Dalla fine degli anni ’70 e soprattutto negli ‘80 si moltiplicano i gruppi di non-musicisti o ex-musicisti che si cimentano in nuove sperimentazioni.
Tra i vari gruppi del periodo, quelli che ci sembrano più ispirati al concetto di postumanismo sono i Coil, con un rumorismo moderato e ciclico con tendenze morbose, che ha sfornato anche album di astrattismo spirituale (prima che esoterico) come The Angelic Conversation (1985) o Scatology (1986).
Tornando al rock, è il ciclone del punk che rinnova il genere indirizzandolo verso derive a volte sterili, altre creative, altre ancora postumane. Citiamo The Cure e i Bauhaus, dediti a un crepuscolarismo sonoro, gotico, a volte lirico, altre disperato. Sulla stessa linea i Death in June, The Sisters of Mercy e i Joy Division, mentre discorso a parte meriterebbero i Dead Can Dance, che affondano le proprie radice in un folk cupo e lirico. Altro genere affine è la new wave (non a caso il nome è mutuato al filone fantascientifico nato dalla rivista inglese New Worlds), primi tra tutti i Depeche Mode, i Soft Cell e gli Ultravox.
Senza allontanarci troppo dalla vera essenza del postumanismo, degni di menzione speciale troviamo i Clock Dva (cioè “Orologio Due”, si mette subito l’accento sul tempo) con un’originale elettroacustica jazz; passeranno ben presto a una pura elettronica ipnotica e onirica. Album come Transitional Voices (1990), Buried Dreams (1991) o il più esplicito (per il postumanismo) Man-Amplified (1991) sono pietre miliari del postumanismo elettronico contemporaneo.
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