Se ne I Figli di Dune Leto aveva potuto quasi sbeffeggiare il padre, considerandolo un codardo perché non aveva proseguito lungo la strada prefissata, ora egli è infine consapevole della sua personale tragedia. Per di più, Hwi gli è accanto e lo commisera, acconsentendo a essere la sua moglie spirituale, ma in realtà ama Duncan e si concede a lui, a quello stesso Duncan – o meglio a una sua ennesima incarnazione nei corpi tleilaxu – a cui si era concessa Alia nel tentativo di trovare un rifugio dal peso della tirannide. La semplice, umana gelosia che Leto prova gli fa rapidamente perdere quell’imperturbabilità che aveva posseduto per tanti secoli. «È la solitudine a darmi il diritto di governare», spiega Leto a Siona, la sua lontana discendente. «La mia solitudine è fatta di libertà e schiavitù: fa in modo che io non possa essere comprato da nessun gruppo umano e garantisce che vi servirò nel modo migliore possibile come sovrano». Ma l’Imperatore-Dio è giunto ormai a un punto di rottura: la sofferenza lo ha reso troppo umano per poter continuare a governare, e come già per Paul e per Alia anche Leto sceglie la morte come via di fuga. Ma in realtà la sua non è una scelta, ma il compimento di un futuro che aveva già visto. Leto è fino all’ultimo vittima del proprio fato e la sua morte è il capitolo finale della lunga storia di tirannidi non volute della dinastia degli Atreides. Liberata dal dispotismo millenario dell’Imperatore-Dio, l’umanità si avvia sul percorso preparato da Leto e dal padre Paul, facendo sì che non esista più determinismo e predestinazione nella vita degli uomini, ma solo quel libero arbitrio che a loro è stato negato.