Nell’immaginario collettivo, di cui tutti siamo debitori a Hollywood, le cittadine di provincia “sperdute” nella vastità degli stati centrali degli USA hanno sempre rappresentato la classica ambientazione per storie che sfociano nel fantastico, sovrannaturale e ovviamente horror, come ci insegnano due grandi maestri di questa letteratura: Lovecraft e Stephen King.

Infatti è a Summerville, una di queste città, che Jason Reitman ambienta Ghostbusters: Legacy. Partiamo proprio dal titolo con cui conosciamo questo film e che la distribuzione italiana ha scelto invece dell’originale Ghostbuster: Afterlife titolo che in realtà rappresenta una dichiarazione programmatica vera e propria sull’intero progetto.

Gli acchiappafantasmi, sin dalla prima apparizione nel 1984, si sono sempre confrontati con l’aldilà, luogo dal quale provenivano la totalità dei loro “nemici”. Ma stavolta l’aldilà è presente in diverse varianti, rendendo il film quasi una terapeutica elaborazione del triplo lutto che lo pervade.

Il primo è quello del personaggio della finzione, il dottor Spengler, la cui morte viene mostrata nella sequenza di apertura, e non poteva essere altrimenti, visto che purtroppo l’attore Harold Ramis ci ha lasciati di recente, e a lui è dedicato l’intero film.

Al posto di Ivan Reitman, il regista senza il quale gli acchiappafantasmi non sarebbero mai nati, c’è suo figlio Jason e questo passaggio di consegne contribuisce, in qualche modo, a dare un senso di tenero ricordo che lo rende di sicuro molto gradito a quanti erano giovani nel 1984, quando uscì il primo episodio.

Se l’ambientazione, come abbiamo detto, cambia dalla metropoli di New York alla provincia, non cambia, però, la storia. Perché l’antagonista è di nuovo Gozer il Gozeriano (sì, proprio quello del primo episodio), pronto a oltrepassare ancora una volta i portali dell’aldilà per invadere il nostro mondo travolgendolo con il male più oscuro che ci sia.

Possiamo forse ipotizzare che ormai per i sequel dei blockbuster di Hollywood vige una specie di regola che dice: “prendi la trama del primo film della serie e passaci una mano di vernice”?

Ma allora questo film è solo una mera operazione commerciale infarcita di fan service e possiamo aspettare che passi in streaming?

La risposta è: no. Anzi, avercene di operazioni/fan service così (ogni riferimento all’ultima trilogia di Star Wars è puramente casuale).

I personaggi sono azzeccati, così come l’ambientazione. I due nipotini di Spengler sono perfetti, Phoebe nell’assumere il ruolo che fu del nonno anche con gli stessi tratti “simil asperger” e il fratello Trevor interpretato da Finn Wolfhard (ovvero Mike di Strangers Things) costretto suo malgrado a gettarsi allo sbaraglio, funge da giusta congiunzione tra questo franchising e quanto ad esso si è ispirato nel corso degli anni.

Paul Rudd e Mackenna Grace propongono una variazione sul tema delle alchimie della coppia Bill Murray/Sigourney Weaver e a Logan Kim, che debutta nel ruolo di Podcast, viene passato il testimone di personaggio comico che fu di Rick Moranis.

Io non l'aprirei...
Io non l'aprirei...

Inoltre, il film ignora volutamente il tentativo di reboot al femminile del 2016 (fallito non perché fosse “al femminile” ma perché oggettivamente poco consistente) per agganciarsi direttamente ai primi due film della saga, riservando nelle scene finali il ritorno dei tre Ghostbusters superstiti che “incroceranno i flussi” per difendere ancora una volta la nostra realtà.

E se gli anni hanno lasciato i loro segni sugli eroi così non è stato per l’antagonista, che sfoggia il suo sexy glamour look anni Ottanta in maniera smagliante.

Anni Ottanta, già. Senza sfociare nel classico pistolotto nostalgico va detto che questo film fa egregiamente il suo lavoro nel mostrare come certe strane idee di quegli anni, come quella di girare una “commedia sovrannaturale”, siano tutt’ora seminali, e lo fa mostrando il fil rouge nemmeno poi così occulto che collega i film di quegli anni (sfido a non pensare anche a Goonies) al nuovo corso di serie e film. In fin dei conti altri personaggi ormai iconici come i Man in Black (partiti, ricordiamolo, dai fumetti Dark Horse) possono essere considerati epigoni di quella commistione di divertimento e fantastico che troviamo in questo film, con al centro il nuovo eroe (esageriamo un po’) del millennio: il nerd.

Il dottor Spengler, così come la sua nipotina, non avrebbero sfigurato di sicuro nel soggiorno di Sheldon Cooper in Big Bang Theory.

Si tratta, in definitiva, di un riuscito passaggio di testimone tra la vecchia generazione e la nuova, con una presa di coscienza da parte dei vecchi acchiappafantasmi disillusi, ma pronti (forse) a recuperare quel ruolo che gli mancava anche in memoria dell’amico scomparso, magari per addestrare i loro giovani sostituti che si lanceranno nelle missioni con il piglio di chi sta affrontando la sfida di un videogioco da consolle.

E così ci si ritrova a divertirsi trasversalmente tra diverse generazioni, apprezzando anche la trovata metanarrativa dei filmati Youtube che documentano l’evento “realmente storico” della nascita dei Ghostbusters e del fatidico primo scontro a New York.

Noi ex giovani, probabilmente, ci troveremo ad apprezzare anche il gioco di rimandi e citazioni e l’emozione di ritrovare vecchie conoscenze acciaccate dalla vita, oltre a poterci anche confrontare con il concetto dell’aldilà che dà il titolo al film.

Un aldilà dal quale nonno Spengler tornerà temporaneamente e nel più stretto silenzio ectoplasmatico per aiutare la sua famiglia, i suoi compagni e difendere la nostra realtà da Gozer.

In questo modo tutti possiamo salutare Harold Ramis nell’abbraccio con sua figlia, sperando di rivedere i superstiti ancora in azione al grido di battaglia di “Noi redivivi, loro redimorti!”

E se sui titoli di coda dovessimo scoprire qualcosa che ci scorre sulla guancia non sarà di certo una lacrima ma, rigorosamente, moccio di fantasma.