Lo scorso 9 aprile si è spento uno dei più visionari plasmatori del futuro che l’Italia abbia prodotto nell’ultimo secolo. Paolo Soleri era soprattutto questo, essendosi dedicato con tale trasporto e passione al ruolo di architetto da averne fatto una missione. La sua opera, condensata nell’affascinante paradigma dell’arcologia (architettura eco-compatibile, sincrasi dei concetti-chiave di architettura ed ecologia), ha propugnato prima di tutto una rivoluzione copernicana della visione del mondo e degli stili di vita contemporanei. Una prospettiva non estranea alle più affascinanti immagini promosse dalla fantascienza.
In effetti, su chi è cresciuto come me nutrendosi di cyberpunk e futuri distopici, i progetti di ecosistemi urbani sostenibili e integrati esercitano un’attrazione particolare: rappresentano un’alternativa ai modelli votati al degrado e al collasso che abbiamo visto diventare tristemente predominanti nel mondo reale. La distanza tra la Los Angeles del 2019 prefigurata in Blade Runner (1982) e una qualunque megalopoli o città, grande, media, piccola o insignificante, del 2013, si misura al più nelle dimensioni dei palazzi: per tutto il reso – strade, rifiuti, neon, traffico – chiunque attraversi di notte Bangkok, Berlino, Bologna o Battipaglia potrebbe stare sperimentando nient’altro che un transfert del detective di Ridley Scott. O di un replicante.
Disegnare il paesaggio umano: la missione di Soleri
Nato a Torino nel 1921, Soleri si trasferì in America dopo aver conseguito nel 1946 la laurea in architettura presso il Politecnico cittadino, collaborando per due anni nello studio di Frank Lloyd Wright a Taliesin West, la casa-scuola invernale del grande architetto, in cui una generazione intera di allievi si andava facendo le ossa. In Arizona, malgrado i rapporti non sempre facili con il maestro, Soleri ebbe modo di mutuare da lui i principi fondanti dell’architettura organica, prima di fare rientro in Italia nel 1950.A Vietri sul Mare, in provincia di Salerno, realizzò quindi uno dei suoi pochissimi progetti usciti dalla carta, nonché la sua unica opera costruita in Italia: la fabbrica di ceramiche della famiglia Solimene. Il progetto originario avrebbe dovuto interessare un comprensorio urbano ancora più vasto, estendendosi ai dintorni della struttura, ma si scontrò con le resistenze tradizionaliste del territorio e rimase incompiuto. La familiarità artigianale acquisita con la ceramica e l’argilla nel corso di questa esperienza influenzerà però Soleri negli sviluppi successivi, fino agli elementi di decoro armonizzati nelle strutture, tra cui i caratteristici sonagli (windbell) noti anche come “campanelle scacciaguai”.Nel 1956 Soleri volò nuovamente in America e si stabilì con la moglie Colly in Arizona. Ispirato dalla filosofia del gesuita evoluzionista Pierre Teilhard de Chardin (1881-1995), tra le altre cose teorizzatore
Arcosanti, fondata nel deserto un centinaio di chilometri a nord di Phoenix, coniuga nel nome il toponimo originario di Cosanti con arcologia e nacque nel 1970 proprio come “laboratorio urbano”, per sperimentare un’alternativa snella e funzionale rispetto ai modelli dominanti di città. Nella difficoltà continua di trovare uno sbocco per i propri progetti, Soleri decise con questa esperienza di realizzare di prima mano un prototipo per mettere alla prova le proprie idee. Con l’aiuto dei suoi studenti e di diversi sostenitori, per un totale di oltre seimila volontari, l’architetto italo-americano ha tenuto in vita l’esperimento lungo l’arco di quarant’anni. Ad oggi del progetto originario risulta completata appena una frazione del 2%, ma ciò nonostante la grandiosità della visione del suo autore affascina migliaia di turisti, richiamati nella Paradise Valley da ogni parte del mondo.
È qui che Soleri si è spento lo scorso aprile. Il 20 e il 21 settembre di quest’anno si terrà ad Arcosanti un evento pubblico per commemorare la sua vita e la sua opera.
1 commenti
Aggiungi un commentoHo avuto modo di leggere il suo articolo riguardante la scomparsa dell'architetto
Paolo Soleri. Condivido il fatto che il Soleri sia stato un grande visionario ma certamente non l'unico, infatti lui è stato uno dei teorici di un movimento architettonico e urbanistico che negli 60 domino' la scena per circa un ventennio, e che prese il nome di Metabolismo in Giappone, Superstudio in Italia
Archingram in Gran Bretagna tanto per citare in più rappresentativi, le consiglierei per avere una visione più dettagliata, un vecchio libro pubblicato da Ed. Laterza
dal titolo "Le tentazioni dell'architettura Megastrutture" autore Reyner Banham, critico di architettura tra i più autorevoli di quegli anni, forse leggendolo capirà del perchè alla fine tale corrente venne abbandonata
anche da coloro che con tanto entusiasmo l'appoggiarono tranne l'architetto Soleri
che vi rimase fedele fine alla fine della sua lunga vita. Per quanto mi riguarda non sono un fan di tale soluzione, mi somiglia troppo di alveare ma questo credo che non sia il solo a pensarla cosi' ed il fatto che viene appoggiata, come idea risolutrice di tutti i problemi urbanistici del presente e del futuro, dai colossi multinazionali delle costruzioni e infrastrutture fa pensare. Concludo dicendo che nonostante le buone intenzioni di preservare l'ambiente credo poco che questa sia la strada più giusta.
Pietro Mongiovì
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