E' partita un po' in sordina, questa serie, erede di un film di successo e costretta a far fronte ad aspettative molto alte da parte del pubblico. Ha mosso i primi passi sul prolungamento ideale del sentiero tracciato sulla sabbia di Abydos da Kurt Russell & co., ma ha saputo affrancarsi in fretta da quell'eredità.

In cinque stagioni e mezzo Richard Dean Anderson si è spogliato dai panni di Angus McGyver e si è appropriato del colonnello Jack O'Neill ("O'Neill con due L, mi raccomando", sottolinea sempre, per non essere confuso con l'altro O'Neil, un tipo estremamente triste e noioso). E' diventato Jack O'Neill al punto che alla fine è stato Jack O'Neill a diventare Richard Dean Anderson, assumendone il carattere, le espressioni del viso e le battute al fulmicotone. Doveva essere più giovane, O'Neill, di almeno 10 anni: i truccatori ci hanno provato a tingere i capelli di Richard, per ben due stagioni, ma poi si sono accorti che Jack era perfetto con i capelli grigi. E che le sue battute adlib non scritte sul copione, davano al personaggio un'umanità e uno spessore che è difficile trovare altrove.

Spessore: proprio così. Stargate SG-1 è una serie che riesce a dare spessore ai personaggi, a svilupparne il carattere, a trasformarli senza però tradire il loro spirito originario.

Prendiamo il maggiore Samantha Carter, per esempio: sulla carta sembrerebbe un personaggio finto, che più finto non si può, quasi più finto di Sette di Nove. E' una donna giovane e carina, ha un dottorato in astrofisica e una mente incredibilmente brillante, è un soldato preparato, coraggioso e leale. Come ha fatto Amanda Tapping a renderla credibile? Lavorando sui dettagli, sulle piccole cose: tra una battaglia e l'altra scopriamo che Sam è un po' secchiona, che preferisce lavorare ai suoi esperimenti piuttosto che andare a pescare, che le piacciono le motociclette, che ha una famiglia e anche suo padre era un militare. La fusione con il Tok'ra Jolinar, poi, ha cambiato profondamente il suo modo di essere, rendendola più adulta e consapevole, ma la strada che la porterà a esternare i sentimenti che ha ammesso di provare (ricambiata) per il suo ufficiale superiore è ancora lunga.

E che dire di Daniel Jackson? Il povero Michael Shanks passa con disinvoltura da una perfetta imitazione di James Spader e del suo archeologo miope, impacciato e allergico alla figura di uno scienziato-soldato, a suo agio tra i computer e i libri ma anche sul campo, con un P90 in mano. E' cresciuto, Daniel. Si è costruito un bel fisico, a furia di andare in missione con i colleghi militari, e ha pure guadagnato un paio di lenti a contatto. Non è più il nerd che parla sempre troppo e a sproposito: è l'ufficiale di collegamento, l'addetto culturale della squadra SG-1. E' la persona che indica una terza via, quando c'è. E' colui che ricorda ai militari che la violenza non è l'unico modo per affrontare le controversie. Insieme al suo personaggio si è evoluto il suo rapporto con O'Neill, da una convivenza mal sopportata da entrambi a un profondo legame di fiducia e poi di amicizia.

Daniel ha costruito un bel rapporto anche con Samantha Carter e perfino con l'alieno Teal'c, che però non ha mai smesso di chiamarlo per nome e cognome. Infine, per motivi legati alla carriera di Michael Shanks, il dottor Jackson è stato costretto ad assurgere a un piano superiore di esistenza.Un altro che se ne va in un lampo di luce bianca, insomma, secondo la nuova moda inaugurata da Kes in Star Trek Voyager. Una moda ben congegnata, non c'è che dire: è recente, infatti, la notizia che Michael Shanks riprenderà il suo ruolo di regular nella serie a partire dalla settima stagione. Una reincarnazione è certamente più digeribile di una resurrezione tout-court.