Ci sono due modi per parlare del Robocop di José Padilha in sala in questi giorni.

Uno è fare finta di non sapere che è il remake di un classico praticamente istantaneo, il Robocop di Paul Verhoeven del 1987. E l'altro è avercelo invece ben presente e usarlo come metro di giudizio, per quanto farlo non renda quasi mai un buon servizio alla copia.

Cercherò di farlo in entrambi i modi, perché io a Robocop sono profondamente affezionato.

E, giusto per sgombrare completamente il campo da qualsiasi traccia di dubbio, sappiate che, sì, non solo ho adorato il primo, ma anche il secondo (lo vidi nel mio primo viaggio negli Stati Uniti sentendomi molto figo perché all'epoca dovevano passare mesi prima che i film americani arrivassero in Italia, anche se il mio inglese era scarso e capii sì e no la metà dei dialoghi), il terzo (rinunciare a Peter Weller fu doloroso ma venni ricompensato dall'indimenticabile sequenza di Robocop che vola con un jet-pack) e… beh, non posso dire di aver adorato la serie tv, ma – e lo dico prendendomene ogni responsabilità – la registrai diligentemente su VHS dicendomi che, anche se mi sembrava una schifezza under 13, magari un giorno l'avrei rivalutata.

E, ah, sì, ho cercato e comprato su eBay il cofanetto dei 4 film The Prime Directives inedito in Italia e me lo sono guardato senza sottotitoli perché per me, e per quelli come me, Robocop è l'ultimo degli eroi romantici che il cinema sia riuscito a darci.

Fatta questa premessa, passo a parlare di Robocop 2014 cercando di non pensare a Robocop 1987. E, quindi, com'è?

È un film mediocre. 

E da mediocre potrei salire fino a discreto se volessi far valere un bonus di benevolenza, perché di film di fantascienza se ne fanno sempre troppo pochi e già il fatto che a Hollywood vengano stanziati cento milioni di dollari per produrre qualcosa che non parli di supereroi ti mette in uno stato d'animo più benevolo.

Perché Robocop oscilla tra il mediocre e il discreto e non riesce a salire più in alto?

Ci sono diversi motivi.

Facciamo che ve li elenco in ordine sparso, così come mi vengono a rifletterci sopra cinque minuti, piuttosto che cucirli assieme in un discorso organico.

- Perché il protagonista scelto per interpretare Alex Murphy, Joel Kinnaman, è un perfetto signor nessuno (ma non è questa la colpa) che non si attira le simpatie del pubblico né prima né dopo la sua trasformazione nel cyborg poliziotto targato OCP (pardon, OmniCorp). Nessun physique du role, nessun tormento che non sia una maschera da soap pomeridiana, nessun guizzo, neanche una battuta decente in oltre due ore di montato. E se non parteggi almeno per qualcuno, un film rischia seriamente di diventare emotivamente sterile, anche se pur sempre di fantascienza e di azione si parla.

E badate che se non sono riuscito a provare un filo di compassione cinematografica per un disgraziato che è ridotto a una testa parlante, un paio di polmoni e un cuore sigillati in un guscio di plexiglas (in una delle poche scene riuscite del film), significa che qualcosa d'importante non sta funzionando nell'impianto. 

Ma andiamo avanti.

- Perché c'è il personaggio di Samuel Jackson che, a ben guardare, potrebbe tranquillamente essere sottratto dall'equazione senza che il film ne soffrirebbe: talmente slegato, scontato e caricaturizzato che le parti in cui compare (sue sono le sequenze d'apertura, centrali e di chiusura) sono le più fiacche in assoluto. Avete presente uno che vi racconta una barzelletta che non fa ridere? Esattamente così.

- Perché il film gode di un ottimo incipit che fa davvero ben sperare (e l'esperienza di José Padilha nel genere è messa a frutto in ogni fotogramma), e poi ci si perde in un plot da telefilm che non ci molla più fino al finale.

- Perché tutta la violenza che viene messa in scena è di tipo addomesticato, filtrato, corretto, distillato: fino a farci arrivare nel bicchiere dell'acqua tiepida che male non può fare a nessuno, ma di certo neanche fa venire voglia di chiederne ancora.

Non vedrete sangue (e ve lo dice uno a cui del sangue e dello splatter in generale frega meno di zero), ma neanche sudore, o una siringa, una puttana, uno che sniffa coca... neanche uno che ruba una borsetta, a ben vedere.

Se ci sono dei criminali a Detroit, non si sa bene cosa facciano o chi siano.

Il cattivo dovrebbe essere un tizio coi capelli alla Drupi che non spaventerebbe nessuno. Ci sono un paio di sbirri corrotti che fanno quasi pena, e c'è Michael Keaton che dovrebbe essere il dirigente spietato che passa come un rullo compressore sopra tutto e tutti per dare all'America il prodotto robotico che gli farà impennare i profitti. Roba che Tanzi che si è fottuto i soldi dei risparmiatori Parmalat appare più stronzo.

Robocop 2014 è mediocre nella scrittura, di stampo prettamente televisivo (non che sia necessariamente un male) e che sembra non impegnarsi mai a uscire dai consueti, sicuri binari dell'action-movie con una spruzzata di sci-fi che ormai prodotti come Almost Human o Intelligence propongono settimanalmente sulla tv via cavo, peraltro senza che nessuno – che mi risulti – si sia alzato in piedi ad applaudire una delle serie appena citate.

È carente persino nel presentarci delle scene d'azione come si deve (ci sono due sparatorie, una piuttosto convenzionale sotto la pioggia e un'altra agli infrarossi nella seconda metà del film che assomiglia più a una session di Playstation. Poi, se volete contare anche quella dove Murphy se la vede con i droni, beh, fanno tre, ma tanto vale guardare uno che spara a dei bersagli di cartone).

È mediocre nel commento sonoro, affidato al non troppo blasonato Pedro Bromfman, che ci fa battere il cuore per dieci secondi dieci quando riarrangia il trionfale tema di Basil Poledouris e poi ripiomba in una soundtrack anonima e che non si fa ricordare neanche per un attimo.

Insomma, tutto da buttare via?

Non proprio.

I soldi spesi (tanti), almeno quelli non finiti per pagare i cachet di Jackson, Keaton e Oldman (l'unico personaggio con cui si riesce a provare un pelo d'empatia e magnificamente sorretto da una prova attoriale una spanna sopra le altre) si vedono nelle scenografie, mai meno che complete, dettagliate, accurate e verosimili.

Il mecha-design di Robocop (vi ricordo che mi sto sforzando di non fare paragoni con l'originale) è piuttosto buono, così come tutto l'impianto che lo sorregge.

Niente di straordinario, sia chiaro… se avete visto Robert Downey jr. spogliarsi dell'armatura di Iron Man in un tripudio di CGI perfettamente ibridata col reale già nel 2007, nulla in questo Robocop vi sconvolgerà (ma la sequenza a cui accennavo prima potrebbe comunque colpirvi).

Peccato che mezzi, armi e persino i droni (non riesco a chiamarli ED-209) non siano niente di particolarmente studiato o innovativo. Anche il display a "realtà aumentata" di Robocop non ha niente di più di quanto non abbiate già visto in un Terminator a vostra scelta, o, se preferite, nel già citato Intelligence dove il Sawyer di Lost fa l'agente segreto con un chip nel cervello.

Cos'altro?

Ah, sì… oltre la bella sequenza iniziale, c'è quella della fuga di Murphy dalla base OmniCorp in Cina. Sorvolando – con tutta la benevolenza del caso – sul fatto che "questo" Robocop salta come l'Uomo Ragno (potrà piacervi o meno, deciderete voi), riprese e colpo d'occhio funzionano alla grande e per qualche minuto... ma non fanno altro che confermare che il ragazzo – Padilha – è bravo ma non si applica.

Il finale è "povero", forzato e ulteriormente banalizzato da un controfinale affidato a Samuel Jackson, che per tutto il tempo guarda in camera con un'acconciatura orribile e un look anni settanta che non si capisce da dove sia venuto fuori.

E questo è tutto.

Paragonato al Robocop originale, questo perde miseramente. Su ogni fronte.

Com'era (probabilmente) prevedibile, ma questa non è una scusante.

Se ti accosti a un classico (e il Robocop di Verhoeven lo è, che vi piaccia o no), devi essere consapevole che il confronto ci sarà. E sarà impietoso.

Padilha aveva gli strumenti (e non parlo solo del budget) per realizzare qualcosa di dignitoso, ma inspiegabilmente finisce per girare una puntatona di Almost Human, e di quelle brutte.

Il suo Alex Murphy non ha presenza scenica, non ha personalità, non empatizza con voi. E i personaggi di contorno, con l'eccezione del dottor Norton (Odman) sono bidimensionali e privi di vita: la mogliettina bella e amorevole, il figlioletto che guarda le partite con lui, l'agente Lewis che cambia sesso ed etnia e a cui è affidata l'unica battuta decente di tutto il film, qualche sbirro corrotto, Keaton il manager senza scrupoli che non arriva manco ad allacciare le scarpe a Ronny Cox o a Miguel Ferrer, il trafficante di droga che praticamente non esiste (e manco ci fanno vedere la brutta fine che fa e che comunque non frega niente a nessuno).

O anche solo la versione scipita dell'ED-209, che rimane sullo sfondo come un pezzo qualsiasi della scenografia laddove il primo era un personaggio vero e proprio, grosso, temibile, cattivo e stupido che ancora adesso fa paura. Ma paura davvero.

E non ho ancora parlato della differenza più gigantesca tra i due film (che non è, come si sono precipitati a dire in tanti, l'assenza di tutta la feroce ironia che pervadeva il progenitore, quella è solo la più evidente).

Nell'opera di Verhoeven, il protagonista, uno sbirro "buono", muore durante un'azione di polizia.

Muore.

E non muore facile, il martirio a cui viene sottoposto è una di quelle cose diventate quasi impossibili da mostrare oggi al cinema (almeno quello mainstream e destinato a vendere le action figures), ma non è tanto questo il passaggio cruciale: il passaggio è che Verhoeven fa morire e resuscitare un uomo, tirato fuori a forza dall'obitorio con la tecnologia e assimilandolo così a un Gesù Cristo cibernetico consegnandolo definitivamente al mito.

Padilha non ha questo coraggio e semplicemente lo manda all'ospedale dopo l'esplosione della sua auto parcheggiata sotto casa.

E, anche se a prima vista può non sembrare, è una differenza enorme.

(Che poi, a voler rompere a tutti i costi, qualcuno dovrebbe spiegarmi cos'è successo dallo stadio in cui Murphy ha ancora una gamba e tutte e due le braccia attaccate al tronco e un occhio definitivamente fuori uso, alla testa parlante coi polmoni e il cuore e tutti e due gli occhi perfettamente funzionanti. Cos'è, già che c'erano hanno buttato via tutto il tronco?)

Il dramma di Alex Murphy nel primo Robocop è un pozzo nero e profondo in cui il protagonista scivola gradatamente, dove l'orrore lascia il posto solo a una tristezza talmente grande da riuscire ad essere a malapena raccontata e magnificamente conclusa nella battuta: posso sentire mia moglie e mio figlio in me… ma non riesco a ricordarmeli.

E ditemi quando era successo, prima, che ci si potesse commuovere a una frase pronunciata da un essere diventato più macchina che uomo.

Il Robocop di Verhoeven non è un eroe, ma un poverocristo (eccolo, di nuovo) a cui non è concesso né di vivere né di morire, è la rappresentazione dell'angoscia di una vita spezzata e della deriva di un mondo inghiottito dall'avidità e dall'atavica cattiveria della natura umana.

Un mondo interrotto a intervalli regolari da demenziali stacchi pubblicitari e dal notiziario delle otto.

Il Robocop di Padilha è uno che deve seguire un copione e cerca di fare tutte le faccette del caso, lacrimuccia compresa.

Che si muove in una Detroit indistinguibile da qualsiasi altra metropoli americana, senza un accenno di degrado ma ripresa in campo lungo e di notte che pare uno spot del Martini Dry.

Potrei andare avanti e smontarlo pezzo per pezzo, ma probabilmente sarebbe un'operazione cinica e un pelo sleale… perché il Robocop originario era talmente ricco di mestiere (nella parodizzazione della società corporativa e arrivista degli anni ottanta, nelle scene d'azione, nel mecha design tuttora insuperato, nella scrittura dei personaggi e dei loro dialoghi e in mille e mille altri aspetti), talmente pensato fregandosene completamente di apparire politicamente corretto per spuntare un divieto ai minori… da trasformare quello che che poteva essere l'ennesimo e sempliciotto film di fantascienza nel classico istantaneo di cui vi parlavo all'inizio.

Alla luce di questo, chi poteva pretendere che Robocop arrivasse ai livelli del suo padre spirituale?

Io no, e probabilmente neanche voi.

Ma pretendevo, almeno, che sapesse propormi qualche personaggio degno di interesse invece che una faccia da pirla col nasone dentro una tuta corazzata da celerino e circondato da una serie di pupazzi anonimi.

Che sapesse costruire almeno un protagonista e un antagonista degni di questo nome e non della gente che sai sempre, in ogni momento, dove andrà a parare e l'esatto momento in cui si farà da parte nella storia.

Mi auspicavo che il film riuscisse a creare una tensione drammatica reale, magari appoggiandosi (e sarebbe solo l'ennesimo) alla visione di Nolan invece di adeguarsi (inspiegabilmente) a ritmi e scansioni di matrice televisiva.

Avevo l'ingenua speranza che sapesse gestire il dramma dell'originale senza dovermelo sbattere in faccia attraverso l'uso delle faccette lacrimose della moglie che mi è sembrato di vedere una puntata di Chi l'ha visto, o anche che avesse il coraggio di mostrare (come ha fatto Pete Travis nel suo Dredd 3D, ovviamente inedito soltanto in Italia) cosa accade, per dire, a un uomo raggiunto da un proiettile. Ma giusto per dire, eh.

Che mi potesse stupire, usando la tecnologia odierna, mostrandomi quello che nel 1987 era impossibile da mostrare sullo schermo e restando al servizio della storia.

E invece no.

Tutte le mie pretese, speranze e illusioni, sono state contraddette.

In conclusione, si poteva fare a meno di questo Robocop?

Tristemente, sì. 

A margine, resta solo un quesito ormai accademico: chissà cosa ne avrebbe tirato fuori Darren Aronofsky che già nel remoto 2008 era stato ufficialmente designato come regista per un reboot che sarebbe dovuto uscire, nelle intenzioni della MGM, nel 2010 prima di mollare tutto e mettersi sul suo Cigno Nero (www.fantascienza.com/magazine/notizie/11734/il-nuovo-robocop-sara-hardcore/ tutta la storia).

Ma è accademia, per l'appunto.

Robocop è finito in mano a Padilha e il risultato è in questi giorni nei cinema. Vedere per credere (e piangere).

Se invece volete spendere in altro modo i vostri soldi, giusto in questi giorni sta uscendo www.blu-ray.com/movies/RoboCop-Blu-ray/89781/. Dopo uno dei peggiori blu-ray messi in circolazione, la MGM fa uscire una nuova edizione del Robocop del 1987 rimasterizzato in 4K, che riproduce tutte le particolarità del girato originale e include un'impressionante quantità di contenuti speciali (mancano solo le fotografie della prima comunione di Paul Verhoeven).

Fate la vostra scelta.