Odiavo gli spazi aperti.
Avevo messo piede nei Giardini Imperiali da meno di un minuto e già ero sudavo freddo. Il familiare caos di traffico, cemento e torri di acciaio era stato sostituito da una pianura di erba ben curata. Strizzai gli occhi, indispettito. Il sole scottava e il cielo libero da cupole mi dava l’ansia. Il Palazzo era lontano, avvolto in una nuvola bianca di vapore artificiale.
Un piccolo veicolo di trasporto era fermo a attendermi. Per fortuna il tragitto fu breve.
Incontrai Alec Tiron, delegato per i rapporti esterni alla corte di sua Maestà Imperiale Kugel Settimo, nei campi di gioco. Osservava compiaciuto la boccia di alluminex rotolare sul prato e fermarsi a un soffio dal pallino rosso. Con un gesto teatrale emise un sospiro di sana soddisfazione.
— Un tiro perfetto, non trovate?
Gli lanciai un’occhiata distratta. – Non saprei, Milord. Il gioco delle bocce non mi ha mai affascinato.
Si accigliò. — Sbagliate, Capitano Roxton. È il passatempo preferito dei nobili, sin dall’antichità.
— A dire il vero su questa teoria esistono tesi contrastanti. — sorrisi sarcastico. — Secondo alcuni archeologi gli sport preferiti della nobiltà su Terra erano il Polo e la caccia alla volpe.
— Sciocchezze — Tiron agitò una mano infastidito — Sul Polo, oltre al nome, non è mai stato trovato nulla di concreto. Di sicuro è un mito, una credenza popolare. Quanto alla caccia della volpe — sentenziò indignato — È mai possibile credere che Conti, Baroni e Lord terrestri utilizzassero il tempo libero inseguendo animali selvatici? Come semplici bifolchi affamati? È un'idea assurda e offensiva.
Decisi di non insistere. Certi funzionari imperiali sono permalosi.
— Spero di non essere stato convocato a corte per una lezione di bocce — chiesi.
— No, capitano — rispose, divenendo di colpo serio. — Per una questione militare della massima urgenza.
Prese un foglio dal taschino della giacca e me lo sventolò davanti al naso, con un gesto perentorio. — Presentatevi subito al Comando di Flotta, dall’Ammiraglio Tudor. Questo è l’invito a comparire. — incrociò il mio sguardo fermo e risoluto, poi terminò — È tutto.
Si voltò e con un movimento rapido tornò a osservare il campo di bocce.
Così ero di nuovo in pista.
Dopo la missione su Ytan Terzo, L’Ammiragliato mi aveva messo al bando. Troppa autonomia in decisioni che non mi riguardavano, scarsa attitudine a rispettare i comandi in maniera integrale. Avevano scritto così nel rapporto. Tradotto voleva più o meno dire che non ero disposto a fare idiozie per qualche nobile annoiato.
Mentre la navetta scivolava sul campo magnetico, diretta al Comando di Flotta, osservai distratto le grandi cupole degli hangar e i veicoli parcheggiati sulle piste. Detestavo la nobiltà, specie quella corrotta della Corte Imperiale, ma ero impaziente di incontrare Derek Tudor, un militare di carriera schietto e concreto. La curiosità per una convocazione così urgente mi divorava.
L’ufficio dell’Ammiraglio, finestre con vista sui giardini imperiali, scrivania in stile retrò, in vero legno, e ologrammi di pregio alle pareti, trasmetteva una piacevole sensazione di solidità e rigore militare. Tudor, capelli brizzolati tagliati a spazzola, uniforme impeccabile e sguardo acuto, mi accolse senza troppe cerimonie e con una vigorosa stretta di mano. Tanto bastava tra militari. Ci conoscevamo, ma il nostro era sempre stato un rapporto formale.
— Suppongo sia sorpreso, comandante Roxton – esordì secco.
— Esatto — risposi cauto. — Non capita tutti i giorni di essere convocato a Corte.
Tudor fece un gesto di stizza. — Lasci perdere quelle buffonate. Gli addetti imperiali devono giustificare il loro lauto stipendio. Veniamo ai fatti, piuttosto. — Con un gesto rapido dilatò un fascicolo, piazzandomelo davanti agli occhi, e proseguì — Ha mai sentito parlare della missione Arcadia?
Ci pensai su un attimo, poi risposi. — Una missione esplorativa nel Ramo Nero del Settore Orientale della Galassia. Se non erro affidata al Comandante Larson, alla guida dell’incrociatore “Grazia Imperiale Caterina Terza”.
Tudor sgranò gli occhi in maniera impercettibile, segno di ammirazione e stupore. – Esatto — disse a denti stretti. – Ottima memoria.
Intuii un certo disagio. — Ci sono stati dei problemi?
L’Ammiraglio risucchiò il fascicolo e rimase in silenzio. Poi si schiarì la voce e confessò accigliato. — In effetti sì. Abbiamo perso per un mese standard ogni contatto con l’incrociatore. Lei sa bene come vanno queste missioni esplorative, non è inconsueto che interi convogli spariscano nel nulla. Tempeste solari, distorsioni nel continuum, botole iperspaziali. L’Universo inesplorato non è un luogo sicuro. Ma questo caso è diverso.
— Diverso?
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