Molti dicono che Ghost Rider 2099 fu la testata più vicina alla concezione cyberpunk gibsoniana ed in effetti non mancano corse a perdifiato nel cyberspazio, giovani e spregiudicati hacker ed un’idea di quella commistione fra misticismo ed universo digitale che avrebbe portato i Loa del Voodo fra le entità immanenti presenti in questo luogo effimero. Mentre però i protagonisti di Gibson rimanevano bene o male attaccati ad un minimo di umanità in “Zero” Cochrane non ne rimane nemmeno un briciolo.

È la coscienza di un morto che si è auto-digitalizzata ed in seguito viene fatta risorgere, da un consorzio di AI rivoluzionarie, in un corpo completamente artificiale imbevuto di nanotecnologia e alimentato da un generatore a fusione. Kaminski sembra essere passato di punto in bianco da Gibson alle atmosfere che Alastair Reynolds avrebbe creato nell’universo di Revelation Space almeno un decennio più tardi. Il discorso su Doom 2099 si fa appena più complesso: il personaggio nasce decisamente promettente ma è nel passaggio del testimone dall’autore originale, John Francis Moore, all’esordiente Warren Ellis che dimostra le sue vere potenzialità e diventa il precursore della corrente “consapevole” del postumanismo a fumetti. Destino viene ripescato nel mondo del 2099 direttamente dal ventesimo secolo, una delle menti più brillanti e competitive del pianeta buttata all’improvviso in un’arena dove si rivela palesemente obsoleta. Può cavarsela intuitivamente nel padroneggiare un minimo della tecnologia che gli è necessaria ma non può raggiungere il livello di dimestichezza di chi qui è nato e fin da tenera età ne fruisce. I giovanissimi hacker saranno sempre in vantaggio rispetto a lui nel cyberspazio mentre la sua vecchia armatura si dimostra praticamente inesistente nel confronto con i più moderni sistemi d’arma. La soluzione è pratica e diretta per la mente pragmatica di Destino: non solo aggiornare l’equipaggiamento ma anche e soprattutto aggiornare l’uomo. Un sistema nervoso artificiale, naniti nel sangue ed una nuova armatura legata perennemente al suo corpo lo trasformano in qualcosa di diverso, in qualcosa che magari non è propriamente umano ma sicuramente al passo coi tempi. Nell’arco narrativo curato da Warren Ellis cominciamo a vedere non solo un buon utilizzo del già discreto materiale messogli a disposizione da Moore ma diversi particolari che cominciano a rivelare quelle che da lì a poco sarebbero diventate alcune linee guida dell’autore scozzese. Viene ripescata Paloma, un’intelligenza artificiale nata da un programma divenuto senziente nel cyberspazio (ricorda molto Ghost in the Shell),  e vengono decise le sorti del mondo conosciuto: Destino infatti decide di conquistarlo a cominciare dall’America, e ci riesce. Un attacco fulmineo sia fisico che informatico coadiuvato dalle AI ribelli sopracitate (Ghost 2099) lo rendono in breve il presidente degli Stati Uniti. In questo arco di storie vediamo una gestione della tecnologia e delle risorse ad esse collegate che non ha nulla del movimento cyberpunk. Attacchi nanotecnologici su larga scala, guerra memetica ed informatica, la genetica utilizzata per rendere intere popolazioni immuni ad attacchi batteriologici ed infine, nel cuore della vicenda, la volontà di un Destino vittorioso di lasciar libero accesso per tutti al cyberspazio in modo che le informazioni attinte possano rieducare la coscienza collettiva della nazione: siamo molto vicini alla Singolarità. Ancora più vicini quando, nelle ultime storie della gestione Ellis, proprio Destino, a seguito di un attentato, tenta una fusione con la Rete che lo dovrebbe mettere in grado di gestire il fato di ognuno sul  Pianeta. Un buon inizio insomma.

La doppia Albione

“The future is an inherently good thing, and we move into it one winter at a time. Things get better one winter at a time. So if you're going to celebrate something, then have a drink on this: the world is, generally and on balance, a better place to live this year than it was last year. For instance, I didn't have this gun last year.” (Spider Jerusalem, Transmetropolitan)
Alan Moore
Alan Moore
Warren Ellis, che abbiamo visto alle prese con Doom 2099, sarà la punta di diamante della corrente inglese che porterà le teorie transumaniste e postumane alla ribalta sia nella madrepatria sia in America. In contatto con Charles Stross e Iain M. Banks (frequentemente discutono le rispettive opere nei loro blog) riuscirà per la prima volta ad avere la necessaria libertà di espressione sulle pagine della testata Stormwatch (Stormwatch, Wildstorm, 1996-1998 – Magic Press, 1999-2000). Siamo nel 1996 e la Image Comics (adesso divisa in tre case editrici differenti) comincia a segnare il passo rispetto al boom iniziale dovuto alla novità editoriale: inserire scenari violenti e più “realistici” fra le pagine dei fumetti mainstream non rende più come agli inizi del nuovo decennio e le principali case editrici concorrenti (come Marvel, DC e Dark Horse), colte alla sprovvista in un primo momento, hanno nel frattempo rimodernato e messo al passo le rispettive linee editoriali. Alan Moore viene cooptato su Wildcats, la testata con le migliori prospettive di sopravvivere, mentre a Warren Ellis viene affidata proprio Stormwatch (per l’editrice Wildstorm), che nel frattempo sta colando a picco con storie sempre più estreme ed al limite del ridicolo.