Con Dracula. L’amore perduto, Luc Besson si cimenta con la leggenda, ovvero il vampiro frutto dell'immaginazione di Bram Stoker nel 1897, ma ispirato alla figura storica di Vlad III di Valacchia (noto come Vlad l'Impalatore). La parola "Dracula" significa "figlio del diavolo" in rumeno e, in buona sintesi, status di Vlad vampirico viene spiegato come punizione divina.
Non sempre le varie versioni cinematografiche del personaggio, così come le numerose interpretazioni della figura del vampiro, ne hanno ripreso le origini storiche, variando molto sul tema. Una delle versioni più filologiche risale al 1992, a opera di Francis Ford Coppola, tanto da intitolarsi Bram Stoker's Dracula.
Con la sua versione Besson propone un colpo al cerchio e uno alla botte, nel senso che da un lato presenta una parte iniziale sostanzialmente aderente all'originale, molto simile, mutatis mutandis, alla versione di Coppola. Sposta poi l'ambientazione del presente narrativo della storia, il tardo XIX secolo, da Parigi a Londra, affidandosi a dei flashback per raccontare come il vampiro abbia attraversato la storia umana dal XV secolo, nell'eterna ricerca della reincarnazione del suo amore, Elisabeta, nutrendosi di sangue umano.
Più che all'orrore che dovrebbe suscitare la figura del vampiro, Besson punta all'empatia che dovremmo provare per un amore che attraversa i secoli, più forte della morte stessa.
Un'altra svolta inattesa, dopo il cambio di ambientazione, è nel tono che il racconto assume, che dal dramma romantico comincia ad assumere i toni di una farsa, spesso kitch e grottesca, che sembra non prendersi sul serio, fino a farci porre la domanda se non si tratti di una parodia.
Il cast, dal bravissimo Caleb Landry Jones nel ruolo del titolo, a Zoë Bleu nel doppio ruolo di Elisabeta/Mina, a Christoph Waltz nel ruolo di un prete mai nominato, che dovrebbe essere il Van Helsing della situazione, fino alla istrionica Matilda De Angelis nel ruolo di Maria (ovvero la Lucy originale), segue divertito il regista nel suo gioco di costruzione di un dramedy romantico.
Besson è un regista con un innegabile pregio: appartiene a quella genia che crede fortemente e con sincerità nei suoi progetti, non tradendo mai la propria cifra stilistica, accettando anche di naufragare con essi, come i migliori capitani delle navi. Come Burton o Nolan, giusto per fare due esempi, c'è sempre una coerenza di fondo nei suoi film, non mediata da interferenze nella produzione.
Qualche volta la sua ricerca porta risultati straordinari, altre volte lascia perplessi, ma comunque ammirati per il coraggio di aver portato l'impresa fino in fondo, infischiandosene anche delle cadute nel ridicolo.
Esteticamente il film non è meno che pregevole, paga il suo debito all'estetica di Coppola, ma l'ambientazione parigina lo mette in dialogo non solo con esempi letterari come Victor Hugo e i Dumas, senza timori reverenziali, ma visivamente anche con Méliès e Cocteau, verso i quali sembra dimostrare un grande amore. Il risultato non è sempre all'altezza, ma non si può non riconoscerne i meriti.
Non è improbabile comunque che, con il tempo, Dracula. L’amore perduto diventi un film di culto, proprio per le sue discutibili scelte narrative, i dialoghi da Baci Perugina e la sua sfrontata estetica kitch.















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