è membro onorario del CICAP, "questo sforzo di bloccare la tendenza in continuo crescendo di credere al paranormale e a un ritorno a superstizioni di pretto sapore medioevale. Disgraziatamente, nei periodi di crisi quali l'attuale riaffiorano queste forme di rifiuto delle capacità cognitive del nostro cervello". Ma non è solo il mondo scientifico

a riconoscere l'importanza del lavoro del CICAP. Anche un importante uomo "di lettere" come Umberto Eco, infatti, ritiene che appoggiare il Comitato rappresenti "un dovere morale" e aggiunge: "non posso che manifestare piena solidarietà per l'iniziativa".

Chiunque può aderire al CICAP [...] (www.cicap.org): non è necessario essere degli scienziati, basta essere curiosi del mondo che ci circonda e non limitarsi a credere ciecamente a tutto quello che leggiamo, vediamo o sentiamo. "Tutti, e in particolare i giovani", spiega Piero Angela, "potranno trovare nel CICAP un modo per esercitare la loro creatività e la loro capacità critica. E' una palestra intellettuale estremamente stimolante, che consente di capire molte cose, non solo sul metodo scientifico, ma anche sulla natura umana".


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