E' già trascorso quasi mezzo secolo dall'uscita di Il crollo della Baliverna (1954), terza raccolta dopo I sette messaggeri (1942) e Paura alla scala (1949) dei racconti fantastici che Dino Buzzati aveva pubblicato sul Corriere della Sera per il quale lavorava come giornalista dal 1928 e che quattro anni più tardi avrebbero dato corpo alla sua collezione più famosa intitolata Sessanta Racconti (1958). Mancavano ormai pochi anni al lancio dello Sputnik e alla costituzione dell'ente spaziale americano, eventi che avrebbero ufficialmente dato il via alla Corsa allo Spazio. Nello stesso tempo l'età dell'oro della fantascienza aveva raggiunto l'apice del suo fulgore e stava apprestandosi a consolidarsi nella maturità degli anni '60. In questo contesto, un giornalista bellunese trapiantato a Milano, completamente svincolato dagli schemi della narrativa fantastica d'oltreoceano, aveva maturato già da molto tempo una modalità letteraria fantastica del tutto originale che utilizzava per descrivere la condizione umana, i suoi miti, le sue contraddizioni, i suoi incubi... Poco più di dieci anni più tardi, nell'estate del 1967, Jocelyn Bell, studentessa ricercatrice dell'Istituto di Radio Astronomia di Cambridge, stava utilizzando un nuovo radiotelescopio per compilare la sua tesi di dottorato di ricerca sulle quasar. Mentre monitorava il cielo alla ricerca dei segnali che le interessavano, improvvisamente notò sui suoi tracciati qualcosa di anomalo. Sia lei che il suo relatore, Tony Hewish, erano convinti si trattasse di un'interferenza di origine terrestre, ma ulteriori analisi portarono a scoprire che il segnale si ripeteva a intervalli precisi e regolari. Quale sorgente cosmica naturale poteva generare un simile segnale? Erano gli anni di Lost in Space e di Star Trek, mancava poco allo sbarco sulla Luna e mai come allora lo spazio ispirava la ragione e l'immaginazione... Ancora dieci anni e un giovane regista chiedeva al suo musicista di fiducia di dargli un tema di cinque note, attorno al quale avrebbe dovuto ruotare il suo prossimo film. Qualche giorno dopo il compositore fece ascoltare al regista circa 250 combinazioni di cinque note e, dopo aver verificato che, se avessero voluto sentire tutte le possibilità, avrebbero dovuto ascoltarne 134.000, i due ne scelsero una, completamente a caso. In quel momento non potevano prevedere l'effetto che quella sequenza musicale avrebbe avuto sul pubblico, anche perché, a detta del musicista, in quel momento, al di fuori del contesto cinematografico, quella combinazione di note sembrava del tutto insignificante, esattamente come le altre. E invece...

Le cose in comune

La forza della narrativa fantastica di Dino Buzzati sta nella sua inquietante quotidianità. Non fa eccezione il racconto incluso nella citata raccolta del 1954 intitolato Il disco si posò, nel quale lo scrittore racconta di un incontro ravvicinato del terzo tipo. E, come al solito, lo fa a modo suo. Non fa posare il suo veicolo simile "a una lenticchia mastodontica" in una valle nascosta tra le montagne d'America, né lo mette a fare ombra alla Casa Bianca o al Colosseo. Fa invece adagiare il suo disco volante sul tetto di una chiesa ed è così, nella situazione più improbabile tra le improbabili, che l'umanità, nella persona di un prete di campagna, ha il suo "primo contatto"... Lo stesso "primo contatto" il cui segnale Jocelyn Bell forse sperava di aver captato per una quantomai fortunata coincidenza. In effetti, nell'ignoranza della sua misteriosa natura, la Bell e Hewish battezzarono quel segnale proprio come LGM, dalle iniziali di Little Green Men (lett. Piccoli Uomini Verdi). Naturalmente, se fino ad ora non abbiamo incontrato alcun "piccolo uomo verde", significa che allora i due scienziati avevano preso un granchio. Però, c'è da dire che, finché il dubbio rimase, chissà quanta dev'essere stata l'emozione... Dev'essere stato un po' come il brivido che prende la schiena dello spettatore quando sente quelle cinque note. Attraverso la parola scritta non ve le possiamo far sentire, ma possiamo dirvi quali sono: LA SI SOL SOL (di un'ottava più basso) RE. E, se avete sotto mano una tastiera, potete provare a suonarle sempre più velocemente come fa François Truffaut nella grandiosa sequenza finale del film. Da allora, quella combinazione di note scelta a caso ha assunto presso l'immaginario degli spettatori di tutto il mondo, il valore di un vero e proprio "richiamo" extraterrestre. E tutto soltanto grazie alla smisurata potenza visionaria della cinematografia di Steven Spielberg...