Nella serie di Netflix House of Cards, Claire Underwood/Robin Wright è una persona di una freddezza da brividi ma, tra un complotto politico e l'altro, la straordinaria attrice ha trovato il tempo di cambiare del tutto genere e soprattutto personaggio, girando nel 2013 il film indipendente The Congress. È dovuto però passare un anno perché il film finalmente trovasse il suo sbocco nelle sale cinematografiche mondiali, con tanto di trailer sia per il mercato americano che per il nostro, che potete vedere in fondo all'articolo.
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8 commenti
Aggiungi un commentoForrest Gump e Beowulf (faccio il figo ma in realta' e' tutto merito dell IMDB).
Pero' Palomino ha toccato una corda interessante del film: come dicevo anche nell' altra discussione, c'e' tutto un passaggio del film in cui l' attrice pone (o ci prova) delle clausole sul non essere usata in film di fantascienza perche' ritenuti troppo stupidi.
La questione non e' banale perche' il Congresso e' chiaramente un film di fantascienza tratto da una novella di genere e perche' il termine fantascienza in quel contesto viene usato per definire un genere molto piu' vasto che comprende anche il fantasy: non solo la Wright ha partecipato a La storia fantastica citato continuamente durante il film, ma appunto almeno a Beowulf, Toys, Il predestinato.
E' come un gioco tra sceneggiatore e spettatore, secondo me neppure messo in piedi piu' di tanto con l' intento di distinguere questo film dalla fantascienza popolarmente intesa quanto per scherzo e per far capire quanto la protagonista sia vincolata nelle sue scelte molto piu' di quanto non creda.
dal libro di Lem hanno già attinto quelli di Matrix con le pillole per vedere la realta
Dimenticate Lem, non c'entra quasi nulla…
Visto mesi fa: l'ho trovato interessante, lisergico, tristissimo.
Se dovessi fare un paragone, ritirerei fuori il vecchio 'Existenz' di Cronenberg visto che, in ambedue le pellicole, il vero tema è l'abbandono del reale, con conseguente inesorabile decadenza della razza umana, a favore del virtuale.
Ci si potrebbe forse leggere un monito all'edonismo sfrenato, fra le altre cose...
La figura di Robin Wright, attrice che tra l'altro apprezzo moltissimo, mi affascina. Il film mi incuriosisce parecchio e l'utilizzo del rotoscope è fantastico.
Quattro o cinque? Questo il dubbio a fine film, un’opera che in definitiva è un tentativo malriuscito. Carino all’inizio, però, con questa attrice (Robin Wright che interpreta una sorta di sé stessa) che alla fine accetta di farsi “digitalizzare”: non girerà più film, ma i produttori lo faranno lo stesso, rendendola al computer (e comunque i suoi incassi resteranno). Passano 20 anni e la stessa attrice va in auto verso una sorta di congresso. A metà strada deve prendere una fialetta, da lì in poi, il film diventa un cartone animato, molto molto visionario (troppo) dove la realtà è sostituita da quanto immagina la mente di ognuno. In definitiva una società di drogati perenni (almeno, lo scorcio di mondo che è dato vedere); chi non prendesse le fialette lo vedrebbe come il mondo di barboni che è. Cosa c’entra con la prima parte? Mah. Qua viene venduta come una sorta di esasperazione, di ulteriore progresso nelle realtà virtuali.
Il tutto però si incarta, si annoda, si incastra e il risultato finale è bruttino, aggrappato come è, con le unghie, al rapporto madre – figlio problematico.
Partecipò a una selezione minore a Cannes; al botteghino non ci andò nessuno, e persero i soldi investiti (non tanti, ma insomma, persi). Giusto così, nel complesso c’è sì qualcosa ma non mi è piaciuto, al di là delle belle prove degli attori.
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