Starcrash. Scontri stellari oltre la terza dimensione
Starcrash. Scontri stellari oltre la terza dimensione
Dagli anni ottanta in poi il cinema sci-fi italiano sconta quindi pesantemente il fatto di non essere riuscito a trovare un proprio sentiero evolutivo. Privo dei mezzi economici necessari per investimenti di grossa portata, impossibilitato a perseguire ancora la commistione con la commedia all’italiana, anch’essa in crisi con l’aggressione di prodotti sempre più superficiali come i “cinepanettoni”, produttori e autori non trovano niente di meglio che cavalcare l’onda del successo commerciale delle grandi produzioni americane, mettendo in cantiere pellicole la cui scarsa compiutezza riesce a far rivalutare persino i tentativi artigianali degli anni passati. Così l’avvento di Guerre Stellari fornisce ad Alfonso Brescia l’occasione per tentare di battere il record di Margheriti, sfornando tra la fine del 1977 e il 1978 ben cinque film-cloni, oltre che del lavoro di Lucas anche fra di loro: Anno zero - Guerra nello spazio, La bestia nello spazio, Cosmo 2000 - Battaglie negli spazi stellari, La guerra dei robot e Sette uomini d'oro nello spazio. Di livello appena superiore è L’umanoide, girato da Aldo Lado nel 1979 e che poteva vantare almeno un cast più interessante, dal gigante (in senso fisico) Richard Kiel alla Bond-girl Barbara Bach. Così come Holocaust 2000, film di confine fantagotico del 1977 firmato da Alberto De Martino, può contare nel cast su un altro gigante, stavolta della recitazione, del calibro di Kirk Douglas. L’avvento del filone post-catastrofico, incarnato dai successi mondiali di Interceptor e 1997: Fuga da New York, danno il via a un gran numero di produzioni alle quali lavorano parecchi registi provenienti dal poliziesco, dall’horror e dagli spaghetti-western: Enzo G. Castellari (1990: I guerrieri del Bronx del 1982 e Fuga dal Bronx del 1983), Sergio Martino (2019: Dopo la caduta di New York del 1983), Lucio Fulci (I guerrieri dell’anno 2073, del 1983), di nuovo Antonio Margheriti (Il mondo di Yor, del 1983). Ruggero Deodato, proveniente dall’esperienza iperrealistica degli “olocausti cannibali”, prova a deviare appena dalla strada maestra con il curioso I predatori di Atlantide del 1983. L’irrompere del fenomeno Alien di Ridley Scott produce in Italia il famigerato Alien 2 sulla Terra, girato nel 1980 da Ciro Ippolito. L’avvento di Terminator e Robocop semina invece una manciata di film a base di robot, cyborg e viaggi nel tempo: ancora Sergio Martino (Vendetta dal futuro – Hands of steel del 1986), Giannetto De Rossi (Cyborg - Il guerriero d’acciaio del 1989), Bruno Mattei (Robowar e Terminator II – Shocking Dark, entrambi del 1986). Intanto l’inossidabile Antonio Margheriti prova a imitare James Cameron anche nella sua vena “subacquea”, sfornando nel 1989 Alien degli abissi, forse uno dei titoli più dignitosi della carriera di questo regista.

Tutti questi film e innumerevoli altri hanno in comune la velocità di realizzazione e i costi di produzione veramente bassi, che si sono tradotti in soluzioni tecniche artigianali in qualche caso pure interessanti. Ma soprattutto hanno in comune la rinuncia dichiarata anche solo a tentare un minimo di interpretazione del genere, limitandosi a ricalcare pedissequamente schemi e modelli d’importazione senza però quella certa profondità che, seppure a tratti, presentano gli originali. La realizzazione è mediamente talmente approssimativa che riesce difficile ricordare anche solo uno di questi progetti: questo nonostante nel cast militassero a volte anche grossi professionisti di Hollywood e nonostante la benevolenza, forse eccessiva, con la quale la critica attuale rivaluta l’intero movimento trash del cinema italiano. Alla fine gli unici nomi che si ricordano sono quelli dei registi e dei realizzatori tecnici, perché nella mancanza di talento e a causa della “grana grossa” di cui questi film sono ricoperti, comunque si sono ritrovati sprazzi di genialità espressiva che hanno finito per essere notati anche nel grande cinema americano. Illuminante in tal senso il fatto che per il suo Alien, Ridley Scott abbia ammesso di essersi ispirato alle tecniche che Mario Bava (ancora lui) utilizzava già nella lavorazione di Terrore nello spazio.