Il cinema di John Carpenter ha vissuto, come quello di altri registi, delle fasi artistiche in cui sono state più evidenti delle influenze specifiche, potremmo dire tematiche.

C’è stato ad esempio un periodo in cui il regista americano ha risentito maggiormente della metafisica.

Una delle serie più note è quella denominata infatti Trilogia dell’Apocalisse comprendente rispettivamente: La cosa (1982), Il Signore del Male (1987) e Il seme della follia (1994).

Dei tre, quello schiettamente fantascientifico è il primo e cioè La cosa, remake del film La cosa da un altro mondo, classico del 1951 diretto da Christian Nyby che narra di un alieno ostile ritrovato nei ghiacci dell’Alaska.

Carpenter riprende la tematica, peraltro più fedelmente al racconto originale di John W. Campbell del 1938 e correlandola di una stupenda colonna sonora elettronica.

Il Signore del Male è un horror fantascientifico in cui si narra di un cilindro verde rotante in una chiesa che contiene, in forma liquida, l’anti–Cristo che è un alieno. Un professore di fisica e i suoi assistenti lo combatteranno.

Il seme della follia (95’) di cui ci vogliamo occupare, è invece un puro omaggio allo scrittore H. P. Lovecraft e alla sua opera principale Il richiamo di Cthulhu (1928).

Dell’enigmatico maestro di Providence, la piccola capitale del piccolo stato del Rhode Island (dove si svolge significativamente anche la vicenda narrata nel film), è evidente l’intelaiatura, soprattutto nella magica atmosfera decadente, rappresentata con i colori che solo l’autunno nella Nuova Inghilterra può regalare.

È infatti la storia di una razza antica, eonica, una primordiale razza acquatica, che ha a che fare con le paludi e l’oceano. Una razza mostruosa in senso letterale, che terrorizza i protagonisti coinvolgendoli in un gioco senza fine in cui realtà e fantasia si inseguono in un labirinto di specchi e richiami che possono anche disorientare lo spettatore, come la critica non ha mancato di far rilevare.

Il film infatti non è semplice e necessita di una grande attenzione.

Lovecraft ne permea ogni istante e ne marchia a fuoco tutte le vicende fino all’apocalisse finale.

Si inizia con John Trent (Sam Neil), un ricoverato in un inquietante ospedale psichiatrico, le cui mura ciclopiche risvegliano un atavico terrore agorafobico che sa di mondi lontani, di mistero, di notti infinite.

Il paziente riceve la visita di un medico, il dottor Wrenn (David Warner) che lo vuole “tirare fuori” da dove si trova.

E così parte il flashback in cui l’intera vicenda viene sviluppata a partire dal finale, secondo un espediente narrativo ben conosciuto e cioè l’analessi.

Trent è un investigatore privato che si trova coinvolto dall’editore Jackson Harglow (Charlton Heston) a indagare sulla scomparsa di un famosissimo scrittore di romanzi horror gotici e cioè Sutter Cane (Jürgen Prochnow) che “ha venduto più di Stephen King” ed è “il più letto di questo secolo”, come viene annunciato, con una certa enfasi, nel film stesso.

Mentre si trova in una caffetteria insieme al suo principale cliente, Trent viene aggredito con un’ascia da un pazzo che poi si rivela essere l’agente letterario proprio di Cane a cui lo scrittore aveva inviato il suo nuovo libro tramite un corriere.

Tuttavia l’editore afferma di non avere ancora il libro e i fan impazienti provocano disordini pubblici nelle librerie con “disorientamento, perdita di memoria, forti reazioni paranoiche”.

L’investigatore pensa che il tutto sia una trovata pubblicitaria per lanciare la nuova opera dello scrittore, e in parte ha ragione, come gli conferma successivamente la compagna di ricerche, Linda Styles (Julie Carmen), segretaria dell’editore Harglow che l’accompagna nel viaggio e con cui il detective prova inizialmente a istaurare un rapporto sentimentale.

Ma questa è solo una parte della vicenda e precisamente quella seminale.

In questa fase la realtà è ancora quella solida e concreta di New York e quindi di una grande città americana e non dell’insidiosa provincia in cui, si direbbe, veramente tutto può accadere nonostante l’aspetto ordinato e pulito e quindi rassicurante, ma solo superficialmente.

“C’è del marcio in Danimarca” urlerebbe un nuovo Marcello in un nuovo Amleto.

Trent ricostruisce, unendo ritagli delle copertine dei libri pubblicati, dove probabilmente si trova Cane: in una cittadina del New Hampshire, chiamata Hobb’s End (che però non esiste nelle carte attuali).

Il viaggio è degno di nota. Intanto per la comparsa di un topos ricorrente nelle nostre descrizioni e cioè quello di immensi campi di mais con tanto di mulini a vento e silos, da cui ci si aspetta che possa uscire di tutto, come da un buco bianco cosmico o dal cilindro del Cappellaio matto di Alice nel Paese delle Meraviglie.

Ad esempio, mentre guidano incontrano mostruosi ciclisti deformi che vagano nella notte con le carte da gioco incastrate nei raggi che ticchettano ad ogni pedalata.

I due giungono la mattina dopo in una cittadina inquietante e deserta in cui trovano alloggio in uno strano e misterioso albergo e gestito da una vecchietta.

Ma è proprio in questo apparentemente grazioso albergo immerso nei meravigliosi colori rosso – ocra dell’autunno della Nuova Inghilterra, il “Pickman Hotel”, che ha come stemma un leone rampante ed un sole a nove raggi con una croce al suo centro, che iniziano le “visioni”.

Da notare che l’indirizzo dell’Hotel è stato letto da Linda in un libro di Cane, “Orrore a Hobb’s End” anzi la vicenda dei due sembra seguire proprio la trama del libro, tanto che Linda ritrova anche un quadro, che cambia in continuazione, ed un asse sconnesso, prima ancora che Trent se ne possa accorgere.

Intanto si scopre che la graziosa vecchietta, la signora Pickman, è nel libro una squilibrata che fa a pezzi il marito con un’ascia.

Da una finestra dell’Hotel, sul lato est, si vede una grande “chiesa nera”, contornata da quattro guglie di diversa altezza e dorate, anch’essa accuratamente descritta proprio nel libro.

Trent e Linda vi si recano.

Il romanzo, a mo’ di guida turistica, descrive una precedente cattedrale di pietra poi inglobata e un mosaico che mostra “il Salvatore” resuscitato e contornato dalle lettere greche alfa e omega (l’inizio e la fine), mentre l’arcangelo Michele, armato della sua spada, combatte una creatura delle tenebre.

Il libro parla di una antica razza sadica di assassini che abitava quei luoghi desolati e dedita a crudeltà inenarrabili.

Vi trovano inoltre un gruppo di bambini, feriti e dal volto sfigurato, che inseguono dei cani.

L’investigatore –dopo aver discusso con Linda- cerca di andarsene da solo mentre la signora Pickman dietro al bancone nasconde un anziano uomo nudo ammanettato alla sua caviglia sinistra che colpisce con un calcio intimandogli di stare zitto, in una chiara scena sado – maso che spiazza lo spettatore.

Linda fugge con l’auto di Cane e si reca nella chiesa che scopre sconsacrata e dove incontra Cane che gli spiega che ormai lei è un personaggio della trama dell’ultimo libro che sta scrivendo che chiama anche la “nuova Bibbia”, come lei stessa aveva sospettato.

Tramite il libro creature mostruose e viscide tornano dagli abissi nel mondo reale. Un terribile portale si è aperto tra i due universi.

I due si abbracciano mentre lo scrittore si sta trasformando in un mostro.

Nel frattempo Linda torna all’Hotel dove la vecchietta mutata in mostro uccide il marito –ora inchiodato dalla manetta ad un viscido tentacolo- con un’ascia, proprio come è descritto nel precedente libro.

Trent si ritrova con Cane in un confessionale della chiesa; gli dice che né la città né lo stesso Trent sono mai esistiti, ma tutto è stato creato dalla sua fantasia che ha prodotto il nuovo libro. Lui è quindi a tutti gli effetti “un nuovo Dio”.

L’autore gli consegna il dattiloscritto.

“Io penso quindi lei esiste”, gli dice Cane gettando nell’angoscia l’investigatore.

L’agente letterario ha aggredito Cane all’inizio lo ha fatto, si viene a sapere, proprio per fermare l’epidemia di pazzia dovuta al libro.

Perseguitato da continue angoscianti visioni degli esseri che sorgono dall’abisso dell’ignoto l’investigatore sembra tornare alla realtà liberandosi del libro, ma non vi riesce perché gli viene riconsegnato da un corriere, mentre viene definitivamente perso il confine tra realtà e fantasia.

Trent torna a NYC in pullman dopo aver bruciato in un lavandino il dattiloscritto con l’alcol.

Tornato dall’editore questi non ricorda più il “personaggio” di Linda –che in effetti è sparita dalla trama- e gli dice, meravigliandosene, che appunto il manoscritto glielo aveva consegnato mesi prima e il libro è già uscito in tutto il mondo.

Vi sono nelle strade fenomeni di violenza inaudita. In uno di questi lo stesso Trent uccide un ragazzo – a cui piace il libro – con un’ascia e quindi finisce in manicomio dove la storia si raccorda con l’inizio.

Nel frattempo l’antica razza ritorna a calcare la terra annientando il genere umano.

Trent riesce a salvarsi protetto dalla camera di sicurezza del manicomio da cui fugge in una notte di temporale, solo per scoprire che in un cinema della città proiettano proprio un film di John Carpenter (naturalmente) dal titolo In the “Mouth of Madness" (“Nelle fauci della follia”), in cui lui è il protagonista.

Il film finisce con Trent con un secchio di pop corn che ridendo istericamente rivede le sue vicende sullo schermo in completa solitudine.

Questo film richiama direttamente l’opera di un suo regista “gemello”, David Cronenberg, che di queste visioni deliranti, di queste allucinazioni in cui la realtà si mischia alla fantasia, è il maestro indiscusso.

Può ricordare in certi punti Videodrome (1983) ed eXistenZ (1999) per il tema della realtà che si mischia in continuazione alla fantasia.

Ed in effetti i due spesso hanno marciato insieme anche se Carpenter è un regista in un certo senso più “classico” mentre Cronenberg è meno prevedibile.

Un’altra opera in cui è trattato il tema dei personaggi che prendono vita grazie allo scrittore demiurgo è sicuramente Sei personaggi in cerca d’autore (1921) di Luigi Pirandello.

Il film – come spesso avviene in Carpenter – è ricco di rimandi ad opere precedenti. Una riguarda un cameo: nel motel sull’autostrada Trent vede in Tv scorrere le immagini di un film assai particolare di cui ci siamo già occupati: Robot Monster, nella scena il cui l’automa alieno rapisce la ragazza di cui è innamorato.

Il nome della cittadina, Hobb’s End, è poi un omaggio a quello della (immaginaria) fermata metro di Londra del classico L’astronave degli esseri perduti (1967) di Roy Ward Baker, il terzo della serie sul dottor Quatermass, un capolavoro che ha stretti legami con l’opera di Carpenter.

Naturalmente, come in ogni suo film, lo svolgimento è ritmato dalla coinvolgente musica elettronica dello stesso Carpenter.